Pubblicazione legale
Una ritardata Giustizia equivale a mancata Giustizia!
Pubblicato su IUSTLAB
“ Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare ”. Così si
giustificava il manzoniano Don Abbondio, consegnandosi alla memoria letteraria
nazionale come l’imbelle per antonomasia, e l’ennesima ordinanza che manifesta
la scarsa propensione di certi Magistrati a prendere davvero in mano le redini
del processo ci ricorda quanti Don Abbondio siedano dietro le scrivanie delle
nostre aule di giustizia.
La vicenda
In un procedimento promosso ex
art. 702 bis cpc in materia di responsabilità medica ante legge Gelli e
preceduto da un 696 bis cpc conclusosi con una CTU totalmente favorevole alla
paziente (una giovane donna alla quale, dopo il parto, è stata praticata, in
una situazione di complicanza emorragica, una isterectomia totale che tuttavia
poteva essere evitata), l’istruttore, che peraltro aveva già ritenuto,
inspiegabilmente, di mutare il rito in ordinario, dopo avere acquisito il
fascicolo con la CTU ha disposto un nuovo accertamento peritale.
Eppure ci eravamo battuti
affinché il Giudice, peritus peritorum ,
utilizzasse la CTU del 696 bis al fine di decidere, ovvero, al più, quale base
per formulare una proposta conciliativa ex art. 185 bis cpc.
La motivazione ricalca le
medesime, sconcertanti, argomentazioni che, secondo una sorta di protocollo
comune, sono reiterate dal Tribunale di appartenenza: “ rilevato che la relazione di ctu redatta nel corso del procedimento ex
art. 696 bis cpc non possa essere assimilata quoad effectum alla relazione di
ctu, sia essa espletata nel corso del giudizio di cognizione che nell’ambito
dell’a.t.p. ex art. 696 cpc, atteso che ratio dell’art. 696-bis è quella di
incentivare la conciliazione pre-giudiziale, e non quella di fornire alle parti
uno strumento di precostituzione di un mezzo di prova da far valere nel
giudizio di merito, tant’è che il legislatore non ha esteso all’accertamento
tecnico in funzione conciliativa il principio del contraddittorio tecnico… ”.
Orbene, anzitutto la motivazione
è incongrua in assoluto, giacché appare discutibile il richiamo alla
precostituzione di mezzi di prova da far valere nel merito, non essendo
notoriamente la CTU un mezzo di prova in senso proprio ma un supporto tecnico
al quale il giudicante può ricorrere, né del resto si comprende quale sarebbe “ il principio del contraddittorio tecnico ”
non applicato alla CTU del 696 bis cpc, se è vero, come è vero, che in tali
procedimenti sono garantite a tutti sia la facoltà di farsi assistere da
consulenti di parte ex art. 191 comma 2 cpc, sia quella di partecipare alla
formazione dell’elaborato definitivo sottoponendo al CTU le proprie
osservazioni a seguito dell’invio della bozza di consulenza secondo l’iter di
cui al comma 3 art. 195 cpc.
Senza contare che siffatta
interpretazione priverebbe di valore la disposizione del 5 comma dell’art. 696
bis cpc, che prevede a istanza di parte l’acquisizione della relazione nel
successivo giudizio di merito ove la conciliazione non riesca: perché il
legislatore avrebbe previsto l’acquisizione della consulenza nel giudizio di
merito se la stessa fosse ivi inutilizzabile?
Ma soprattutto sconcerta il fatto
che il Giudice, pur di nascondersi dietro al dito della prassi del suo ufficio,
abbia ignorato le particolarità del caso concreto, sulle quali abbiamo
inutilmente tentato di richiamare l’attenzione del Magistrato e che se
adeguatamente considerate gli avrebbero consentito, portando il processo a
decisione, di non perdere l’occasione per fare il Giudice, appunto, e non
l’impiegato:
– una CTU curata nei minimi
particolari da uno specialista ginecologo di competenza ed affidabilità
assolute, che con tecnica controfattuale inappuntabile aveva anche indicato
minuziosamente tutte le manovre alternative all’intervento di isterectomia
totale praticato dai sanitari, rimaste naturalmente intentate;
– l’assoluta carenza di contenuto
delle difese della struttura sanitaria convenuta, che già prima della CTU aveva
sostenuto la correttezza dell’operato dei sanitari del tutto apoditticamente,
senza cioè nemmeno tentare di argomentare perché l’intervento eseguito non
sarebbe stato evitabile;
– la passività totale del
consulente della struttura, che non aveva fatto pervenire al CTU le
osservazioni di cui all’art. 195 comma 3 cpc, di fatto prestando acquiescenza
alle conclusioni del consulente d’ufficio;
– la mancanza assoluta di
argomenti difensivi della struttura convenuta anche nel giudizio di merito,
giacché la stessa non era in grado di indicare nemmeno un motivo, che fosse
uno, per cui l’operato del CTU nel 696 bis dovesse considerarsi, sotto qualche aspetto,
censurabile.
Ci chiediamo come il Giudice non
abbia compreso che avrebbe avuto più che ragionevoli motivi per avere coraggio
e discostarsi dalla giurisprudenza, comunque ampiamente criticabile, del suo
ufficio.
E ci chiediamo perché ancora non
si comprenda da parte dei Magistrati che la ritardata giustizia è negata
giustizia.
Sarebbe bastato anche solo un po’
di buon senso per comprendere che poteva essere l’occasione per compensare
almeno parzialmente l’ingiustizia della menomazione subita da una giovane
donna.
Ma la forma ha vinto ancora una
volta sulla sostanza.
Ed appare quasi una presa in giro
da parte del Giudice l’affermare: “ fermo
restando che, ove all’esito di tale accertamento sia profilata una soluzione in
linea con il preventivo orientamento, gli attori saranno legittimati a
richiedere il risarcimento ex art. 96 cpc per lite temeraria, in quanto la
convenuta li ha costretti a sostenere i costi e le lungaggini del giudizio che
si sarebbe dovuto evitare ”.
La convenuta appronta la propria
difesa e cerca di procrastinare il momento in cui sarà chiamata a corrispondere
un risarcimento, e questo è nella natura delle cose.
Ma non lo è altrettanto da parte
del Giudice il trincerarsi dietro argomenti solo formali pur di non fare ciò
che dovrebbe, per di più scaricando sulla parte convenuta la responsabilità
delle “lungaggini del giudizio” da esso stesso determinate.
Abbiate coraggio, Giudici!