Pubblicazione legale:
Atti persecutori e
omicidio-femminicidio.
Dov’è l’errore?
Quanto è
decisiva in un’ottica preventiva per la vittima la completa e
integrale enunciazione dei fatti denunciati in querela?
Alessandra
Matteuzzi, 57enne uccisa dall'ex compagno nel cortile dove risiedeva,
dopo una violenta aggressione con un martello.
Un gesto di raptus?
No. Non lo è mai.
L'omicidio dell'ex partner/partner non è mai
un evento improvviso agganciato ad un gesto di follia, e la mia breve
esperienza mi suggerisce con estrema certezza sia un gesto
programmato che si snoda attraverso condotte violente prodromiche
realizzate da qualcuno che molte volte non accetta la fine di una
relazione, o la semplice volontà di separarsi del partner.
I
segnali pertanto ci sono sempre, e almeno sulla carta gli strumenti
procedurali finalizzati a tutelare possibili future vittime, pure.
Ma cè un dato che per quanto spaventoso deve far riflettere: un
recente rapporto dell' Istat registra che Il lockdown ha posto
l'accento sulle differenze della violenza contro gli uomini e le
donne: “Le donne sono uccise sempre di più tra le mura domestiche,
da partner o ex partner e parenti. Gli uomini sono invece uccisi in
prevalenza da persone che non conoscono, da conoscenti e nell’ambito
della criminalità organizzata».
È per dati come questo che
esiste un fenomeno chiamato “femminicidio” che non cessa di
avanzare nonostante l'introduzione del “codice rosso” e delle
altre forme di prevenzione implementate.
Ma allora che cosa
sbagliamo?
Troppe le richieste di aiuto non adeguatamente e
tempestivamente raccolte da una parte, ma troppe le donne che non
denunciano per la presenza di figli, per non attribuire ciò che loro
erroneamente considerano una punizione eccessiva al partner, o donne
che magari denunciano ma in maniera incompleta omettendo i fatti cosi
come realmente avvenuti e minimizzando loro stesse i segnali di
pericolo che la “bestia” offre.
Ed è proprio nell’ultimo
caso summenzionato che il ruolo delle istituzioni giudiziarie (
polizia giudiziaria, servizi sociali, e in parte residuale
magistratura) e del penalista eventualmente già designato dalla
vittima assumono un ruolo determinante per la stesura di una querela
completa che riporti integralmente i fatti avvenuti, puntuale
nell'indicare agli inquirenti fatti più gravi di violenza fisica
(anche una spinta o uno schiaffetto è un campanello d’allarme),
anche se accaduti tempo addietro.
L'enunciazione in querela di
tali episodi, solo se reali, risulta di notevole importanza perchè
il magistrato chiamato a decidere sull'adozione o meno di una misura
cautelare preventiva ( divieto di avvicinamento, arresti domiciliari
o custodia in carcere) in virtù di un reato astrattamente
ipotizzabile come ad es. quello di atti persecutori di cui all'art.
612-bis c.p. valuta tali segnalazioni, esposti o denunce sulla base
di elementi cartolari e pregnanti, e se non ci sono indicazioni
precise in merito egli è restio a disporre uno degli strumenti di
tutela summenzionati.
Ed è proprio quello che pare sia successo
nella vicenda di Alessandra Matteuzzi, nella cui denuncia non
venivano rappresentati episodi di violenza fisica ma solo
appostamenti, danneggiamenti e qualche molestia. E forse è stato
proprio questo l’elemento che non ha consentito al magistrato di
adottare alcuna misura significativa.
Quindi come intervenire?
A
fare la differenza debbono essere le istituzioni giudiziarie
summenzionate nella fase di recepimento della denuncia e gli avvocati
penalisti nella fase di stesura della querela, cercando di leggere
tra le righe di quanto esposto dalla vittima, carpire ciò che a
volte quest'ultima sottintende magari con l'espressione del volto ma
che ha timore di esternare a parole per i motivi summenzionati. La
vittima va aiutata e sollecitata a raccontare quelli che poi sono i
veri campanelli d'allarme che consentono l'adozione di una misura
cautelare idonea.
Certi fatti bisogna cercare di capirli a
prescindere e intervenire al primo segnale.
Non c’è altra
strada.
Ed è sempre più una questione di sensibilità ed
empatia che molto spesso difetta in coloro che sono deputati a questa
delicata funzione.
Ma forse lo è sempre stata.
Una cosa però
è certa: il contrario non è più ammissibile ed è diventato
inaccettabile per chi è chiamato a gestire situazioni di dominio
basate sulla violenza di genere.
Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
© Copyright IUSTLAB - Tutti i diritti riservati
Privacy e cookie policy