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La societa' veicolo e' veramente titolare del credito per cui agisce?

Scritto da: Marco Napolitano - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

La società veicolo è veramente titolare del credito per cui agisce? Cosa succede se non riesce a darne dimostrazione in giudizio?

Al fine di rispondere a tale quesito chiariamo innanzitutto cosa sia una società veicolo e in che modo agisce per il recupero di un credito nei confronti del debitore.

La cartolarizzazione del credito

Capita sempre più frequentamente che il debitore riceva atti giudiziari di recupero del credito (decreti ingiuntivi, precetti, atti di pignoramento) da parte di una società diversa dall'istituto bancario che aveva inizialmente erogato il finanziamento.

Il caso tipico è il seguente: l'azienda A nel 2010 stipula un contratto di mutuo chirografario con la Banca Beta e dopo poco tempo sospende i pagamenti; nel 2020 riceve un sollecito di pagamento per lo stesso debito da parte della società S.P.V S.r.l.

Tale fenomeno è lecito e solitamente presuppone l'avvenuta cartolarizzazione del credito (securisation), che è una forma di cessione del credito regolata normativamente dalla L. n. 130/1999 e dal Reg. UE n. 2017/2402.

Si tratta di un'operazione con cui un'impresa (banca, intermediario finanziario o altra impresa) smobilizza i propri crediti tramite la stipulazione di un contratto di cessione in blocco a titolo oneroso (solitamente pro soluto) a favore di un soggetto denominato società per la cartolarizzazione - o speciale purpose vehicle (S.P.V.) - il quale provvede direttamente o tramite terza società ad emettere titoli incorporanti i crediti ceduti e a collocarli sul mercato dei capitali per ricavare la liquidità necessaria a pagare il corrispettivo della cessione e le spese dell'operazione (cfr. P. Bontempi, Diritto Bancario e Finanziario, Giuffrè 2019).

Per la riscossione del creriti ceduti la società cessionaria può incaricare terzi soggetti che si occupano del recupero stragiudiziale o giudiziale del credito (il c.d. servicing).

La Banca Beta dell'esempio, quindi, ha ceduto il credito nei confronti dell'azienda A alla società S.P.V. S.r.l., che attiva il recuero giudiziale.

La pubblicità della cartolarizzazione

L'art. 4 della L. n. 130/1999 prescrive specifici adempimenti pubblicitari per la cessione del credito in blocco nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione, richiamando l'art. 58 TUB commi 2, 3 e 4.

L'avvenuta cessione deve essere infatti iscritta nel registro delle imprese e pubblicata in Gazzetta Ufficiale; una volta eseguiti tali adempimenti nei confronti del debitore ceduto si prodocono gli effetti di cui all'art. 1264 c.c.

L'azienda A, quindi, non riceverà alcuna notifica diretta al proprio domicilio dell'avvenuta cessione del credito, in quanto tale cessione viene resa nota tramite la pubblicazione sopra vista.

La legittimazione attiva del cessionario: titolarità del credito

Chiariti tali aspetti definitori si giunge al punto: quando la società cessionaria del credito - la S.P.V. - che agisce in giudizio contro il debitore può dirsi effettivamente titolare del credito che provvede a recuperare in giudizio?  E' sufficiente che faccia menzione e produca l'estratto pubblicato in Gazzetta Ufficiale?

Abbiamo visto che la legge prevede che l'iscrizione al registro delle imprese e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'estratto della cessione valgono come notifica al debitore ceduto.

Tale meccanismo, quindi, parrebbe creare in capo al debitore (e ai terzi) una presunzione di conoscenza legale della cessione che potrebbe dimostrare anche in giudizio la titolarità del credito in capo alla società attrice.

Tuttavia capita spesso che gli estratti pubblicati in Gazzetta Ufficiale riportino solo le macro categorie identificative dei crediti ceduti (...i crediti riguardanti: i finanziamenti contro cessione del quinto ... i prestiti personali ... i prestiti finalizzati ... i prestiti per l'acquisto di autovetture...) senza la specifica elencazione dei rapporti.

