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Atti persecutori e omicidio-femminicidio. Dov’è l’errore? Quanto è decisiva in un’ottica preventiva per la vittima la completa e integrale enunciazione dei fatti denunciati in querela?

Scritto da: Antonio Vicidomini - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Atti persecutori e omicidio-femminicidio.
Dov’è l’errore?
Quanto è decisiva in un’ottica preventiva per la vittima la completa e integrale enunciazione dei fatti denunciati in querela?

Alessandra Matteuzzi, 57enne uccisa dall'ex compagno nel cortile dove risiedeva, dopo una violenta aggressione con un martello.
Un gesto di raptus? No. Non lo è mai.
L'omicidio dell'ex partner/partner non è mai un evento improvviso agganciato ad un gesto di follia, e la mia breve esperienza mi suggerisce con estrema certezza sia un gesto programmato che si snoda attraverso condotte violente prodromiche realizzate da qualcuno che molte volte non accetta la fine di una relazione, o la semplice volontà di separarsi del partner.
I segnali pertanto ci sono sempre, e almeno sulla carta gli strumenti procedurali finalizzati a tutelare possibili future vittime, pure.
Ma cè un dato che per quanto spaventoso deve far riflettere: un recente rapporto dell' Istat registra che Il lockdown ha posto l'accento sulle differenze della violenza contro gli uomini e le donne: “Le donne sono uccise sempre di più tra le mura domestiche, da partner o ex partner e parenti. Gli uomini sono invece uccisi in prevalenza da persone che non conoscono, da conoscenti e nell’ambito della criminalità organizzata».
È per dati come questo che esiste un fenomeno chiamato “femminicidio” che non cessa di avanzare nonostante l'introduzione del “codice rosso” e delle altre forme di prevenzione implementate.
Ma allora che cosa sbagliamo?
Troppe le richieste di aiuto non adeguatamente e tempestivamente raccolte da una parte, ma troppe le donne che non denunciano per la presenza di figli, per non attribuire ciò che loro erroneamente considerano una punizione eccessiva al partner, o donne che magari denunciano ma in maniera incompleta omettendo i fatti cosi come realmente avvenuti e minimizzando loro stesse i segnali di pericolo che la “bestia” offre.
Ed è proprio nell’ultimo caso summenzionato che il ruolo delle istituzioni giudiziarie ( polizia giudiziaria, servizi sociali, e in parte residuale magistratura) e del penalista eventualmente già designato dalla vittima assumono un ruolo determinante per la stesura di una querela completa che riporti integralmente i fatti avvenuti, puntuale nell'indicare agli inquirenti fatti più gravi di violenza fisica (anche una spinta o uno schiaffetto è un campanello d’allarme), anche se accaduti tempo addietro.
L'enunciazione in querela di tali episodi, solo se reali, risulta di notevole importanza perchè il magistrato chiamato a decidere sull'adozione o meno di una misura cautelare preventiva ( divieto di avvicinamento, arresti domiciliari o custodia in carcere) in virtù di un reato astrattamente ipotizzabile come ad es. quello di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p. valuta tali segnalazioni, esposti o denunce sulla base di elementi cartolari e pregnanti, e se non ci sono indicazioni precise in merito egli è restio a disporre uno degli strumenti di tutela summenzionati.
Ed è proprio quello che pare sia successo nella vicenda di Alessandra Matteuzzi, nella cui denuncia non venivano rappresentati episodi di violenza fisica ma solo appostamenti, danneggiamenti e qualche molestia. E forse è stato proprio questo l’elemento che non ha consentito al magistrato di adottare alcuna misura significativa.
Quindi come intervenire?
A fare la differenza debbono essere le istituzioni giudiziarie summenzionate nella fase di recepimento della denuncia e gli avvocati penalisti nella fase di stesura della querela, cercando di leggere tra le righe di quanto esposto dalla vittima, carpire ciò che a volte quest'ultima sottintende magari con l'espressione del volto ma che ha timore di esternare a parole per i motivi summenzionati. La vittima va aiutata e sollecitata a raccontare quelli che poi sono i veri campanelli d'allarme che consentono l'adozione di una misura cautelare idonea.
Certi fatti bisogna cercare di capirli a prescindere e intervenire al primo segnale.
Non c’è altra strada.
Ed è sempre più una questione di sensibilità ed empatia che molto spesso difetta in coloro che sono deputati a questa delicata funzione.
Ma forse lo è sempre stata.
Una cosa però è certa: il contrario non è più ammissibile ed è diventato inaccettabile per chi è chiamato a gestire situazioni di dominio basate sulla violenza di genere.



Pubblicato da:


Antonio Vicidomini

Avvocato Penalista