Pubblicazione legale:
Nella vicenda
in disamina, oggetto di sentenza da parte del tribunale della capitale
nell’anno 2018, l'ispezione antiriciclaggio ha coinvolto un dottore
commercialista successivamente ad un controllo fiscale effettuato su di un di
lui cliente, cui egli risultava depositario delle scritture contabili.
Il cliente era
una società di capitali, attiva nel settore del recupero metalli, attività
esercitata con acquisti da venditori privati i cui pagamenti, spesso di modesta
entità se considerati singolarmente, venivano di frequente regolati in
contanti.
I militari
contestavano al professionista la mancata segnalazione di operazioni sospette
che, considerate nella loro globalità e in un periodo di osservazione
pluriennale, erano di importo di estrema rilevanza, dell'ordine di svariati
milioni di euro. Avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal Ministero, il
commercialista presentava ricorso, eccependo:
1.
L'intervenuta decadenza del diritto a procedere per decorrenza del termine
indicato all’art. 14 L.689/81, in quanto tra l’ultimazione delle indagini e la
notifica dell’illecito erano decorsi più di novanta giorni.
2.
L'infondatezza della pretesa sanzionatoria, in quanto alla società cliente non
era stato contestato alcun reato di riciclaggio e per il fatto che la
provenienza del denaro contante impiegato nei successivi pagamenti era di
origine bancaria e pertanto tracciata.
In subordinate,
il professionista chiedeva la riduzione della sanzione al minimo edittale.
Per quanto attiene il primo motivo, concernente la tempestività della
notifica del verbale di contestazione ai sensi dell'art. 14 L. 689/1981, vero
il fatto che l’accertamento era stato ultimato nei confronti della società
cliente ben oltre i novanta giorni previsti dalla legge per la contestazione,
ma il Tribunale ha giustamente rilevato che non poteva considerarsi
l'accertamento eseguito nei confronti del professionista opponente concluso
nello stesso momento in cui gli operanti portarono a termine la verifica
fiscale sulla società cliente; i due eventi non potevano ritenersi correlati,
anche perché la verifica fiscale svolta nei confronti del cliente fu
condotta da un diverso Nucleo della Guardia di Finanza che agiva con la
qualifica di Polizia tributaria, rispetto a quello appositamente delegato
successivamente dal Nucleo speciale di Polizia valutaria che invece condusse le
indagini nei confronti del professionista.
In merito al
secondo motivo di doglianza, parimenti il Tribunale ha respinto l’eccezione per
infondatezza delle argomentazioni difensive in ordine alla mancanza del
presupposto della provenienza criminosa del denaro impiegato nelle operazioni
non segnalate; il professionista ha sempre il dovere di effettuare valutazioni
critiche sia in presenza di clientela consolidata che di clientela occasionale;
infatti, la normativa prevede l’esigenza di collaborazione attiva degli
intermediari finalizzata alla prevenzione di fenomeni criminosi, con
conseguente rilevanza, ai fini dell'attualità dell'obbligo della collegata
segnalazione, anche solo del mero, semplice, sospetto; e questo
indipendentemente dal fatto che il professionista si trovi, in seguito, di
fronte a fenomeno non classificabile quale riciclaggio.
Anche la
doglianza corca la provenienza bancaria del denaro contante utilizzato non ha
assolutamente colto nel segno, per intuibile motivo: le movimentazioni di cui
si trattava erano state effettuate dopo l'uscita del contante dal circuito
bancario e quindi, evidentemente, l’unico attore che avrebbe dovuto effettuare
la segnalazione di operazione sospetta sarebbe stato il professionista al quale
era stata delegata la tenuta della contabilità ordinaria dal cliente; il
commercialista incaricato, sottolinea la sentenza, risultava altresì il
“tenutario” presso l’Agenzia entrate delle relative scritture contabili,
aspetto, questo, sempre di rilevante importanza al fine della selezione dei
soggetti da sottoporre ad indagine da parte degli gli operanti.
Per quanto atteneva
l’esame del merito della pretesa sanzionatoria il Tribunale, rilevava l’ingente
mole di movimentazione in contanti e che l’obbligo di segnalazione per i
professionisti fosse iniziato il 22.04.2006, con l’evidente finalità di
assicurare la collaborazione degli intermediari e di determinate categorie di
professionisti nell'attività di contrasto ad operazioni di occultamento di
attività illecite; ciò premesso, tali professionisti, così responsabilizzati,
non possono prescindere dal compimento di indagini preliminari che si connotano
dalla chiara e discendente funzione preventiva.
A decorrere dal
22.04.2006 il suddetto obbligo di segnalazione ha iniziato ad operare, tra gli
altri e per quanto qui interessa, anche per i soggetti iscritti nell'albo dei
ragionieri e dei periti commerciali, nel registro dei revisori contabili,
nell'albo dei dottori commercialisti e nell'albo dei consulenti del lavoro.
Tali soggetti devono inviare alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta
quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in
corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo. Il sospetto deve essere desunto dalle
caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra
circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche
della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in
base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito
dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento dell'incarico.
Di rilevazione "allarme" doveva essere il fatto che il cliente
emettesse in modo continuativo "autofatture"(regolate e comunque ammesse
dalla vigente normativa fiscale ai fini iva), finalizzate all'acquisto di
rottami ferrosi ma compilate in modo irregolare in quanto del tutto prive di:
nominativo dei cedenti, località ritiro merce; modalità di ritiro e
trasporto; momento e modalità di pagamento (che avveniva in contanti tramite
prelevati con cadenza giornaliera presso un gran numero di istituti di credito
ove la società era titolare di conti).
Il pagamento
delle autofatture avveniva con contanti prelevati per ingenti importi da conti
opportunamente alimentati con assegni per corrispondenti somme.
Secondo il
Tribunale, tali elementi rendevano evidenti, anche per soggetti non dotati
della specifica professionalità dell'opponente, macroscopici indici di anomalia
presenti nelle operazioni di cui alla documentazione affidata alla gestione del
professionista.
Secondo il
Tribunale, ulteriore grande ostacolo alla tracciabilità era rappresentato non
solo dall'uso del contante, ma dal ricorso ad un notevole numero di conti
bancari aperti presso una moltitudine di istituti.
Il Tribunale rinveniva, quindi, la configurabilità degli elementi oggettivi
dell'illecito sanzionato ma anche la gravità dell'elemento soggettivo, attesa
la sistematicità dell'acritico avallo tecnico contabile offerto ad un siffatto
modus operandi.
Sovveniva,
tuttavia, in aiuto al ricorrente la modifica apportata al d.lgs. 231/2007
da parte del d.lgs. 90/2017 in vigore dal 5.07.2017, che ha
modificato il regime sanzionatorio previsto dall'art.58 d.lgs.
231/2007 per la mancata segnalazione di operazioni sospette, prima punite
con sanzione in percentuale a quanto non segnalato, ora con una sanzione da
30.000,00 a 300.000,00 che ha consentito, pur con l’applicazione del massimo
previsto, un notevole ridimensionamento di quanto ipotizzato in sede di PVC dai
militari (trattavasi di alcuni milioni di euro).
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