Pubblicazione legale:
In una recente
sentenza il Tribunale di Roma ha fornito un'interessante
interpretazione di quando sia necessario effettuare l'adeguata verifica negli
studi dei consulenti del lavoro.
Lo studio era
stato sanzionato ai sensi dell’art.56 del d.lgs. n.231/2007, per
violazione circa l'omessa adeguata verifica della clientela cui forniva "consulenza"
non meglio precisata in fattura. Il ricorrente eccepiva di non aver adempiuto
al precetto di legge in quanto l'attività, nei fatti, era di mera redazione e
trasmissione delle dichiarazioni in materia di amministrazione del personale,
ovvero di trasmissione di buste paga e in ogni caso il cui valore era inferiore
alla soglia prevista dalla legge per l'insorgere del relativo obbligo.
L'opposizione veniva rigettata.
Il Tribunale
precisava che l’art. 17, primo comma, d.lgs. n.231 del 21.11.2007 prevede che
“I soggetti obbligati procedono all’adeguata verifica del cliente e del titolare
effettivo con riferimento ai rapporti e alle operazioni inerenti allo
svolgimento dell'attività istituzionale o professionale:
a) in occasione
dell'instaurazione di un rapporto continuativo o del conferimento dell'incarico
per l'esecuzione di una prestazione professionale;
b) in occasione
dell'esecuzione di un'operazione occasionale, disposta dal cliente, che
comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo
pari o superiore a 15.000,00 euro, indipendentemente dal fatto che sia
effettuata con una operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate
per realizzare un'operazione frazionata.
Rientrano nella
categoria dei professionisti, nell'esercizio della professione in forma
individuale, associata o societaria: i soggetti iscritti nell'albo dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili e nell'albo dei consulenti del
lavoro, dunque anche questi ultimi sono destinatari della normativa
sull’antiriciclaggio.
È previsto dalla legge e notoriamente risaputo che gli obblighi di adeguata
verifica della clientela non si osservano in relazione allo svolgimento
dell’attività di mera redazione e trasmissione ovvero di sola trasmissione
delle dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali e degli adempimenti in
materia di amministrazione del personale di cui all'articolo 2, comma 1, della Legge
11 gennaio 1979, n. 12.
Tuttavia l'opposizione non ha potuto trovare accoglimento in quanto gli
operanti, analizzando le fatture emesse dallo studio (primo indicatore cui
generalmente i militari fanno riferimento), ne rilevarono talune
inerenti a compensi per "consulenza aziendale" attività, questa,
la quale non può rientrare nelle funzioni indicate dall’art. 2, 1° comma, L.12/79.
Secondo il
Tribunale non rilevava l’importo delle operazioni, anche di modesto valore, ma la
circostanza che trattavasi di consulenze e, dunque, di evidente rapporto
continuativo con i singoli soggetti di volta in volta interessati, rispetto ai
quali non era stata effettuata alcuna verifica ex art. 17 d.lgs. n. 231/07, né
l’opponente avesse fornito documentazione scritta in tal senso, non essendo
sufficiente la sola visura camerale.
La prestazione di "consulenza" non meglio specificata in fattura
obbliga, pertanto, anche i consulenti del lavoro ad effettuare l'adeguata
verifica della clientela; a maggior ragione quando le prestazioni svolte da
suddetti professionisti, come spesso accade, travalicano quelle previste dalla
L.12/79 rientrando nelle attività cui sono generalmente deputati di
commercialisti.
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