Dalla sentenza che accerta l'inefficacia del licenziamento e ordina la reintegra del lavoratore non deriva in alcun modo, né esplicitamente né implicitamente, il diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione. Quest’ultimo sorge solo per effetto dell’esercizio, da parte dellavoratore, della “facoltà” – in realtà del diritto potestativo – di sostituire il diritto alla reintegrazione con una somma di denaro (15 mensilità). Non solo il diritto all’indennità sostitutiva non deriva dalla sentenza, ma il “bene della vita” garantito da quest’ultima, e cioè la reintegrazione nel posto di lavoro e la riattivazione del rapporto, è l’esatto contrario di quello che il lavoratore vuole ottenere esercitando la personale facoltà di scelta per le 15 mensilità, che rappresenta la “monetizzazione” del posto di lavoro, che viene appunto “rifiutato”. La sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento non costituisce titolo esecutivo, ma prova scritta del credito per ottenere ingiunzione di pagamento, laddove per la determinazione esatta del credito sono necessari elementi estranei al giudizio concluso. Nel caso in questione gli elementi estranei al giudizio sono l’opzione, effettuata dal lavoratore, di avvalersi della indennità sostitutiva della reintegra e legittimamente, pertanto, il lavoratore ha chiesto l’emissione del decreto ingiuntivo, trovando il netto contrasto dell'azienda datrice di lavoro nei termini affrontati in sentenza.
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Il mobbing è uno dei casi spesso trattati dallo Studio. Richiede una analisi particolarmente attenta del singolo caso, al fine di evitare un inutile investimento di risorse da parte del cliente.
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