Avvocato Annalisa Borzi a Gallicano nel Lazio

Annalisa Borzi

Avvocato operante nel settore del diritto civile


Informazioni generali

Sono l'Avvocato Annalisa Borzi e, ormai da 14 anni, svolgo questa affascinante professione con passione e dedizione. Fino al 2016 ho collaborato con diversi studi legali, facendo tesoro dell'esperienza e della professionalità dei colleghi più anziani. Lo svolgimento individuale dell'attività negli ultimi 6 anni mi ha permesso di sviluppare ancora di più doti quali l'organizzazione, la precisione, la puntualità e l'empatia, quest'ultima necessaria per la comprensione profonda dei bisogni dei clienti. Mi occupo prevalentemente di diritto civile, tributario, del lavoro e di famiglia nel circondario dei Trib. di Tivoli, Velletri e Roma.

Esperienza


Diritto civile

Mi sono sempre occupata della branca del diritto civile ad ampio raggio. Posso dunque offrire tutta l'esperienza maturata in tale settore negli anni di attività professionale.


Mediazione

Il mio approccio pragmatico, nella vita come nella professione, mi ha fatto accogliere con estremo favore l'istituto della mediazione fin da subito ed ho sempre cercato di sfruttarne a pieno le potenzialità. Ritenendo che sia sempre utile cercare di risolvere bonariamente le questioni, laddove possibile, cerco sempre di utilizzare tale strumento in maniera realmente efficace.


Negoziazione assistita

Come per l'istituto della mediazione, ritengo che anche lo strumento della negoziazione assistita offra numerosi vantaggi per le parti che vogliano effettivamente risolvere le loro questioni giuridiche, evitando, laddove possibile, le lungaggini di un processo.


Altre categorie:

Fallimento e proc. concorsuali, Diritto tributario, Diritto del lavoro, Diritto commerciale e societario, Tutela del consumatore, Diritto di famiglia, Diritto bancario e finanziario, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Diritto condominiale, Diritto dei trasporti terrestri, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

Gestione separata inps architetti e ingegneri, sanzioni e illegittimita’ costituzionale

Pubblicato su IUSTLAB

CORTE COSTITUZIONALE SENT. 55 DEL 8/4/24 La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 18, c. 12, D.L. n. 98 del 6/7/2011, convertito nella L. n. 111, del 15/7/2011, per la parte in cui non prevede che gli ingeneri e gli architetti, siano esonerati dal pagamento in favore dell’ente previdenziale di riferimento delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione nel periodo anteriore alla relativa entrata in vigore della norma in argomento. Il riferimento è agli ingegneri e architetti, che non possono iscriversi alla relativa Cassa previdenziale (Inarcassa), in quanto contemporaneamente iscritti presso altra gestione previdenziale obbligatoria, per effetto del divieto ex art. 21, c. 5, L. n. 6 del 3/1/81 e che sono quindi tenuti all’obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps. Si ricorda, infatti, l’obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps per gli ingegneri e architetti iscritti a ulteriori forme di previdenza obbligatorie e che non possono iscriversi all’Inarcassa, alla quale semplicemente versano un contributo integrativo solidaristico poiché iscritti nei relativi albi, e a beneficio dei quali, tuttavia, non si crea nessuna posizione previdenziale. E dunque, la Corte Costituzionale ha ribadito che l’affidamento dell’ingegnere o architetto iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria, riposto nella certezza delle situazioni giuridiche afferenti alla propria posizione previdenziale, e corroborato dagli indirizzi giurisprudenziali formatisi, in ordine alla delimitazione dell’ambito operativo della norma interpretata, anteriormente all’entrata in vigore della disposizione interpretativa, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica e generalizzata tutela ex lege per adeguare la disposizione ermeneutica al canone di ragionevolezza, che discende dal principio di eguaglianza (art. 3, comma I, Cost.). La Consulta ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale della norma incriminata (art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111) nella parte in cui non prevede che gli ingegneri e architetti non iscritti a Inarcassa, per essere simultaneamente iscritti presso ulteriore gestione previdenziale obbligatoria, ai sensi dell’art. 21 della legge 3 gennaio 1981, n. 6 (Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS, sono esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore. E dunque, la Consulta, con sentenza n. 55 dell’8 aprile 2024, ha riconosciuto l’esonero dal pagamento delle sanzioni civili per omessa iscrizione nel periodo precedente all’entrata in vigore della legge che ha previsto l’obbligo di iscrizione nella gestione separata INPS per architetti e ingegneri.