Pare ragionevole ritenere, quindi, che dal tenore letterale di tali estratti sia impossibile individuare con precisione se un determinato specifico credito rientri o meno tra quelli ceduti in blocco.

Ne consegue il sorgere del ragionevole dubbio che la società veicolo che agisce in giudizio per il recupero di un credito che afferma aver ricevuto in cessione non sia effettivamente titolare dello stesso.

Dubbio che in sede giudiziale si traduce in un'eccezione - questione preliminare di merito - sollevabile dal debitore sulla carenza di titolarità del rapporto dal lato attivo: eccezione che attiva l'onere della prova positiva della titolarità del credito in capo alla società attrice.

Onere della prova in capo alla società veicolo

E' evidente che la mera produzione di copia dell'estratto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, laddove indichi solo genericamente i crediti ceduti nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione, non sia sufficiente ad assolvere tale onere: la società veicolo, per dimostrare la propria titolarità, sarà allora chiamata a produrre in giudizio anche il contratto di cessione del credito da cui si evinca con precisione di aver ricevuto lo specifico credito per cui essa agisce.

Sul punto è di tenore concorde la Suprema Corte di Cassazione : si vedano Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 4116/2016 e Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 10518/2016 secondo le quali la società cessionaria di crediti in blocco a fronte della contestazione di controparte sulla titolarità del credito "ha l'onere di produrre... di documenti idonei a dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco...dovendo fornire la prova documentale della propria legittimazione, a meno che la controparte non l'abbie esplicitamente o implicitamente riconosciuta"; è del medesimo tenore anche la più avveduta giurisprudenza di merito (Trib. Padova, decr. 03.06.2016; Trib. Napoli, sent. 24.05.2019, n. 5337).

Se la società veicolo, quindi, non produce in giudizio entro i termini decadenziali di legge copia del contratto di cessione, a fronte di un'eccezione del debitore, rischia di vedersi rigettata nel merito la propria pretesa con conseguente insuccesso dell'attività recuperatoria del credito.

Avv. Marco Napolitano


Avv. Marco Napolitano - Avvocato per le imprese

Nella mia professione nutro una particolare predilezione per il mondo dell'impresa. Assisto le imprese sia in ambito civilistico (contenzioso fiscale, contrattualistica, recupero crediti, consulenza in ambito di rapporti tra soci e di management, contenzioso di diritto industriale, assistenza nella crisi di impresa, diritto del lavoro) sia in ambito di diritto penale (fallimentare, tributario, societario e responsabilità ex D.Lgs. 231/01). Mi avvalgo del costante confronto con professionisti esperti in ambito contabile, fiscale e di consulenza bancaria.




Marco Napolitano

Esperienza


Diritto tributario

Assisto le aziende sia nell'ambito del contenzioso amministrativo/tributario a seguito di atti impositivi emessi dall'Agenzia delle Entrate sia in sede penale, qualora vengano contestati reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000.


Diritto commerciale e societario

Ho maturato esperienza nell'assistenza alle imprese in tema di contenzioso societario, che riguarda sia i rapporti economico/patrimoniali tra soci e impresa, sia la tutela dell'impresa in caso di mala gestio degli amministratori.


Diritto civile

Consulenza a società e imprese individuali in ambito di stesura e revisione di contratti commerciali, predisposizione di corrispondenza con clienti, fornitori, enti pubblici e privati. Assistenza nella gestione del contenzioso ordinario. Recupero crediti insoluti. Ricorso a procedure di mediazione e arbitrato.


