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Onere della prova in tema di fatture per operazioni inesistenti

Scritto da: Marco Napolitano - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Onere della prova in tema di fatture per operazioni inesistenti: il tema è stato affrontato dalla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione Civile, Sez. V, ordinanza 27 aprile 2020, n. 8177.

L'onere della prova diretta dell'Ufficio

Afferma la sentenza che in tema di Iva, qualora l'Amministrazione Finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all'Ufficio l'onere della prova che l'operazione commerciale oggetto della fattura non è mai stata posta in essere. Devono essere indicati gli elementi anche indiziari su cui si fonda la contestazione.

Tale onere della prova da parte dell'Ufficio può essere assolto anche tramite presunzioni semplici, dato che la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova.

L'Ufficio, quindi, ha l'onere della prova o che l'operazione fatturata non sia mai stata effettuata (ad esempio provando che la società emittente la fattura sia una "cartiera" per mancanza di sede, mancanza di iscrizione, omesso versamento delle imposte) o che la fattura sia stata emessa da chi non è stato controparte nel relativo rapporto.

Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, in particolare, l'Amministrazione Finanziaria deve provare in base ad elementi oggettivi che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o i servizio sapeva, o avrebbe dovuto sapere con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione della fattura, evaso l'imposta o partecipato ad una frode. Deve cioè provare che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto e a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto o mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente.

Quantomeno nell'ipotesi più semplice e comune di fatturazione per operazione inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dall'interposizione di un soggetto italiano - fittizio nell'acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente) - il detto onere probatorio da parte dell'Amministrazione Finanziaria può ben esaurirsi nella prova che l'interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata all'esecuzione della prestazione fatturata.

A questo punto, quindi l'onere della prova contraria passa al contribuente.

L'onere della prova contraria del contribuente

La prova contraria del contribuente non può consistere nella mera esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale della tenuta delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, dato che sono elementi che solitamente vengono utilizzati proprio con lo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (si veda Cass. n. 14237 del 07.06.2017, Cass. n. 20059 del 24.09.2014).

Nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti tale onere potrà essere assolto dimostrando che la cessione del bene o del servizio sia effettivamente avvenuta, tramite documentazione a sostegno o tramite altri mezzi di prova.

Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti il contribuente è chiamato a provare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica di oggettiva conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente e il fatturante in ordine al bene ceduto. Oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l'ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. In sostanza deve dimostrare che, sulla base della normale diligenza esigibile dall'operatore economico e sulla base delle circostanze di fatto, non si è accorto o non avrebbe potuto accorgersi dell'illiceità dell'operazione. In tale ambito, infatti, deve bilanciarsi l'esigenza della buona fede del contribuente, così come più volte precisato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (cfr. sentenza 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; 21 luglio 2012, Mahagè ben e David, C-80/11 e C-142/11).

Avv. Marco Napolitano


Avv. Marco Napolitano - Avvocato per le imprese

Nella mia professione nutro una particolare predilezione per il mondo dell'impresa. Assisto le imprese sia in ambito civilistico (contenzioso fiscale, contrattualistica, recupero crediti, consulenza in ambito di rapporti tra soci e di management, contenzioso di diritto industriale, assistenza nella crisi di impresa, diritto del lavoro) sia in ambito di diritto penale (fallimentare, tributario, societario e responsabilità ex D.Lgs. 231/01). Mi avvalgo del costante confronto con professionisti esperti in ambito contabile, fiscale e di consulenza bancaria.




Marco Napolitano

Esperienza


Diritto commerciale e societario

Ho maturato esperienza nell'assistenza alle imprese in tema di contenzioso societario, che riguarda sia i rapporti economico/patrimoniali tra soci e impresa, sia la tutela dell'impresa in caso di mala gestio degli amministratori.


