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Aumento del costo delle materie prime: possibili rimedi

Scritto da: Marco Napolitano - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Aumento del costo delle materie prime: possibili rimedi contrattuali.

E' ormai noto che negli ultimi mesi sono sono registrati significativi e imprevisti incrementi dei prezzi di acquisto delle materie prime utilizzate nei cicli produttivi. L'aumento del costo delle materie prime è dovuto a diversi fattosi scatenanti, tra cui la difficoltà di far viaggiare le merci nel contesto pandemico in corso.

Tale fenomeno deve considerarsi necessariamente straordinario e imprevedibile in quanto travalica le normali fluttuazioni del mercato che generalmente possono influenzare qualsiasi rapporto commerciale.

Per tale ragione può ritenersi necessario attuare dei possibili rimedi sia in relazione ai contratti in corso sia per quelli di futura stipulazione.

Possibili rimedi per i contratti già stipulati

Per quanto concerne i contratti in corso in primo luogo occorre effettuare innanzitutto un'analisi del singolo caso concreto, se l'accordo è stato stipulato in forma scritta.

In particolare è opportuno verificare il contenuto delle condizioni generali e particolari per appurare se esistano o meno nel testo del contratto clausole che già prevedano la possibilità di adeguare i prezzi o che regolino l'ipotesi dello stato di necessità o dell'impossibilità temporanea o definitiva di eseguire la prestazione. In tal caso la richiesta di adeguamento dei prezzi a causa dell'aumento del costo delle materie prime potrebbe essere avanzata richiamandosi alla normativa contrattuale.

Solo nel caso in cui il contratto scritto non preveda nulla in merito, per procedere ad una specifica richiesta di rinegoziazione a causa dell'aumento del prezzo delle materie prime occorre richiamarsi alla normativa codicistica e agli orientamenti giurisprudenziali.

Al fine deve innanzitutto invocarsi il principio di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione, che regola sia la gestione delle sopravvenienze che perturbano dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali, sia la scelta dei rimedi di natura legale e convenzionale. Tale principio trova la propria applicazione concreta nei precetti che impongono alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.) secondo i quali ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l'interesse dell'altro se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio.

Di recente tale impostazione è stata fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione (relazione 8 luglio 2020, n. 56) la quale si è espressa in senso favorevole alla rinegoziazione delle clausole durante la vita del contratto al fine di adattarlo alle sopravvenienze che ne alterano l'equilibrio. Viene delineato un vero e proprio obbligo contrattuale della controparte a intavolare trattative a condurle correttamente secondo quanto prevede l'art. 1374 c.c. in omaggio al principio generale di conservazione del contratto sotteso all'art. 1361 c.c., fermo restando il fatto che non sia obbligatorio addivenire ad una rinegoziazione effettiva dell'accordo.

In caso di aumento del costo delle materie prime potrebbe rilevare la norma che regola le circostanze sopravvenute per causa non imputabile al debitore tali da rendere la prestazione parzialmente impossibile ai sensi dell'art. 1464 c.c., in forza della quale può domandarsi la riduzione della prestazione incisa dal maggior costo sopravvenuto; tuttavia se il creditore non ha interesse a ricevere un adempimento parziale il contratto si risolve.

Potrebbe altresì invocarsi la fattispecie di cui all’art. 1256 comma 2 c.c. che regola l'impossibilità temporanea di adempiere la prestazione a causa dell'incremento del costo delle materie prime, per cui il debitore non è responsabile per il ritardo per il tempo in cui la prestazione è impossibile, ma l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a rendere la prestazione non più di interesse per il creditore.

Potrebbe infine invocarsi al fattispecie che regola l’eccessiva onerosità sopravvenuta di eseguire la prestazione, prevista dall’art. 1467 c.c., che si riscontra nell’ipotesi in cui avvenimenti straordinari e imprevedibili estranei alle parti contrattuali, straordinari sul piano oggettivo e impronosticabili alterino il nesso di interdipendenza anche economica tra le prestazioni. In tal caso la parte che subisce tale effetto può chiedere la risoluzione del contratto, che l’altra parte può evitare proponendo la modifica di alcune clausole o condizioni.

Possibili rimedi per i contratti futuri

Con riferimento, invece, ai contratti futuri si ritiene opportuno, laddove possibile, l'inserimento di specifiche clausole di revisione dei prezzi collegate all'andamento della quotazione delle materie prime. Tali clausole andranno diversamente modulate a seconda della tipologia di contratto e delle specifiche condizioni generali e particolari. Potrebbe essere opportuno riferirsi a borsini dei prezzi con carattere di ufficialità, come quelli rilevati periodicamente dalle Camere di Commercio o le rilevazioni Istat e gli indici delle principali borse merci e materie prime.

