Pubblicazione legale:
Si propone un breve commento alla
sentenza n. 209/2016 del Tribunale di Venezia. Con la pronuncia in questione è
stato accolto il ricorso di Vittorio Sgarbi (la cui notizia è di dominio pubblico perché pubblicata sui giornali) col quale è stato impugnato il
provvedimento del direttore generale del Ministero Beni Culturali (MIBAC)
12.12.2014 che dichiarava il ricorrente cessato dall'impiego presso la
Sopraintendenza ai beni culturali e artistici di Venezia, Padova, Belluno e
Treviso per dimissioni. Nella controversia è risultata decisiva l'incertezza quanto alla
validità delle dimissioni. Esse sono state presentate al
Ministro e rigettate dal superiore del ricorrente per essere successivamente
accolte dal direttore generale del Ministero, allorché il primo rigetto avrebbe
determinato la necessità di una nuova esternazione di volontà, mai avvenuta. Il punto di interesse della decisione è allorché essa invece rigetta la domanda con la quale si chiedeva la
declaratoria di nullità delle dimissioni per contrarietà alla Legge n. 92/2012
detta “Fornero”. La normativa prevede(va) un complesso iter per la formazione delle
dimissioni che nel caso di specie non era stato seguito. Il punto in
controversia è se la norma fosse applicabile al lavoro all'impiego presso la PA oppure
fosse di limitata efficacia al solo impiego privato. La questione agitata nel
processo non ha sortito effetti nell'ordinamento perché la legge Fornero, per
la parte sulle dimissioni, è stata superata e abrogata da altre leggi. Tuttavia appare significativo
il fatto che nei rapporti di lavoro si assiste ad un fenomeno di riviviscenza
dell'ordinamento pregresso al DLvo che ha mutato la giurisdizione del pubblico
impiego. A fronte di una norma del DLvo 29/93 (poi recepita nel successivi
DLvi) che riconduce il rapporto di lavoro presso la PA al giudice ordinario,
imponendo anche a quei rapporti le stesse norme del lavoro presso le imprese,
continua il legislatore a distinguere, anche in linea di principio, il lavoro
presso la PA da quello privato, pur in assenza di ragioni di
specialità. A parere dello scrivente si tratta di un caso in cui il passato non
vuol passare. A distanza di quasi 30 anni dalla riforma del pubblico impiego
potrebbe essere necessario un ripensamento della materia che conduca a
soluzioni più chiare. Tenuto conto che gli atti amministrativi denominati di
macrorganizzazione, nella costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e
della Cassazione, sono restati nella cognizione del giudice amministrativo e tenuto
conto che sussistono una serie di casi nei quali vigono norme di salvaguardia
per la PA (un caso è l'inapplicabilità alla PA dell'obbligo di assunzione per
violazione delle norme sui rapporti di lavoro a termine, salvo un isolato orientamento del Tribunale di Napoli) viene spontaneo
chiedersi se non sia il caso di tornare indietro oppure dare un colpo decisivo
e sciogliere per sempre l'ambiguità portando alla cognizione del giudice
ordinario l'intera materia, con ciò annullando le garanzie per la PA allorché
venga in contrasto con le norme che invece valgono solo per le imprese. L’attuale
situazione, a mio modesto parere, è caratterizzata da un profluvio di norme di
difficile applicazione, da una riforma concepita con riserva mentale e da una
finzione giuridica secondo la quale il datore di lavoro pubblico sia uguale a
quello privato.