La divulgazione di un messaggio tramite Facebook è una condotta suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, perché ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone che si avvalgono del social network proprio allo scopo di instaurare e coltivare relazioni interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato (Cass. Pen., Sez. V, 7 ottobre 2016, n. 2723).
Proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante, in una con la loro finalizzazione alla socializzazione, hanno suggerito l’inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook nella tipologia di “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all’art. 595, terzo comma, c.p.., il codificatore ha giustapposto a quella del “mezzo della stampa” (Cass. Pen., Sez. I, 28 aprile 2015, n. 24431).
La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata).
La fattispecie in esame è sorretta da dolo generico, integrato dall’uso consapevole di espressioni che nel contesto sociale di riferimento sono ritenute offensive, per il significato che oggettivamente assumono. (Sez. 5, Sentenza n. 8419 del 16/10/2013 Ud. (dep. 21/02/2014 ) Rv. 258943; Sez. 5, Sentenza n. 4364 del 12/12/2012 Ud. (dep. 29/01/2013 ) Rv. 254390.
Quanto al luogo di consumazione del reato di diffamazione tramite la rete Internet, ove sia impossibile stabilire il luogo di consumazione del reato e sia stato invece individuato quello in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato come dato informatico, per poi essere immesso in rete, la competenza territoriale va determinata, ai sensi dell’art. 9, primo comma, cod. proc. pen., in relazione al luogo predetto, in cui è avvenuta una parte dell’azione (Sez. 5, sentenza n. 31677 del 19/05/2015, Vulpio, Rv. 264521).
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