Pubblicazione legale:
La sentenza che si va a commentare riguarda il caso di un agricoltore avente anche la qualifica e la relativa partita IVA di commerciante. Sfortuna e fatalità vollero che durante una operazione di taglio e trasporto di legname, fatta chissà quanto altre volte, il mezzo agricolo del lavoratore si ribaltasse uccidendolo.
Il quesito al quale i giudici hanno risposto è se nel caso di specie prevalesse la natura agricola di tale lavoro oppure quella commerciale.
Come è noto i lavoratori sono coperti da assicurazione obbligatoria contro gli infortuni INAIL. Non tutti però. In particolare non sono assicurabili i commercianti. Dalla soluzione al quesito derivavano conseguenze: in un caso il sinistro è indennizzabile con reddita INAIL per il coniuge superstite, nell’altro no.
E’ invalsa la prassi, come in questo caso, di affidare lavorazioni agricole presso poderi dei privati mediante contratti di “vendita in piedi”. Tale contratto, diversamente da quanto il giudice di primo grado ha ritenuto, non è un contratto di intermediazione commerciale, ma agricolo, alla luce dell’art. 56 L 3 maggio 1982 n. 203. Si tratta della legge che regola i contratti agrari. L’art. 56 in particolare è la norma che dispone una deroga al regime ordinario sulla durata dei contratti agrari ed altri istituti per il caso “di compartecipazione limitata a singole coltivazioni stagionali” o di “concessioni per coltivazioni intercalari” o, ancora per la “vendite di erbe di durata inferiore ad un anno quando si tratta di terreni non destinati a pascolo permanente, ma soggetti a rotazione agraria”. La legge n. 203 disciplina i contratti agricoli ed il fatto che in essa vengano contemplati casi di vendita di prodotti agricoli palesemente non depone nel senso che l’attività principale di tali contratti sia quella commerciale, ma anzi, al contrario, conferma che si tratta di lavorazioni agricole.
La vendita della legna sull’albero, infatti, non rende il contratto una mera intermediazione commerciale, essendo oggetto principale del negozio la lavorazione agricola che consiste in operazioni tipicamente afferenti a tale settore come: il taglio, la selezione, la pulizia del sottobosco, il trasporto, ecc..
Peraltro anche l’attività commerciale non è una esclusiva dei commercianti perché anche l’imprenditore agricolo è ammesso all’attività di vendita al dettaglio, senza che questo lo renda un commerciante.
Con D.Lvo 18 maggio 2001, n. 228, recante norme sull’“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57” si stabilisce l’onere della iscrizione al registro degli imprenditori agricoli e all’art. 4 il principio a tenor del quale “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.
Come si può vedere si tratta di una disposizione che liberalizza la vendita dei prodotti agricoli da parte dell’agricoltore al quale non si può opporre alcuna disciplina relativa al commercio per quanto riguarda le destinazioni di zona (si veda TAR Puglia 11 novembre 2004 n. 5211, secondo cui: “il decreto legislativo n. 228 del 2001 non impone affatto il possesso di requisiti oggettivi (conformità dei locali alle norme regolamentari edilizie ed alle destinazioni d’uso di zona) … ed oblitera ogni vincolo di natura urbanistica di guisa che i locali destinati all’attività di vendita scontano unicamente la verifica di idoneità igienico sanitaria”).
L’unico limite all’attività commerciale da parte degli agricoltori è che la merce sia per la maggior parte di provenienza dalla propria azienda.
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