Nel caso in cui tali dati manchino o non siano facilmente rilevabili potrebbe essere opportuno inserire nel contratto una specifica clausola di nomina di un soggetto esterno "arbitratore" (art. 1473 c.c.). Tale figura sarebbe chiamata a determinare  la misura dell'eventuale aumento/diminuzione del prezzo delle materie prime, a verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione della revisione prezzi e a determinare il prezzo applicabile alle prestazioni dedotte nel contratto.

Avv. Marco Napolitano


Avv. Marco Napolitano - Avvocato per le imprese

Nella mia professione nutro una particolare predilezione per il mondo dell'impresa. Assisto le imprese sia in ambito civilistico (contenzioso fiscale, contrattualistica, recupero crediti, consulenza in ambito di rapporti tra soci e di management, contenzioso di diritto industriale, assistenza nella crisi di impresa, diritto del lavoro) sia in ambito di diritto penale (fallimentare, tributario, societario e responsabilità ex D.Lgs. 231/01). Mi avvalgo del costante confronto con professionisti esperti in ambito contabile, fiscale e di consulenza bancaria.




Marco Napolitano

Esperienza


Diritto commerciale e societario

Ho maturato esperienza nell'assistenza alle imprese in tema di contenzioso societario, che riguarda sia i rapporti economico/patrimoniali tra soci e impresa, sia la tutela dell'impresa in caso di mala gestio degli amministratori.


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Consulenza a società e imprese individuali in ambito di stesura e revisione di contratti commerciali, predisposizione di corrispondenza con clienti, fornitori, enti pubblici e privati. Assistenza nella gestione del contenzioso ordinario. Recupero crediti insoluti. Ricorso a procedure di mediazione e arbitrato.


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Assisto le aziende sia nell'ambito del contenzioso amministrativo/tributario a seguito di atti impositivi emessi dall'Agenzia delle Entrate sia in sede penale, qualora vengano contestati reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000.


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Referenze

Pubblicazione legale

Il finanziamento alla societa' del socio cessionario della quota

Pubblicato su IUSTLAB

Si pone la questione circa la sorte del finanziamento alla società del socio cessionario della quota. Ci si chiede infatti se con la cessione della propria quota sociale il socio trasferisca automaticamente anche i propri diritti relativi ai versamenti di denaro effettuati alla società nel corso del tempo a titolo di finanziamento. Al fine di chiarire tale aspetto occorre innanzitutto chiarire la distinzione tra i diversi tipi di finanziamento che il socio può erogare a favore della società. Il socio può innanzitutto finanziare la società mediante versamenti in conto capitale o a fondo perduto. Tali forme di finanziamento non sono qualificabili come mutui, quindi il socio non consegue il diritto al relativo rimborso. Vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve discrezionalmente utilizzabili dalla società per ripianare eventuali perdite o per aumentare gratuitamente il capitale sulla base dell'assunto per cui sono acquisiti definitivamente al patrimonio della società alla stregua di capitale di rischio. Il socio, inoltre, può finanziare la società a titolo di mutuo, al fine di conservare il diritto a vedersi rimborsare quanto versato. Tali rapporti, invero, sono iscritti al passivo dello stato patrimoniale come debiti verso soci. Il socio, quindi, può sempre pretendere il rimborso di quanto versato, salva la rigida applicazione della norma sulla postergazione nell'ambito delle società a responsabilità limitata (art. art. 2467 c.c.). Orbene, tornando alla questione di cui si discute, chiarita la duplice natura dei finanziamenti erogabili dal socio alla società, la cessione di una partecipazione al capitale sociale comporta il trasferimento della corrispondente parte del patrimonio sociale, comprese le riserve formate dai versamenti dei soci in conto capitale o a fondo perduto non vengono automaticamente trasferiti, invece, i crediti derivanti dai versamenti effettuati a titolo di mutuo o dal diritto al rimborso di versamenti effettuati in conto futuro aumento di capitale successivamente non deliberato dalla società Cedere la propria quota sociale a un soggetto terzo, quindi, non impica automaticamente anche la cessione del proprio credito per finanziamento socio nei confronti della società in assenza di una specifica pattuizione tra le parti. Come recentamente chiarito dal Tribunale di Milano, Sez. Specializzata Imprese n. 6042 del 09.07.2021 "costituisce principio di diritto comune che alla cessione di una partecipazione societaria se non disposto chiaramente dalle parti, non consegue quale naturale negotii il trasferimento ad opera del socio cedente dei crediti da questi vantati nei confronti della società , terza estranea al contratto, in quanto aventi fonte in un rapporto connesso ma distinto da quello sociale e quindi estranei al novero dei diritti patrimoniali inerenti alla partecipazione" . In sede di negoziazione della cessione delle quote societarie ad un terzo, quindi, è opportuno pattuire chiaramente la sorte dei crediti vantati nei confronti della società per finanziamenti erogati a titolo di mutuo. Avv. Marco Napolitano

Sentenza giudiziaria

Annullato avviso di accertamento in materia di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti

Sentenza n. 472/2023 del 09/05/2023 della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto

Sentenza della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto che accoglie l'appello promosso avverso la sentenza di primo grado in tema di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La difesa della contribuente ha fornito prove "sufficienti a contrastare quanto ipotizzato dell'Ufficio", con conseguente annullamento dell'avviso di accertamento contenente riprese in materia di IRES, IVA e IRAP.

