Pubblicazione legale:
Con ricorso al
Tribunale dalla capitale una società fiduciaria proponeva opposizione ai sensi
dell’art. 6 del d.lgs.150 dell’1.9.2011 avverso il decreto Ministeriale, con il
quale si intimava il pagamento di ingente somma a titolo di sanzione
amministrativa per violazione dell’art. 41 del d.lgs.231/2007 per omessa
segnalazione di operazioni sospette, rientranti nella fattispecie comunemente
nota come operazioni afferenti lo “Scudo fiscale”. Il ricorrente eccepiva il
difetto di motivazione, l’inesistenza della violazione, l’assenza dell’obbligo
di segnalazione, l’erroneità in ordine alla determinazione dell’entità della
sanzione.
Il Tribunale sosteneva, come primo concetto, che in materia di opposizione
ad ordinanza-ingiunzione grava sull’amministrazione l’onere di provare
l’esistenza degli elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi, dell’illecito;
tale regola deve in aggiunta coordinarsi con il principio, già sancito
dall’art.23, comma 12, della L.689/81 oggi sostituito ma ribadito dall’art.6,
11°c. d.lgs.150/2011 in virtù del quale: “Il giudice accoglie
l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente”.
L’art.41 del
d.lgs.231/07, nella versione precedente alle modifiche introdotte dal
d.lgs.90/2017, imponeva che “I soggetti indicati negli articoli 10, comma 2,
11, 12, 13 e 14 inviano alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta
quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in
corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche,
entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta
in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità
economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli
elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell'attività
svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico” e che “E’ un elemento
di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante,
anche se non in violazione dei limiti di cui all'articolo 49, e, in
particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari
finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro”.
L’art. 2, 4°
comma, del d.lgs.231/07 precisa che “Ai fini di cui al comma 1, s'intende per
riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a
conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione
a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei
beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi
alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento
o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione,
movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a
conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una
partecipazione a tale attività; c) l'acquisto, la detenzione o
l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione,
che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a
tale attività; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere
a), b) e c) l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di
perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo
o il fatto di agevolarne l'esecuzione”. Nella fattispecie, la vicenda
contestata concerneva complesse operazioni di trasferimento di somme di danaro
e di attività finanziarie estere presso una banca o un intermediario finanziario
residente, nell’ambito del c.d. “Scudo Fiscale”. L’art. 8, comma 6,
lettera c), della legge 27.12.2002, n. 289, infine, stabilisce che
“l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui
agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74,
nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490,
491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del
codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od
occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e
siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria”.
L'obbligo di
segnalazioni sospette non si applica ai rimpatri e alle regolarizzazioni di
capitali frutto di reati per i quali l’art. 13 bis, 4° comma, esclude la
punibilità, norma chiara e che non può essere interpretata; il “sospetto”
non significa che il soggetto tenuto all’obbligo di segnalazioni debba svolgere
indagini o accertamenti particolari, ovvero adoperarsi oltre un criterio di
ordinaria diligenza o anche di diligenza speciale o professionale. Nella
fattispecie, secondo appunto un criterio di diligenza, gli opponenti,
trattandosi proprio di complesse operazioni di trasferimento di somme di danaro
e di attività finanziarie estere nell’ambito del c.d. “Scudo Fiscale”, hanno
ragionevolmente, in base alla normativa sopra citata, art.13 bis del D.L.78
dell’1.7.2009 ed art. 8, comma 6, lettera c), della L. 27.12.2002, n. 289,
ritenuto che eventuali anomalie non dovessero essere segnalate, proprio perché
relative a condotte non punibili penalmente, senza che potesse essere richiesto
loro una ulteriore indagine per l’accertamento dell’eventuale sussistenza di un
riciclaggio o di reati non scriminati.
Il decreto
opposto, invece, operava in riferimento ad una non meglio specificata
violazione di tutti i dettami dal Decalogo della Banca d’Italia, che avrebbero dovuto
essere, tuttavia, a parere del Tribunale, attualizzati con concreti riferimenti
alla condotta contestata all’opponente.
Trattandosi di
materia concernente lo “Scudo Fiscale”, ed essendo il riferimento alla
violazione non adeguatamente motivato, venivano dunque in considerazione le esimenti
indicate e la correlata assenza di obbligo di segnalazione.
Il Tribunale, per tali motivi, ha
quindi accolto l'opposizione e condannato il Ministero al pagamento delle spese
processuali.
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