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La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro

Scritto da: Daniel Casarotto - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:


Il procedimento di risoluzione del rapporto di lavoro, noto come licenziamento, è l'atto attraverso il quale il datore di lavoro termina unilateralmente il legame occupazionale con un dipendente, indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo. Tale procedura è disciplinata dalla Legge n. 604 del 15 luglio 1996, inclusa nello Statuto dei Lavoratori, e dalla Legge n. 108 del 11 maggio 1990, che stabiliscono diverse forme di licenziamento: per giusta causa, per giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) e il licenziamento collettivo. La giusta causa, in particolare, è regolamentata dall'articolo 2119 del Codice Civile, che consente a ciascuna delle parti contraenti di recedere dal contratto in presenza di gravi violazioni che compromettano la fiducia reciproca.


La giusta causa rappresenta la forma più grave di licenziamento ed è applicata in situazioni di gravi inadempienze da parte del lavoratore, tali da minare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Secondo quanto previsto dalla normativa, la giusta causa può derivare da comportamenti come insubordinazione verso i superiori, furto di beni aziendali, diffamazione dell'azienda, minacce ai danni del datore di lavoro o dei colleghi, danneggiamento di beni aziendali, falsa malattia e falso infortunio, violazione del patto di non concorrenza o uso improprio dei permessi per legge n. 104/92.


Un elemento essenziale della giusta causa, non esplicitamente stabilito dalla legge ma dedotto dalla giurisprudenza, è la necessità che gli effetti del provvedimento espulsivo siano immediati (c.d. licenziamento in tronco), pur rimanendo compatibili con un ragionevole intervallo di tempo per l'accertamento dei fatti contestati al lavoratore.


In situazioni di giusta causa, la condotta del lavoratore è così grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro senza l'obbligo da parte del datore di lavoro di fornire un preavviso. La giustificazione della causa deve portare alla perdita dell'elemento fiduciario, e il giudice è chiamato a valutare la gravità delle azioni contestate al lavoratore e la proporzionalità tra tali azioni e la sanzione applicata.


È importante sottolineare la distinzione tra la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo. Mentre la giusta causa è legata a gravi inadempienze del lavoratore, il giustificato motivo soggettivo si configura quando il lavoratore tiene una condotta disciplinarmente rilevante, come la condotta negligente, lo scarso rendimento, la violazione degli obblighi contrattuali o la lesione di un interesse rilevante per il datore di lavoro.


La differenza chiave tra le due forme di licenziamento risiede nella gravità del comportamento del lavoratore. Nel caso della giusta causa, la condotta è così grave da impedire qualsiasi prosecuzione del rapporto lavorativo, mentre nel giustificato motivo soggettivo, la gravità non è tale da interrompere immediatamente il rapporto, e il dipendente ha diritto a un periodo di preavviso.


La normativa italiana vigente in materia di licenziamento è costituita principalmente dalla Legge n. 604/1966 e dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970). Queste leggi tutelano i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo. La Legge n. 92/2012 (Riforma Fornero) e il D.lgs. n. 23/2015 hanno introdotto ulteriori modifiche, tra cui il sistema a tutele crescenti.


L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevede la tutela della stabilità nel caso di licenziamento privo di giustificazione, imponendo al datore di lavoro l'obbligo di reintegrare il dipendente nel caso di licenziamento illegittimo. Il datore di lavoro può revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla ricezione della comunicazione di impugnazione da parte del lavoratore.


Il D.lgs. n. 23/2015 ha ulteriormente disciplinato la materia, introducendo regimi di tutela contro i licenziamenti illegittimi in base alla dimensione dell'impresa e alla data di assunzione del lavoratore. La normativa prevede diverse misure di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo.


In caso di accertata illegittimità del licenziamento, il lavoratore può richiedere un indennizzo onnicomprensivo, commisurato all'anzianità di servizio e non soggetto a contribuzione previdenziale. I termini di impugnazione del licenziamento sono fissati a 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, e il lavoratore può intraprendere la via della conciliazione presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro.


La giurisprudenza ha anche riconosciuto la possibilità per il lavoratore di ottenere un risarcimento per il pregiudizio economico subito a causa dell'illegittimo licenziamento. La sentenza n. 3147 dell'1/4/99 della Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento illegittimo e ingiurioso può portare al risarcimento del danno morale e dell'immagine del lavoratore, specialmente se la lesione della reputazione è stata pubblicizzata dal datore di lavoro.


In conclusione, il licenziamento in Italia è disciplinato da normative specifiche che cercano di equilibrare i diritti dei lavoratori e le esigenze dei datori di lavoro. Le leggi vigenti forniscono tutele contro il licenziamento illegittimo e stabiliscono misure di indennizzo per i lavoratori che subiscono ingiustamente la risoluzione del rapporto di lavoro.



Pubblicato da:


Daniel Casarotto

Avvocato di diritto civile e del lavoro