Quante volte abbiamo sentito parlare di Revenge Porn?
Esso è – purtroppo – un fenomeno diffuso sempre più in molti paesi occidentali e ovviamente anche in Italia. Sostanzialmente si tratta di una vera e propria “vendetta” (da qui la parola inglese 'revenge' che appunto significa vendetta) nei confronti della vittima realizzata con il diffondere immagini private ovvero video che abbiano un contenuto sessuale esplicito della stessa.
Una condotta che potremmo inserire tra il c.d. cyber-bullismo e il c.d. Reato di stalking previsto dall'art. 612-bis del codice penale.
Molti stati, tra cui ricordiamo ad esempio il Regno Unito, puniscono detta tipologia di reato come un reato del tutto autonomo e ciò ha portato ad una drastica riduzione dello stesso.
Anche nel nostro paese, a seguito dell'approvazione - da parte del nostro legislatore - di un emendamento di modifica del codice penale è stato introdotto l'art. 612 ter c.p. intitolato appunto “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
Norma finalmente introdotta dal legislatore (la proposta di legge fu ribattezzata “Codice Rosso”) che va principalmente a contrastare la c.d. violenza di genere e che inasprisce le pene previste per altri reati 'similari', giungendo ad infliggere una pena fino a sei anni di reclusione (escluse le aggravanti che esamineremo infra).
Come è agevole notare l'art. 612 ter è preceduto, nel codice di rito, dall'art. 612 bis (ovvero reato di atti persecutori, il c.d. Stalking) e dall'art. 612 c.p. relativo al reato di minaccia.
Il nostro legislatore ha voluto chiaramente porre una continuità tra questa tipologia di reati.
Esaminiamo compiutamente l'articolo 612 ter c.p., riguardante il c.d. Revenge Porn (volendo tradurre il termine potremmo intendere una sorta di 'vendetta' a sfondo pornografico).
Il primo comma recita:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”
L'oggetto della condotta sono chiaramente tutti quei video e tutte quelle immagini che abbiano un “contenuto espressamente esplicito”, il primo comma punisce quindi chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.
Non necessariamente dunque il soggetto del reato deve essere l'autore della ripresa del video o delle immagini, atteso che viene ricompresa nella fattispecie in parola anche la mera sottrazione del video o di una immagine e chiaramente la successiva divulgazione delle stesse. In tal senso la condotta in esame risulta essere estremamente esplicita nella sua modalità di realizzazione del reato: resta quindi esclusa la detenzione del materiale ad uso strettamente personale.
Per “sottrazione” deve intendersi una sottrazione violenta o comunque avvenuta in modo fraudolento. In caso contrario, laddove il soggetto passivo ovvero la vittima cedesse spontaneamente le immagini o i video all'agente, in tal caso la norma fornisce comunque una tutela che tuttavia rientra nell'ipotesi di cui al comma secondo dell'articolo in parola.
E' chiaro che il reato sussiste laddove e solo laddove manchi il consenso della persona ritratta nel video o nelle immagini incriminate.
Appare chiaro che dunque il consenso debba essere del tutto libero e non viziato in alcun modo e chiaramente consenso avuto da un soggetto capace di intendere di volere.
Il
secondo
comma
recita:
“La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”.
Ricollegandoci a quanto dicevamo poco fa il comma secondo dell'art. 612-ter c.p. Punisce con le medesime sanzioni di cui al primo comma anche coloro che avendo ricevuto o acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso dei soggetti ritratti o ripresi.
Il punto finale del secondo comma è molto importante... in quel “al fine di recare loro nocumento” si richiama il c.d. “dolo specifico” e dunque il recare un danno alle persone oggetto dei video o delle immagini.
Per comprendere cosa la norma intende per nocumento ci viene in soccorso la giurisprudenza la quale chiarisce che per nocumento si deve intendere “un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale e non, cagionato sia alla persona alla quale i dati illecitamente trattati si riferiscono sia a terzi quale conseguenza della condotta illecita.” (si confronti sul punto Corte di Cassazione Penale – Sezione III, sentenza n. 15221, 23 novembre 2016).
Il terzo comma del reato in parola prevede poi che “La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”.
Ovviamente il terzo comma introduce quello che si definisce aumento di pena. Si prevede dunque che la pena è aumentata se i fatti sono stati commessi da dei soggetti specifici, o meglio i c.d. soggetti qualificati. E' agevole comprendere quali essi siano: il coniuge – anche separato o divorziato – ovvero altre persone che sono o sono state legate da una relazione affettiva con la vittima oggetto del revenge porn.
Il legislatore ha inteso inasprire ancor più la pena ovviamente perchè in tal caso il soggetto autore del reato è una persona a cui la vittima è od è stata legata e astrattamente il pretium doloris sopportato potrebbe essere di gran lunga maggiore rispetto a video posto in essere da un soggetto 'estraneo'.
Altri
aumenti di pena sono previsti dal comma
IV^
dell'articolo in parola, il quale prevede che : “La
pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in
danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in
danno di una donna in stato di gravidanza”.
In
tal caso la norma è estremamente più rigida e aspra e tesa ad
offrire e garantire una sorta di tutela rafforzata. La pena infatti è
aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono stati commessi nei
confronti di un soggetto c.d. 'debole' ovvero una persona in
condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna
in stato di gravidanza.
Il comma V^ infine recita “Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d'ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
Tale comma ricalca sostanzialmente il capoverso previsto dall'art. 612.bis c.p., il c.d. Stalking.
Il reato di revenge porn è perseguibile, di regola, a querela della persona offesa e soprattutto entro il termine di sei mesi. Si noti subito che l'ordinario termine previsto dalla norma è di tre mesi. Anche in tal caso il Legistlatore ha voluto rafforzare la tutela per simili tipologie di reato e il motivo è ben chiaro ovviamente.
Va da sé che il reato in esame sarà invece perseguibile anche d'ufficio laddove la vittima sia un soggetto previsto dai casi di cui al comma precedentemente esaminato.
NO alla violenza di genere!
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