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Gli interessi corrispettivi e moratori in tema di usura bancaria

Scritto da: Marco Napolitano - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Il tema degli interessi corrispettivi e moratori nell'usura bancaria ha ricoperto un ruolo molto importante per il corretto inquadramento del fenomeno.

Definizione di interessi corrispettivi e moratori

In particolare occorre premettere che gli interessi corrispettivi costituiscono il c.d. "prezzo del finanziamento", quindi la remunerazione che la banca acquisisce per aver erogato a terzi somme di denaro.

Gli interessi moratori costituiscono, invece, quelli che maturano nel caso in cui il soggetto beneficiario dell'erogazione sia inadempiente rispetto alle obbligazioni contratte.

Come anticipato, si è storicamente assistito ha opinioni differenti in merito alla necessità di conteggiare o meno tali categorie di interessi nel calcolo del tasso applicato al fine di verificarne la sussistenza di usura bancaria.

Gli orientamenti giurisprudenziali

Una delle tesi che gli istituti di credito hanno storicamente sostenuto è che gli interessi di mora non dovessero essere conteggiati ai fini del calcolo del tasso di usura bancaria, dato che non rappresenterebbero un corrispettivo remunerativo in senso stretto e possono ricondursi all'istituto delle clausole penali legittimamente inserite nei contratti bancari secondo le norme del Codice Civile. Secondo tale tesi, inoltre, l'interesse corrispettivo in quanto espressione della fruttuosità dell'attività finanziaria esercitata deve necessariamente computarsi nel calcolo del tasso usurario. L'interesse moratorio, invece, avendo natura meramente risarcitoria, è correlato all'inadempimento del beneficiario quindi si applica solo al verificarsi in una condotta illecita della parte contrattuale e non rientra, pertanto, nelle condizioni fisiologiche del contratto. Per tale ragione deve ritenersi svincolato dalla normativa antiusura.

In senso avverso a tale prospettazione la giurisprudenza di legittimità è giunta a sostenere che anche il tasso di mora debba essere al di sotto della soglia usuraria (Cass. Sez. Un. n. 19579/2020). In particolare «la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso», con la finalità di non lasciare il debitore alla mercé del finanziatore.

L'altro problema che ha generato contrasti interpretativi riguarda il computo di questo tasso nell'ambito dell'usura bancaria.

Una sentenza della Cassazione (Cass. Sez. I, n. 350/2013) aveva alimentato negli anni un vasto contenzioso data la poco chiara situazione relativa al rapporto tra il tasso di mora, corrispettivo e soglia.

La più recente giurisprudenza, anche di merito (si veda Tribunale di Roma, Sez. XVII n. 1640/2020) ha chiarito che gli interessi corrispettivi e moratori sono entrambi soggetti alla legislazione anti usura bancaria e che quindi sia l'uno che che l'altro debbano essere pattuiti e mantenuti al di sotto del tasso soglia. I due tassi, però, in sede di conteggio non devono sommarsi ma sono alternativi, dal momento che si applicano in due fasi diverse della vita del contratto, sicchè quando viene meno il tasso corrispettivo ad esso si sostituisce quello di mora.

