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Antiriciclaggio - Società fiduciarie - segnalazione operazioni sospette. Sent. Trib. 14126/2020.

Scritto da: Andrea Iaretti - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Con ricorso al Tribunale dalla capitale una società fiduciaria proponeva opposizione ai sensi dell’art. 6 del d.lgs.150 dell’1.9.2011 avverso il decreto Ministeriale, con il quale si intimava il pagamento di ingente somma a titolo di sanzione amministrativa per violazione dell’art. 41 del d.lgs.231/2007 per omessa segnalazione di operazioni sospette, rientranti nella fattispecie comunemente nota come operazioni afferenti lo “Scudo fiscale”. Il ricorrente eccepiva il difetto di motivazione, l’inesistenza della violazione, l’assenza dell’obbligo di segnalazione, l’erroneità in ordine alla determinazione dell’entità della sanzione.
Il Tribunale sosteneva, come primo concetto, che in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione grava sull’amministrazione l’onere di provare l’esistenza degli elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi, dell’illecito; tale regola deve in aggiunta coordinarsi con il principio, già sancito dall’art.23, comma 12, della L.689/81 oggi sostituito ma ribadito dall’art.6, 11°c. d.lgs.150/2011 in virtù del quale: “Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente”.

L’art.41 del d.lgs.231/07, nella versione precedente alle modifiche introdotte dal d.lgs.90/2017, imponeva che “I soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico” e che “E’ un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all'articolo 49, e, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro”.

L’art. 2, 4° comma, del d.lgs.231/07 precisa che “Ai fini di cui al comma 1, s'intende per riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;  b)  l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;  c)  l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d)  la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere a), b) e c) l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione”. Nella fattispecie, la vicenda contestata concerneva complesse operazioni di trasferimento di somme di danaro e di attività finanziarie estere presso una banca o un intermediario finanziario residente, nell’ambito del c.d. “Scudo Fiscale”. L’art. 8, comma 6, lettera c), della legge 27.12.2002, n. 289, infine, stabilisce che “l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria”.

L'obbligo di segnalazioni sospette non si applica ai rimpatri e alle regolarizzazioni di capitali frutto di reati per i quali l’art. 13 bis, 4° comma, esclude la punibilità, norma chiara e che non può essere interpretata; il “sospetto” non significa che il soggetto tenuto all’obbligo di segnalazioni debba svolgere indagini o accertamenti particolari, ovvero adoperarsi oltre un criterio di ordinaria diligenza o anche di diligenza speciale o professionale. Nella fattispecie, secondo appunto un criterio di diligenza, gli opponenti, trattandosi proprio di complesse operazioni di trasferimento di somme di danaro e di attività finanziarie estere nell’ambito del c.d. “Scudo Fiscale”, hanno ragionevolmente, in base alla normativa sopra citata, art.13 bis del D.L.78 dell’1.7.2009 ed art. 8, comma 6, lettera c), della L. 27.12.2002, n. 289, ritenuto che eventuali anomalie non dovessero essere segnalate, proprio perché relative a condotte non punibili penalmente, senza che potesse essere richiesto loro una ulteriore indagine per l’accertamento dell’eventuale sussistenza di un riciclaggio o di reati non scriminati.

Il decreto opposto, invece, operava in riferimento ad una non meglio specificata violazione di tutti i dettami dal Decalogo della Banca d’Italia, che avrebbero dovuto essere, tuttavia, a parere del Tribunale, attualizzati con concreti riferimenti alla condotta contestata all’opponente.

Trattandosi di materia concernente lo “Scudo Fiscale”, ed essendo il riferimento alla violazione non adeguatamente motivato, venivano dunque in considerazione le esimenti indicate e la correlata assenza di obbligo di segnalazione.

Il Tribunale, per tali motivi, ha quindi accolto l'opposizione e condannato il Ministero al pagamento delle spese processuali.




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Andrea Iaretti

Avvocato-Dottore commercialista. Ricorsi Antiriciclaggio