Caso legale:
Attualmente, in virtù della riforma del 2019, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall'art. 2 del d.lgs. 74/2000, stabilisce che "è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni [annuali] relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
2-bis. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni".
Nel caso all'esame dello studio, tuttavia, le operazioni contestate risalivano al 2016 laddove pertanto non poteva essere applicata la normativa entrata in vigore successivamente ai fatti, ma quella antecedente che prevedeva una pena da 1,6 anni a 6 anni quindi molto inferiore rispetto alla cornice edittale attualmente in vigore che prevede una pena da 4 a 8 anni di reclusione.
Inoltre, l'imputato aveva tempestivamente aderito alla procedura di conciliazione tributaria per il pagamento del debito erariale, per cui è stata chiesta ed ottenuta l'attenuante di cui all'art. 13 bis che ha consentito di dimezzare la pena e soprattutto evitare le sanzioni accessorie previste dalla normativa.