Avv. Marco Napolitano



Avv. Marco Napolitano - Avvocato per le imprese

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Marco Napolitano

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Referenze

Pubblicazione legale

Il finanziamento alla societa' del socio cessionario della quota

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Si pone la questione circa la sorte del finanziamento alla società del socio cessionario della quota. Ci si chiede infatti se con la cessione della propria quota sociale il socio trasferisca automaticamente anche i propri diritti relativi ai versamenti di denaro effettuati alla società nel corso del tempo a titolo di finanziamento. Al fine di chiarire tale aspetto occorre innanzitutto chiarire la distinzione tra i diversi tipi di finanziamento che il socio può erogare a favore della società. Il socio può innanzitutto finanziare la società mediante versamenti in conto capitale o a fondo perduto. Tali forme di finanziamento non sono qualificabili come mutui, quindi il socio non consegue il diritto al relativo rimborso. Vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve discrezionalmente utilizzabili dalla società per ripianare eventuali perdite o per aumentare gratuitamente il capitale sulla base dell'assunto per cui sono acquisiti definitivamente al patrimonio della società alla stregua di capitale di rischio. Il socio, inoltre, può finanziare la società a titolo di mutuo, al fine di conservare il diritto a vedersi rimborsare quanto versato. Tali rapporti, invero, sono iscritti al passivo dello stato patrimoniale come debiti verso soci. Il socio, quindi, può sempre pretendere il rimborso di quanto versato, salva la rigida applicazione della norma sulla postergazione nell'ambito delle società a responsabilità limitata (art. art. 2467 c.c.). Orbene, tornando alla questione di cui si discute, chiarita la duplice natura dei finanziamenti erogabili dal socio alla società, la cessione di una partecipazione al capitale sociale comporta il trasferimento della corrispondente parte del patrimonio sociale, comprese le riserve formate dai versamenti dei soci in conto capitale o a fondo perduto non vengono automaticamente trasferiti, invece, i crediti derivanti dai versamenti effettuati a titolo di mutuo o dal diritto al rimborso di versamenti effettuati in conto futuro aumento di capitale successivamente non deliberato dalla società Cedere la propria quota sociale a un soggetto terzo, quindi, non impica automaticamente anche la cessione del proprio credito per finanziamento socio nei confronti della società in assenza di una specifica pattuizione tra le parti. Come recentamente chiarito dal Tribunale di Milano, Sez. Specializzata Imprese n. 6042 del 09.07.2021 "costituisce principio di diritto comune che alla cessione di una partecipazione societaria se non disposto chiaramente dalle parti, non consegue quale naturale negotii il trasferimento ad opera del socio cedente dei crediti da questi vantati nei confronti della società , terza estranea al contratto, in quanto aventi fonte in un rapporto connesso ma distinto da quello sociale e quindi estranei al novero dei diritti patrimoniali inerenti alla partecipazione" . In sede di negoziazione della cessione delle quote societarie ad un terzo, quindi, è opportuno pattuire chiaramente la sorte dei crediti vantati nei confronti della società per finanziamenti erogati a titolo di mutuo. Avv. Marco Napolitano

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Prescrizione della liquidazione della quota del socio uscente

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Da quando decorre il termine di prescrizione della liquidazione della quota del socio uscente? Come noto la cessazione per morte, recesso, esclusione attribuisce al socio cessato o ai suoi eredi il diritto alla liquidazione della quota di una società in nome collettivo , a differenza dell'ipotesi in cui la cessazione avvenga per trasferimento a titolo oneroso o per donazione. I soci cessati (o i loro eredi), quindi, hanno diritto a ricevere una somma di denaro corrispondente al valore della quota entro sei mesi dalla cessazione del rapporto sociale. Unico soggetto obbligato a liquidare la quota è la società e non già i soci personalmente, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 11/02/1998 n. 4103; Cass. 10/06/1998, n. 5757) sulla base del principio per cui la società, seppur priva di personalità giuridica e con autonomia patrimoniale imperfetta, è pur sempre soggetto di diritto titolare dei beni sociali e dotata di capacità giuridica sostanziale e processuale nei rapporti esterni. Ne consegue che la proposizione della domanda di liquidazione della quota va esperita esclusivamente nei confronti della società, senza necessità di chiamare in causa i soci che non sono litisconsorti necessari. Dal momento che la norma prevede che la società sia tenuta ad adempiere entro sei mesi dalla data di scioglimento del rapporto sociale, ciò implica che essa abbia la facoltà di eseguire la prestazione sino alla scadenza di detto termine e che, quindi, il socio non possa predetenere la prestazione prima di allora. Ne consegue che alla scadenza del termine ai sensi dell'art. 2289, comma 4 c.c., la società è costituita automaticamente in mora e sono dovuti gli interessi di mora e il risarcimento del danno per svalutazione monetaria. Alla luce di quanto sopra la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente confermato l'orientamento per cui il termine di prescrizione del diritto a ricevere la liquidazione della quota inizi a decorrere da quando la prestazione dovuta al socio uscente diventi esigibile. Essendo di sei mesi il termine per l'adempimento posto a favore della società, come detto sopra, la prescrizione della liquidazione della quota del socio uscente cominicia a decorrere solo dopo la scadenza di tale termine, in quanto il creditore prima non può esigere la prestazion e (Cass. 13 gennaio 2022, n. 1200). Il termine prescrizionale può essere interrotto nelle forme e con le ordinarie modalità previste dall'ordinamento. E' significativo, peraltro, l'orientamento giurisprudenziale per cui l'onere di provare il valore della quota del socio uscente di una società di persona incomba sui soci superstiti e non sul socio uscente, in virtù del principio di prossimità della prova (Cass. 19.02.2020, n. 4260). Nel caso in cui si perfezioni la prescrizione della liquidazione della quota del socio uscente , la quota non liquidata viene automaticamente ripartita tra i soci superstiti in proporzione alle partecipazioni di ciascuno. Avv. Marco Napolitano

