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Gli ondeggiamenti della pubblica amministrazione quanto alle dimissioni. Prospettive.

Scritto da: Claudio Baleani - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Si propone un breve commento alla sentenza n. 209/2016 del Tribunale di Venezia. Con la pronuncia in questione è stato accolto il ricorso di Vittorio Sgarbi (la cui notizia è di dominio pubblico perché pubblicata sui giornali) col quale è stato impugnato il provvedimento del direttore generale del Ministero Beni Culturali (MIBAC) 12.12.2014 che dichiarava il ricorrente cessato dall'impiego presso la Sopraintendenza ai beni culturali e artistici di Venezia, Padova, Belluno e Treviso per dimissioni. Nella controversia è risultata decisiva l'incertezza quanto alla validità delle dimissioni. Esse sono state presentate al Ministro e rigettate dal superiore del ricorrente per essere successivamente accolte dal direttore generale del Ministero, allorché il primo rigetto avrebbe determinato la necessità di una nuova esternazione di volontà, mai avvenuta. Il punto di interesse della decisione è allorché essa invece rigetta la domanda con la quale si chiedeva la declaratoria di nullità delle dimissioni per contrarietà alla Legge n. 92/2012 detta “Fornero”. La normativa prevede(va) un complesso iter per la formazione delle dimissioni che nel caso di specie non era stato seguito. Il punto in controversia è se la norma fosse applicabile al lavoro all'impiego presso la PA oppure fosse di limitata efficacia al solo impiego privato. La questione agitata nel processo non ha sortito effetti nell'ordinamento perché la legge Fornero, per la parte sulle dimissioni, è stata superata e abrogata da altre leggi. Tuttavia appare significativo il fatto che nei rapporti di lavoro si assiste ad un fenomeno di riviviscenza dell'ordinamento pregresso al DLvo che ha mutato la giurisdizione del pubblico impiego. A fronte di una norma del DLvo 29/93 (poi recepita nel successivi DLvi) che riconduce il rapporto di lavoro presso la PA al giudice ordinario, imponendo anche a quei rapporti le stesse norme del lavoro presso le imprese, continua il legislatore a distinguere, anche in linea di principio, il lavoro presso la PA da quello privato, pur in assenza di ragioni di specialità. A parere dello scrivente si tratta di un caso in cui il passato non vuol passare. A distanza di quasi 30 anni dalla riforma del pubblico impiego potrebbe essere necessario un ripensamento della materia che conduca a soluzioni più chiare. Tenuto conto che gli atti amministrativi denominati di macrorganizzazione, nella costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione, sono restati nella cognizione del giudice amministrativo e tenuto conto che sussistono una serie di casi nei quali vigono norme di salvaguardia per la PA (un caso è l'inapplicabilità alla PA dell'obbligo di assunzione per violazione delle norme sui rapporti di lavoro a termine, salvo un isolato orientamento del Tribunale di Napoli) viene spontaneo chiedersi se non sia il caso di tornare indietro oppure dare un colpo decisivo e sciogliere per sempre l'ambiguità portando alla cognizione del giudice ordinario l'intera materia, con ciò annullando le garanzie per la PA allorché venga in contrasto con le norme che invece valgono solo per le imprese. L’attuale situazione, a mio modesto parere, è caratterizzata da un profluvio di norme di difficile applicazione, da una riforma concepita con riserva mentale e da una finzione giuridica secondo la quale il datore di lavoro pubblico sia uguale a quello privato.




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Claudio Baleani

Amministrativo (appalti, ambiente, cave, urbanistica e edilizia, ecc) lavoro