Altre categorie:

Diritto bancario e finanziario, Fusioni e acquisizioni, Antitrust e concorrenza sleale, Fallimento e proc. concorsuali, Proprietà intellettuale, Brevetti, Marchi, Franchising, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto del lavoro, Diritto penale, Privacy e GDPR, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Aste giudiziarie, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Sentenza giudiziaria

Annullato avviso di accertamento in materia di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti

Sentenza n. 472/2023 del 09/05/2023 della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto

Sentenza della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto che accoglie l'appello promosso avverso la sentenza di primo grado in tema di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La difesa della contribuente ha fornito prove "sufficienti a contrastare quanto ipotizzato dell'Ufficio", con conseguente annullamento dell'avviso di accertamento contenente riprese in materia di IRES, IVA e IRAP.

Pubblicazione legale

Ristretta base azionaria e strategie difensive

Pubblicato su IUSTLAB

Quando si parla di società a ristretta base azionaria si fa riferimento ad una società composta da un ristretto numero di soci, molto spesso legati da vincoli di parentela. Può accadere che l’Agenzia delle Entrate a seguito dell’accertamento notificato alla società di capitali a ristretta base azionaria, con il quale procede alla rettifica e alla contestazione di un maggior reddito di impresa, notifica un secondo avviso di accertamento e rettifica della dichiarazione personale dei soci. Il ragionamento posto a sostegno di tale secondo accertamento si può individuare nella considerazione secondo la quale “ gli utili extrabilancio delle società di capitali a ristretta base azionaria si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria “. Tale regola di matrice esclusivamente giurisprudenziale viene definita “ presunzione di distribuzione ” e rientra nella categoria delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.: essa si fonda sull’assunto per cui il ristretto numero di soci e i legami qualificati tra loro determina una maggiore conoscibilità degli affari societari o comunque nell’onere del socio di conoscere tali affari. Tale presunzione scatta, quindi, vengono riscontrate le seguenti condizioni: viene emesso un avviso di accertamento di maggior reddito nei confronti della società di capitali (come ad esempio nell’ipotesi di omessa contabilizzazione di ricavi o di rilevazione di fatture inesistenti) sussiste un numero ristretto di soci , legati tra loro da vincoli di parentela e/o amicizia (coniugi, parenti o affini, non più di tre soci o anche nell’ipotesi, ad esempio, in cui la base azionaria è composta da due persone fisiche e una società finanziaria con quota di minoranza) viene esercitato un potere di controllo dell’attività della società direttamente da parte dei soci Affinché le predette condizioni possano essere poste alla base della presunzione che i soci stessi siano stati destinatari della distribuzione degli utili extracontabili generati dalla società occorre, tuttavia, che esse siano state già oggetto di accertamento in capo alla società divenuto definitivo a seguito di una rinuncia all’impugnazione giudiziale avanti alle Commissioni Tributarie competenti o perché siano esauriti i gradi di giurisdizione. Il divieto di presunzione di secondo grado impone infatti, che, affinché il fatto noto – ristretta base azionaria della società e sussistenza di maggiori redditi non dichiarati – possa essere posto alla base del fatto ignoto – distribuzione degli utili extracontabili – è necessario che il primo sia contenuto in un accertamento definitivo. Una prima strategia difensiva, quindi, potrebbe essere quella di chiedere la sospensione del procedimento sorto a seguito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento in capo al socio al fine di attendere l’esito del giudizio sorto a seguito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso in capo alla società, stante la pregiudizialità tra le due cause (si veda la recente pronuncia Cass, ordinanza 13 marzo 2015 n. 5581). Altro argomento potrebbe risiedere nella mancata allegazione all’avviso di accertamento notificato al socio l’avviso di accertamento notificato alla società, con l’effetto di aver determinato un difetto di motivazione per relationem o comunque una violazione del diritto di difesa. In ogni caso, trovandoci a operare con una presunzione semplice, ciascun socio può comunque utilizzare ulteriori argomenti difensivi per superare l’onere a suo carico di dimostrare la mancata distribuzione a suo favore di utili non contabilizzati: ad esempio dimostrando che in realtà gli utili in capo alla società siano stati accantonati o reinvestiti nell’attività di impresa, ovvero distribuiti solo ad alcuni soci o all’amministratore o ad esempio dimostrando che il socio stesso fosse formalmente privo di poteri di controllo o di effettiva gestione societaria, ricoperti dagli altri soci, dai quali non avrebbe avuto notizia dell’esistenza di somme – in quanto non riportate nella contabilità societaria – che gli altri soci stessi si sarebbero ripartiti tra loro: e ciò mediante una denuncia nei confronti di chi gestisce la società in via sostanziale, o proponendo un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori o documentando che pur avendo cercato di assumere informazioni sulla gestione sociale, a causa di atteggiamenti ostruzionistici da parte degli amministratori, non è stato possibile acquisire le dovute informazioni. Infine ulteriori argomenti spendibili nella difesa del socio possono sicuramente sovrapporsi a quelli spendibili a favore della società per dimostrare l’inesistenza di ricavi non contabilizzati né dichiarati.

