Pubblicazione legale:
L'art. 7 del decreto legge 11/2009 ha introdotto nel nostro codice penale il reato di atti persecutori, comunemente chiamato stalking. Commette tale reato chi “con condotte reiterate, minaccia o
molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura
ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo
congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, salvo che il fatto
costituisca più grave reato. Quindi, sono richieste condotte reiterate che – pur senza arrivare ad
integrare i reati di lesioni o maltrattamenti o altri reati in ogni caso più gravi di quello
delineato dall'articolo in analisi – ingenerano nella vittima uno stato di continua
paura o il fondato timore di dover subire un male più grave oppure la costringono a
mutare il proprio stile di vita e le proprie abitudini per sfuggire alle continue ed
insistenti “attenzioni” dello stalker. Ciò che viene tutelato è la tranquillità individuale
e – per quanto riguarda l'ipotesi relativa al costringimento della vittima a cambiare
abitudini di vita – la libertà di autodeterminazione.
Per quanto attiene all'elemento oggettivo, questo consiste nella reiterazione
delle condotte di minaccia e molestia. Per minaccia si intende unanimemente la
prospettazione di un male ingiusto il cui verificarsi o meno dipende dalla volontà
dell'agente; più problematica invece è la definizione di molestia: innanzitutto è da
rilevare come, nonostante all'interno dell'art. 612 bis c.p. il termine parrebbe da
intendersi come descrittivo della condotta – a differenza del reato ex art. 660 c.p. nel
quale la molestia indica l'evento – sembrerebbe più corretto concepirlo come il
risultato di un comportamento qualsiasi (telefonate notturne, pedinamenti, appostamenti, riprese fotografiche), che si concretizza in “un'intrusione nella sfera
psichica altrui con conseguente compromissione della tranquillità personale e della
libertà morale della vittima, senza però concretizzarsi in vere e proprie violenze sulla
persona”. È stato a lungo oggetto di dibattito, poi, il requisito della reiterazione
delle condotte, richiesto dalla norma: ci si chiedeva quale fosse il numero minimo di
condotte necessario e il lasso di tempo che dovesse trascorrere tra le varie ripetizioni;
di recente, la giurisprudenza ha affermato che possono ritenersi sufficienti anche solo
due condotte.
Per quanto riguarda l'evento, questo consiste alternativamente nel perdurante
stato di ansia o paura – che secondo la Cassazione non deve necessariamente
concretizzarsi in una situazione patologica – nel fondato timore per l'incolumità
propria o di un prossimo congiunto oppure nell'alterazione delle abitudini di vita,
evento che non si riterrà integrato in presenza di piccoli cambiamenti irrilevanti.
Secondo un'interpretazione restrittiva della fattispecie, inoltre, il terzo evento non
gode di autonomia, ma deve essere sempre connesso allo stato di paura o al timore
per l'incolumità, poiché solo in questo modo si giustificherebbe la pena comminata,
ben più severa di quella prevista dai reati di minaccia e molestia poiché tesa a
“bloccare sul nascere l'escalation persecutoria che spesso passa dalle molestie all'aggressione fisica”.
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