Pubblicazione legale

Coniugi e partecipazioni societarie

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L’acquisto di partecipazioni societarie da parte di uno dei coniugi può comportare che anche all’altro coniuge sia attribuita la qualifica di socio? Occorre innanzitutto chiarire che se i coniugi, al momento dello scambio dei consensi, optano per il regime della separazione legale dei beni la risposta è negativa. Per i coniugi in regime di separazione legale dei beni l’acquisto di partecipazioni societarie da parte di uno non sortisce alcun effetto sull’altro. Le due posizioni restano nettamente separate e l’altro coniuge non acquisisce alcun diritto su quelle partecipazioni. La questione si pone, invece, per i coniugi che abbiano optato per il regime della comunione legale dei beni. La regola generale prevede che, salvo che non si sia optato per il regime di separazione, i beni acquistati durante il matrimonio, anche da uno solo dei coniugi, rientrano nella comunione legale (art. 177 c.c.) e sono in comproprietà indisponibile al 50% con l’altro coniuge. Ci si chiede, quindi, se questa regola si applichi anche alle partecipazioni societarie. Occorre distinguere due ipotesi che riguardano, rispettivamente, l’ipotesi di beni acquistati in regime di comunione legale che conservano l’esclusiva proprietà di uno dei coniugi e quelle che, al contrario, rientrano nella comunione legale: 1 – le partecipazioni societarie personali Gli acquisti di partecipazioni societarie (azioni e quote) effettuate da uno solo dei coniugi sono esclusi dalla comunione legale quando sono avvenute prima del matrimonio o durante il matrimonio per effetto di donazione, testamento o con il corrispettivo del trasferimento di beni personali a condizione ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto. In questo caso, quindi, l’acquisto di partecipazioni societarie pagandola con un bene personale e ciò sia espressamente menzionato nell’atto, queste sono di proprietà unicamente del coniuge acquirente senza che l’altro possa vantare alcun diritto. 2 – le partecipazioni societarie in comunione Se non si verificano le condizioni di cui al punto precedente, invece, si ha l’ipotesi in cui l’acquisto della partecipazione sociale da parte di uno dei coniugi rientra nella comunione legale. In questo caso, tuttavia, occorre distinguere due ulteriori ipotesi: A) Nel caso in cui la partecipazione comporta la responsabilità illimitata del socio (s.n.c., accomandatario di s.a.s. e s.a.p.a.) oppure quando essa è acquistata come bene destinato all’esercizio dell’impresa, essa rientra solo nella comunione de residuo o “non immediata” (art. 178 c.c.) che comprende tutti quei beni che normalmente non cadono nella comunione legale ma ne fanno parte solo al momento del relativo scioglimento se ancora esistenti o non consumati. Anche gli aumenti della quota di partecipazione avvenuti durante il matrimonio con aumento di capitale nonché gli utili di esercizio rientrano nella predetta comunione “de residuo” . La qualifica di socio, pertanto, spetta solo al coniuge sottoscrittore della quota, ma l’altro, solo nel momento in cui la comunione legale si sciolga, può pretendere che le somme prelevate siano nuovamente versate in comunione. B) Se, invece, le partecipazioni comportano responsabilità limitata (s.p.a., s.r.l. o accomandante di s.a.s. o di s.a.p.a.) o se sono acquistate come investimento personale, esse entrano immediatamente in comunione. Gli aumenti della quota (mediante, ad esempio, aumento di capitale o offerte in opzione) rientrano anch’esse, immediatamente, nella comunione. Quanto alla qualifica di socio occorre distinguere: se la comunione legale dei beni è dichiarata al momento dell’acquisto, entrambi i coniugi sono automaticamente soci e possono esercitare i diritti sociali e gestire la partecipazione secondo le norme previste dalla comunione legge. Se un solo dei coniugi cede le quote, l’atto resta valido ma su richiesta dell’altro coniuge il primo può essere obbligato a ricostituire la comunione o se ciò non è possibile, a pagare l’equivalente; se la comunione non è dichiarata al momento dell’acquisto, nei confronti della società d iviene socio soltanto il coniuge sottoscrittore e, quindi, solo quest’ultimo può esercitare diritti ed è destinatario degli obblighi sociali, mentre la comunione rileva solo nei rapporti interni tra coniugi. In conclusione, quindi, un coniuge diventa automaticamente socio della società la cui partecipazione sia acquistata dall’altro coniuge nel caso in cui ciò riguardi una società di capitali, l’acquisto avvenga in regime di comunione legale dei beni e ne sia fatta espressa menzione nell’atto.

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