Pubblicazione legale

Accertamento fiscale su files presenti sul computer del contribuente

Pubblicato su IUSTLAB

E' legittimo l'accertamento fiscale su files presenti sul computer del contribuente? La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18098 del 24 giugno 2021, ha affrontato la questione, confermando un orientamento già consolidato (Cass. Sez. VI - 5, ord. 15.01.2019, n. 673, Cass. Sez. V, sent. 12.04.2019, n. 10275). Nel caso affrontato il contribuente contestava la legittimità dell'acquisizione durante una verifica della Guardia di Finanza di dati presenti nel proprio computer in assenza di una specifica autorizzazione del Procuratore della Repubblica, resa necessaria dall'utilizzo di password di accesso. Secondo il ricorrente tali prove erano inutilizzabili nel giudizio tributario dato che, come ha riconosciuto lo stesso Ministero dell'Economia (Circ. Min. 19.10.2005, n. 45/E), se il sistema è protetto da una password è necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica essendo la fattispecie assimilabile a quella dell'apertura di pieghi sigillati, casseforti, etc.. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha chiarito che l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non comporta l'inutilizzabilità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso. Gli organi di controllo, quindi, possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso salva solo l'ipotesi in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. L'utilizzazione ai fini fiscali dei dati e dei documenti acquisiti dalla G.d.F. operante come polizia giudiziaria è quindi subordinata al rispetto delle disposizioni dettate dalle norme tributarie (D.P.R. n. 600/1973, art. 33; D.P.R. n. 633/1972, art. 52 e 63) e da disposizioni tributarie di carattere specifico, come ad esempio la necessità di preventiva autorizzazione del Procuratore della Repubblica per procedere a determinate attività quali l'accesso presso locali diversi da quelli dell'esercizio dell'attività del contribuente (cfr. Cass. n. 958/2018). Quanto all'acquisizione dei dati dal computer del contribuente la sentenza ha precisato che l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta in materia di Iva dall'art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973) è richiesta soltanto nel caso di "apertura coattiva", e non anche ove l'attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente. Nel caso di specie l'acquisizione si era perfezionata con collaborazione spontanea del contribuente senza la necessità di rimuovere ostacoli all'accesso ai documenti, pertanto non si è verificata alcuna attività di tipo "coattivo" da parte dei verificatori. Si precisa peraltro che ai sensi del comma 9 dell'art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 gli organi verificatori che procedono all'accesso nei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi elettronici hanno la possibilità di provvedere all'estrazione di copia dei dati al di fuori dei locali del contribuente qualora lo stesso non permetta l'utilizzo dei propri impianti e del proprio personale, oltre a dover rispettare specifiche regole di duplicazione che ne garantiscano l'attendibilità. Tali circostanze nel caso di specie non erano state contestate dal contribuente, quindi in conclusione la Suprema Corte ha ritenuto pienamente utilizzabili i dati acquisiti mediante estrazione di copia di files contenuti nel computer del contribuente con il consenso di quest'ultimo. L'accertamento fiscale su files estratti dal computer del contribuente, pertanto, è stato pienamente confermato. Avv. Marco Napolitano

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Strada Di Saviabona N. 94/d
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