Pubblicazione legale

Ristretta base azionaria e strategie difensive

Pubblicato su IUSTLAB

Quando si parla di società a ristretta base azionaria si fa riferimento ad una società composta da un ristretto numero di soci, molto spesso legati da vincoli di parentela. Può accadere che l’Agenzia delle Entrate a seguito dell’accertamento notificato alla società di capitali a ristretta base azionaria, con il quale procede alla rettifica e alla contestazione di un maggior reddito di impresa, notifica un secondo avviso di accertamento e rettifica della dichiarazione personale dei soci. Il ragionamento posto a sostegno di tale secondo accertamento si può individuare nella considerazione secondo la quale “ gli utili extrabilancio delle società di capitali a ristretta base azionaria si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria “. Tale regola di matrice esclusivamente giurisprudenziale viene definita “ presunzione di distribuzione ” e rientra nella categoria delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.: essa si fonda sull’assunto per cui il ristretto numero di soci e i legami qualificati tra loro determina una maggiore conoscibilità degli affari societari o comunque nell’onere del socio di conoscere tali affari. Tale presunzione scatta, quindi, vengono riscontrate le seguenti condizioni: viene emesso un avviso di accertamento di maggior reddito nei confronti della società di capitali (come ad esempio nell’ipotesi di omessa contabilizzazione di ricavi o di rilevazione di fatture inesistenti) sussiste un numero ristretto di soci , legati tra loro da vincoli di parentela e/o amicizia (coniugi, parenti o affini, non più di tre soci o anche nell’ipotesi, ad esempio, in cui la base azionaria è composta da due persone fisiche e una società finanziaria con quota di minoranza) viene esercitato un potere di controllo dell’attività della società direttamente da parte dei soci Affinché le predette condizioni possano essere poste alla base della presunzione che i soci stessi siano stati destinatari della distribuzione degli utili extracontabili generati dalla società occorre, tuttavia, che esse siano state già oggetto di accertamento in capo alla società divenuto definitivo a seguito di una rinuncia all’impugnazione giudiziale avanti alle Commissioni Tributarie competenti o perché siano esauriti i gradi di giurisdizione. Il divieto di presunzione di secondo grado impone infatti, che, affinché il fatto noto – ristretta base azionaria della società e sussistenza di maggiori redditi non dichiarati – possa essere posto alla base del fatto ignoto – distribuzione degli utili extracontabili – è necessario che il primo sia contenuto in un accertamento definitivo. Una prima strategia difensiva, quindi, potrebbe essere quella di chiedere la sospensione del procedimento sorto a seguito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento in capo al socio al fine di attendere l’esito del giudizio sorto a seguito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso in capo alla società, stante la pregiudizialità tra le due cause (si veda la recente pronuncia Cass, ordinanza 13 marzo 2015 n. 5581). Altro argomento potrebbe risiedere nella mancata allegazione all’avviso di accertamento notificato al socio l’avviso di accertamento notificato alla società, con l’effetto di aver determinato un difetto di motivazione per relationem o comunque una violazione del diritto di difesa. In ogni caso, trovandoci a operare con una presunzione semplice, ciascun socio può comunque utilizzare ulteriori argomenti difensivi per superare l’onere a suo carico di dimostrare la mancata distribuzione a suo favore di utili non contabilizzati: ad esempio dimostrando che in realtà gli utili in capo alla società siano stati accantonati o reinvestiti nell’attività di impresa, ovvero distribuiti solo ad alcuni soci o all’amministratore o ad esempio dimostrando che il socio stesso fosse formalmente privo di poteri di controllo o di effettiva gestione societaria, ricoperti dagli altri soci, dai quali non avrebbe avuto notizia dell’esistenza di somme – in quanto non riportate nella contabilità societaria – che gli altri soci stessi si sarebbero ripartiti tra loro: e ciò mediante una denuncia nei confronti di chi gestisce la società in via sostanziale, o proponendo un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori o documentando che pur avendo cercato di assumere informazioni sulla gestione sociale, a causa di atteggiamenti ostruzionistici da parte degli amministratori, non è stato possibile acquisire le dovute informazioni. Infine ulteriori argomenti spendibili nella difesa del socio possono sicuramente sovrapporsi a quelli spendibili a favore della società per dimostrare l’inesistenza di ricavi non contabilizzati né dichiarati.

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Lo studio

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Vicenza (VI)

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