Pubblicazione legale:
La CdA di Roma
si è espressa, con Sentenza 2630/2022, a riguardo di un decreto sanzionatorio
emesso dal Ministero a carico di un esercizio commerciale che svolgeva attività
di money transfer.
Il Tribunale si era pronunciato in precedenza con sentenza di condanna, ma con
riduzione della sanzione applicata, alla quale il money transfer propose
appello.
Il Ministero,
con appello incidentale, chiedeva di ristabilire la sanzione applicata in
origine.
La sanzione traeva origine dal fatto che il titolare dell'attività aveva
acquisito denaro contante da clienti per valori superiori alla soglia di legge,
senza il tramite degli intermediari abilitati.
Tali somme erano state trasferite in Cina.
Nei confronti
dei soggetti cinesi indicati quali mittenti nelle rimesse di denaro, i militari
della GdF affermavano di aver effettuato interrogazioni alle banche dati i cui
esiti rivelavano che gli menzionati soggetti erano “inesistenti”, non
identificabili o rintracciabili in luoghi notevolmente distanti dalla sede
dell'esercizio commerciale ispezionato.
Il titolare
chiedeva, nelle memorie difensive, di essere sentito dal Ministero; a
fondamento della propria opposizione, egli manifestava la propria assoluta
buona fede sostenendo di aver sempre osservato, con diligenza, la normativa in
materia di antiriciclaggio, identificando i soggetti richiedenti l'invio di
denaro tramite la sua Agenzia, che erano quindi individui diversi l'uno
dall'altro e non riconducibili, in virtù delle sue risultanze, a un unico
ordinante, come invece sostenevano gli operanti.
In sede di
primo grado veniva richiesta la prova testimoniale degli agenti verbalizzanti,
con particolare riguardo all'entità dei singoli versamenti effettuati, che
furono dagli stessi operanti dichiarati essere stati sotto soglia di legge;
inoltre, riguardo i documenti d'identità dei disponenti e i moduli da compilare
per le operazioni, veniva confermato di averne accertate la presenza.
L’appello
principale conteneva quattro motivi, i primi due dei quali lamentavano il
vizio della motivazione della sentenza di primo grado, che non avrebbe dato
risposta ai rilievi del ricorso e fatto malgoverno del materiale istruttorio,
ritenuto insufficiente per affermare la colpevolezza dell'opponente. Col terzo
motivo, fu contestata la qualificazione giuridica dell'illecito operata dal
Tribunale come se si trattasse di una responsabilità oggettiva; il quarto
motivo, infine, assegnava alla riduzione della sanzione operata dal primo
giudice il valore di indizio dell'insussistenza dell'illecito.
La CdA rilevava
che l'appello era fondato nella parte in cui lamentava la mancanza di una
affidabile e riscontrabile prova della colpevolezza; il titolare aveva annotato
gli estremi identificativi dei soggetti che a lui si rivolgevano per effettuare
il trasferimento di denaro e non vi era prova della sua consapevolezza
dell'eventuale falsità dei documenti annotati e dei dati dei clienti.
Gli operanti
non avevano fornito prova di chi sarebbero stati i presunti clienti muniti di
documenti non di loro proprietà, non essendo sufficiente la mera indicazione
nel PVC secondo cui dette indagini furono “molto approfondite”.
Secondo la
Corte non poteva quindi essere escluso che l'appellante avesse eseguito le
disposizioni provenienti da più soggetti cinesi a lui presentatisi sotto falso
nome e che agivano, a sua insaputa, nell'interesse di altri ai fini del
trasferimento all'estero di denaro.
Per la CdA
trova, pertanto, applicazione l'art.6, comma 11, del D.lgs. 150/2011 secondo cui
l’opposizione va accolta quando le prove della responsabilità dell'opponente
risultino insufficienti.
In conseguenza, la CdA accoglieva l'appello e le spese del doppio grado erano
poste a carico del Ministero soccombente.
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