Pubblicazione legale

Retribuzione, ccnl applicabile, proporzionalita’ e sufficienza del trattamento economico

Pubblicato su IUSTLAB

TAR Lombardia, sentenza 2046 del 04/09/2023 Con una recentissima sentenza (n. 2046 del 04/09/23) il Tar Lombardia ha ribadito che il trattamento minimo complessivo da garantire al socio-lavoratore è quello previsto dal CCNL comparativamente più rappresentativo del settore che funge da parametro esterno della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. Una società cooperativa ha impugnato il provvedimento con il quale l'Ispettorato del lavoro aveva disposto che la stessa corrispondesse ai soci-lavoratori dipendenti le differenze retributive calcolate secondo le tabelle retributive previste dal CCNL Multiservizi (migliorativo dal punto di vista del salario minimo), mentre la cooperativa in questione utilizzava quale riferimento le tabelle retributive previste dal CCNL Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari. Il Tar Lombardia ha giudicato fondato il ricorso della cooperativa ed ha conseguentemente annullato il verbale di disposizione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro ed ogni atto ad esso presupposto, successivo, consequenziale e/o comunque connesso. L’applicazione del CCnl comparativamente più rappresentativo del settore garantisce dalla eventuale applicazione di un contratto collettivo c.d. “pirata”, cioè sottoscritto da organizzazioni sindacali minoritarie e quindi poco rappresentative, o l’applicazione di un contratto collettivo non pertinente rispetto al settore di attività in cui opera la cooperativa. Ed infatti, nel caso di specie, la cooperativa svolgeva attività relative a servizi di “guardia non armata, portierato, custodia, reception, revisione e manutenzione delle relative attrezzature”, applicando, come detto, il CCNL per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari dell'8 aprile 2013, che ha ad oggetto, appunto, l’attività di vigilanza privata e i servizi fiduciari. Come ha potuto rilevare il Tar, il suddetto CCNL "appare appropriato rispetto all’attività svolta dalla cooperativa", non allo stesso modo il CCNL per l’area Multiservizi che si riferisce alle imprese che operano anche nel settore della pulizia, della logistica e dei servizi integrati di global service, cui la ricorrente risultava estranea. Ribadisce altresì il Tar che il CCNL da applicare ai propri dipendenti rientra nella scelta discrezionale del datore di lavoro e, salvo il caso di contratti collettivi contenenti previsioni contrarie alla legge oppure riferibili a categorie del tutto disomogenee con quelle in cui opera l’impresa, la decisione non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale.

Pubblicazione legale

Reintegra del dipendente licenziato per scarso rendimento

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Secondo una recentissima pronuncia della Corte Costituzionale (Cass. Ordinanza 1584/2023) “ lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un'indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite.” I fatti. Il dipendente di una società viene licenziato per scarso rendimento e insufficienza nello svolgimento delle proprie mansioni. Il lavoratore ricorre avverso tale licenziamento e il Tribunale accoglie le sue richieste pronunciandosi a favore della reintegra e del pagamento di una indennità, sostenendo che l’adozione di un precedente provvedimento sanzionatorio conservativo e di un successivo provvedimento sanzionatorio di licenziamento sulla base della medesima contestazione configuri una violazione del principio del ne bis in idem. Il licenziamento infatti traeva origine da precedenti disciplinari, già sanzionati con misure non espulsive, per il rendimento inferiore alla media del dipendente imputabile a negligenza, incapacità e imperizia. La società datrice di lavoro ricorre in appello avverso la sentenza di primo grado ma la Corte d’appello adita conferma la decisione di primo grado. La società datrice di lavoro ricorre dunque in Cassazione, la quale però nuovamente riconosce le ragioni del lavoratore. La Corte, ribadisce infatti quanto già statuito in diverse precedenti pronunce e dunque che l’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento, si connota, sul piano oggettivo, per un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile e, sul piano soggettivo, per l’imputabilità a colpa del lavoratore. Per tale motivo, lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un’indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite. E dunque, deve applicarsi anche nella fattispecie di scarso rendimento di cui alla disciplina speciale del R.D. n. 148 del 1931, il divieto, più volte affermato dalla Corte con riguardo al procedimento disciplinare, di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica. Ritiene ancora la Corte che la società datrice di lavoro aveva già consumato il proprio potere disciplinare ed allora non residuava più alla datrice spazio alcuno per operare una complessiva valutazione del pur cospicuo curriculum disciplinare del lavoratore. Del resto già in pronunce precedenti la Corte aveva osservato e ritenuto che “Una volta che, di fronte ad una condotta disciplinarmente rilevante, il datore di lavoro abbia esercitato il proprio potere punitivo, non solo si verifica la consumazione del potere in capo al titolare, sicché lo stesso non può più esercitarlo per il medesimo fatto, ma allo stesso tempo, il fatto costituente addebito disciplinare diviene non più sanzionabile, quindi perde il carattere di illiceità per l’esaurirsi del potere sanzionatorio.” Il fatto non più sanzionabile, quindi non più suscettibile di provocare l’esercizio legittimo del potere disciplinare, equivale a fatto non più antigiuridico, quindi privo di antigiuridicità. Dunque in caso di pregressa consunzione del potere disciplinare, il fatto o i fatti in precedenza oggetto di contestazione e di sanzione, quand’anche antigiuridici all’origine, non lo sono più se nuovamente contestati, appunto perché già “puniti”. Come tali, sono solo fatti storici privi di disvalore apprezzabile in un nuovo contesto disciplinare, se non dal differente punto di vista della c.d. recidiva. E quindi concludendo, non si può licenziare il dipendente per condotte già punite.

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Lo studio

Annalisa Borzi
Via 3 Novembre N. 8
Gallicano nel Lazio (RM)

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