Pubblicazione legale:
La società moderna, nell’obiettivo regolare al meglio la vita dei propri consociati, cerca di risolvere le loro controversie, per evitare l’esercizio arbitrario delle ragioni e le conseguenti violenze, i disordini. E’ nato così il “processo”, cioè l’insieme di attività svolte dal sistema giudiziario per amministrare la giustizia, cioè applicare ai casi concreti della vita le regole sociali. I tribunali ed i giudici hanno questo difficile compito. Gli italiani sono considerati una popolazione litigiosa: a fronte del numero ingente di cause “iscritte a ruolo” i governi non riescono ad investire somme sufficienti per garantire (aumento dei giudici togati, ottimizzazione delle regole processuali e del funzionamento delle cancellerie) il miglior funzionamento dei tribunali. Le cause pendenti superano per quantità la capacità di definizione delle liti da parte dei magistrati togati, i quali per tradizione italiana sono estremamente preparati, ma numericamente inferiori al necessario. A fronte dell’arretrato “patologico” di cause pendenti il giudice fatica a definire entro termini equi le controversie sottoposte. Il legislatore è intervenuto su sollecito della Comunità Europea creando la “Legge Pinto” (n. 89 del 24.3.2001) che sancisce la durata “equa” dei processi: 3 anni per i procedimenti in primo grado, 2 per quelli in appello, 1 per quelli in Cassazione (le tre fasi sono ritenute necessarie per garantire al meglio la tutela dei cittadini, garantendo che i giudici – suddivisi in 3 livelli – possano rivalutare le proprie decisioni). Totale: sentenza definitiva in 6 anni.
Fonte: 5.10.23 La Voce del Popolo