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Referenze

Pubblicazione legale

Aumento del costo delle materie prime: possibili rimedi

Pubblicato su IUSTLAB

Aumento del costo delle materie prime: possibili rimedi contrattuali. E' ormai noto che negli ultimi mesi sono sono registrati significativi e imprevisti incrementi dei prezzi di acquisto delle materie prime utilizzate nei cicli produttivi. L'aumento del costo delle materie prime è dovuto a diversi fattosi scatenanti, tra cui la difficoltà di far viaggiare le merci nel contesto pandemico in corso. Tale fenomeno deve considerarsi necessariamente straordinario e imprevedibile in quanto travalica le normali fluttuazioni del mercato che generalmente possono influenzare qualsiasi rapporto commerciale. Per tale ragione può ritenersi necessario attuare dei possibili rimedi sia in relazione ai contratti in corso sia per quelli di futura stipulazione. Possibili rimedi per i contratti già stipulati Per quanto concerne i contratti in corso in primo luogo occorre effettuare innanzitutto un'analisi del singolo caso concreto, se l'accordo è stato stipulato in forma scritta. In particolare è opportuno verificare il contenuto delle condizioni generali e particolari per appurare se esistano o meno nel testo del contratto clausole che già prevedano la possibilità di adeguare i prezzi o che regolino l'ipotesi dello stato di necessità o dell'impossibilità temporanea o definitiva di eseguire la prestazione. In tal caso la richiesta di adeguamento dei prezzi a causa dell'aumento del costo delle materie prime potrebbe essere avanzata richiamandosi alla normativa contrattuale. Solo nel caso in cui il contratto scritto non preveda nulla in merito, per procedere ad una specifica richiesta di rinegoziazione a causa dell'aumento del prezzo delle materie prime occorre richiamarsi alla normativa codicistica e agli orientamenti giurisprudenziali. Al fine deve innanzitutto invocarsi il principio di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione, che regola sia la gestione delle sopravvenienze che perturbano dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali, sia la scelta dei rimedi di natura legale e convenzionale. Tale principio trova la propria applicazione concreta nei precetti che impongono alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.) secondo i quali ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l'interesse dell'altro se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio. Di recente tale impostazione è stata fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione (relazione 8 luglio 2020, n. 56) la quale si è espressa in senso favorevole alla rinegoziazione delle clausole durante la vita del contratto al fine di adattarlo alle sopravvenienze che ne alterano l'equilibrio. Viene delineato un vero e proprio obbligo contrattuale della controparte a intavolare trattative a condurle correttamente secondo quanto prevede l'art. 1374 c.c. in omaggio al principio generale di conservazione del contratto sotteso all'art. 1361 c.c., fermo restando il fatto che non sia obbligatorio addivenire ad una rinegoziazione effettiva dell'accordo. In caso di aumento del costo delle materie prime potrebbe rilevare la norma che regola le circostanze sopravvenute per causa non imputabile al debitore tali da rendere la prestazione parzialmente impossibile ai sensi dell'art. 1464 c.c., in forza della quale può domandarsi la riduzione della prestazione incisa dal maggior costo sopravvenuto; tuttavia se il creditore non ha interesse a ricevere un adempimento parziale il contratto si risolve. Potrebbe altresì invocarsi la fattispecie di cui all’art. 1256 comma 2 c.c. che regola l'impossibilità temporanea di adempiere la prestazione a causa dell'incremento del costo delle materie prime , per cui il debitore non è responsabile per il ritardo per il tempo in cui la prestazione è impossibile, ma l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a rendere la prestazione non più di interesse per il creditore. Potrebbe infine invocarsi al fattispecie che regola l’ eccessiva onerosità sopravvenuta di eseguire la prestazione, prevista dall’art. 1467 c.c., che si riscontra nell’ipotesi in cui avvenimenti straordinari e imprevedibili estranei alle parti contrattuali, straordinari sul piano oggettivo e impronosticabili alterino il nesso di interdipendenza anche economica tra le prestazioni. In tal caso la parte che subisce tale effetto può chiedere la risoluzione del contratto, che l’altra parte può evitare proponendo la modifica di alcune clausole o condizioni. Possibili rimedi per i contratti futuri Con riferimento, invece, ai contratti futuri si ritiene opportuno, laddove possibile, l'inserimento di specifiche clausole di revisione dei prezzi collegate all'andamento della quotazione delle materie prime . Tali clausole andranno diversamente modulate a seconda della tipologia di contratto e delle specifiche condizioni generali e particolari. Potrebbe essere opportuno riferirsi a borsini dei prezzi con carattere di ufficialità, come quelli rilevati periodicamente dalle Camere di Commercio o le rilevazioni Istat e gli indici delle principali borse merci e materie prime. Nel caso in cui tali dati manchino o non siano facilmente rilevabili potrebbe essere opportuno inserire nel contratto una specifica clausola di nomina di un soggetto esterno " arbitratore " (art. 1473 c.c.). Tale figura sarebbe chiamata a determinare la misura dell'eventuale aumento/diminuzione del prezzo delle materie prime, a verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione della revisione prezzi e a determinare il prezzo applicabile alle prestazioni dedotte nel contratto. Avv. Marco Napolitano

Pubblicazione legale

Il finanziamento alla societa' del socio cessionario della quota

Pubblicato su IUSTLAB

Si pone la questione circa la sorte del finanziamento alla società del socio cessionario della quota. Ci si chiede infatti se con la cessione della propria quota sociale il socio trasferisca automaticamente anche i propri diritti relativi ai versamenti di denaro effettuati alla società nel corso del tempo a titolo di finanziamento. Al fine di chiarire tale aspetto occorre innanzitutto chiarire la distinzione tra i diversi tipi di finanziamento che il socio può erogare a favore della società. Il socio può innanzitutto finanziare la società mediante versamenti in conto capitale o a fondo perduto. Tali forme di finanziamento non sono qualificabili come mutui, quindi il socio non consegue il diritto al relativo rimborso. Vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve discrezionalmente utilizzabili dalla società per ripianare eventuali perdite o per aumentare gratuitamente il capitale sulla base dell'assunto per cui sono acquisiti definitivamente al patrimonio della società alla stregua di capitale di rischio. Il socio, inoltre, può finanziare la società a titolo di mutuo, al fine di conservare il diritto a vedersi rimborsare quanto versato. Tali rapporti, invero, sono iscritti al passivo dello stato patrimoniale come debiti verso soci. Il socio, quindi, può sempre pretendere il rimborso di quanto versato, salva la rigida applicazione della norma sulla postergazione nell'ambito delle società a responsabilità limitata (art. art. 2467 c.c.). Orbene, tornando alla questione di cui si discute, chiarita la duplice natura dei finanziamenti erogabili dal socio alla società, la cessione di una partecipazione al capitale sociale comporta il trasferimento della corrispondente parte del patrimonio sociale, comprese le riserve formate dai versamenti dei soci in conto capitale o a fondo perduto non vengono automaticamente trasferiti, invece, i crediti derivanti dai versamenti effettuati a titolo di mutuo o dal diritto al rimborso di versamenti effettuati in conto futuro aumento di capitale successivamente non deliberato dalla società Cedere la propria quota sociale a un soggetto terzo, quindi, non impica automaticamente anche la cessione del proprio credito per finanziamento socio nei confronti della società in assenza di una specifica pattuizione tra le parti. Come recentamente chiarito dal Tribunale di Milano, Sez. Specializzata Imprese n. 6042 del 09.07.2021 "costituisce principio di diritto comune che alla cessione di una partecipazione societaria se non disposto chiaramente dalle parti, non consegue quale naturale negotii il trasferimento ad opera del socio cedente dei crediti da questi vantati nei confronti della società , terza estranea al contratto, in quanto aventi fonte in un rapporto connesso ma distinto da quello sociale e quindi estranei al novero dei diritti patrimoniali inerenti alla partecipazione" . In sede di negoziazione della cessione delle quote societarie ad un terzo, quindi, è opportuno pattuire chiaramente la sorte dei crediti vantati nei confronti della società per finanziamenti erogati a titolo di mutuo. Avv. Marco Napolitano

Sentenza giudiziaria

Annullato avviso di accertamento in materia di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti

Sentenza n. 472/2023 del 09/05/2023 della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto

Sentenza della Corte di Giustizia Tributaria del Veneto che accoglie l'appello promosso avverso la sentenza di primo grado in tema di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. La difesa della contribuente ha fornito prove "sufficienti a contrastare quanto ipotizzato dell'Ufficio", con conseguente annullamento dell'avviso di accertamento contenente riprese in materia di IRES, IVA e IRAP.

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