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Avvocato Daniel Casarotto a Padova

Daniel Casarotto

Avvocato di diritto civile e del lavoro

Informazioni generali

Lo Studio offre prestazioni sempre ottimali, anche in presenza di situazioni di grande complessità e il Cliente trova un’attenzione e una cura personalizzata e una informativa costante rispetto all'andamento del proprio caso, anche con accesso diretto alla propria pratica via internet. Lo Studio assiste, sia nell’ambito giudiziale che stragiudiziale, clienti privati e aziende, con comprovata esperienza anche nel rapporto con gli Uffici Legali interni aziendali, nei settori del diritto civile, del lavoro, del diritto agrario. Quindi diritto di famiglia, successioni, diritti reali, della responsabilità civile ecc.

Esperienza


Recupero crediti

Lo Studio da sempre opera in questo settore, con acquisizione di particolare esperienza.


Diritto civile

Lo Studio ha da sempre trattato anche casi di particolare difficoltà e importanza, grazie anche al suo fondatore, il prof. Giangiorgio Casarotto, ordinario di diritto civile e agrario. Inoltre conta, oltre ai professionisti interni, su una strutturata ed efficace rete di collaborazioni esterne, anche universitarie.


Diritto del lavoro

Il diritto del lavoro è uno dei settori principali trattati dallo Studio sia dal lato dei lavoratori che da quello delle aziende, applicando le migliori strategie per la soluzione della problematica a seconda della situazione, sia che si tratti di ambito giudiziale che stragiudiziale. Licenziamenti, mobbing e discriminazioni, accertamenti della natura subordinata del rapporto, contratti di agenzia, sono a titolo esemplificativo alcuni dei settori ampiamente trattati. Lo Studio coopera inoltre stabilmente con i propri consulenti del lavoro, per offrire così una analisi completa e in ogni ambito del singolo caso.


Altre categorie

Diritto agrario, Cassazione, Licenziamento, Risarcimento danni, Domiciliazioni, Diritto di famiglia, Contratti, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Locazioni, Sfratto, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Diritto commerciale e societario, Diritto bancario e finanziario, Pignoramento, Diritto penale, Diritto immobiliare, Diritto condominiale, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Diritto del turismo, Diritto dell'informatica, Arbitrato, Incidenti stradali.



Credenziali

Sentenza giudiziaria

La responsabilità solidale opera anche in relazione al diritto al risarcimento dei danni subiti a 33 Ist. n. 1 dep. 13/01/2020 causa della violazione, da parte del cedente, degli obblighi di cui all’art. 2087 c.c., sempreché, ai sensi dell’originario 2° co. dell’art. 2112 c.c. il credito risarcitorio del lavoratore fosse conosciuto o conoscibile dal cessionario

Sentenza n. 60/2022 pubbl. il 07/03/2022 - Tribunale di Vicenza

Il ricorrente chiede e svolge nel merito una richiesta di risarcimento danni per aver contratto una malattia professionale presumibilmente cd. tabellare, quale la silicosi, a titolo, ovviamente, di danno cd. differenziale, percependo dall’INAIL, che gli ha riconosciuto la malattia, la cd. rendita. Il richiamo all’art. 2087 c.c., cd. norma di chiusura del sistema, non significa imputare automaticamente la colpa al datore di lavoro, per vedersi risarcire un ulteriore danno rispetto al danno già risarcibile e/o risarcito mediante indennizzo da parte dell’Ente preposto alla tutela obbligatoria, ossia nel caso de quo l’INAIL. Come sancisce la giurisprudenza sia di merito che della Suprema Corte “... La colpa deve essere accertata nel suo concreto contenuto sostanziale secondo un criterio oggettivo di esigibilità generale: l’art. 2087 codice civile è norma di chiusura del sistema costruito con una tecnica normativa aperta volta a supplire alle lacune della disciplina speciale che non può prevedere ogni fattore di rischio. La norma ha una funzione precettiva immediata e cogente, costitutiva dell’obbligo di protezione cioè di attuale applicazione delle misure di sicurezza esistenti ovvero già rinvenibili ed esigibili secondo un parametro di adeguatezza sociale”. È notorio che il giudizio normativo sulla colpa e, quindi, sul comportamento esigibile dal datore di lavoro e sulla prevedibilità dell’evento, trova fondamento innanzi tutto nell’art. 43 c.p. che rappresenta il presupposto necessario per l’affermazione della responsabilità datoriale. Da qui la necessità che la colpa del datore di lavoro debba essere accertata....

Sentenza giudiziaria

Il diritto di opzione: dalla sentenza che accerta l'inefficacia del licenziamento e ordina la reintegra del lavoratore non deriva in alcun modo, né esplicitamente né implicitamente, il diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione.

Sentenza n. 796/2022 Corte d'Appello di Firenze - Sezione Lavoro

Dalla sentenza che accerta l'inefficacia del licenziamento e ordina la reintegra del lavoratore non deriva in alcun modo, né esplicitamente né implicitamente, il diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione. Quest’ultimo sorge solo per effetto dell’esercizio, da parte dellavoratore, della “facoltà” – in realtà del diritto potestativo – di sostituire il diritto alla reintegrazione con una somma di denaro (15 mensilità). Non solo il diritto all’indennità sostitutiva non deriva dalla sentenza, ma il “bene della vita” garantito da quest’ultima, e cioè la reintegrazione nel posto di lavoro e la riattivazione del rapporto, è l’esatto contrario di quello che il lavoratore vuole ottenere esercitando la personale facoltà di scelta per le 15 mensilità, che rappresenta la “monetizzazione” del posto di lavoro, che viene appunto “rifiutato”. La sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento non costituisce titolo esecutivo, ma prova scritta del credito per ottenere ingiunzione di pagamento, laddove per la determinazione esatta del credito sono necessari elementi estranei al giudizio concluso. Nel caso in questione gli elementi estranei al giudizio sono l’opzione, effettuata dal lavoratore, di avvalersi della indennità sostitutiva della reintegra e legittimamente, pertanto, il lavoratore ha chiesto l’emissione del decreto ingiuntivo, trovando il netto contrasto dell'azienda datrice di lavoro nei termini affrontati in sentenza.

Pubblicazione legale

La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro

Pubblicato su IUSTLAB

Il procedimento di risoluzione del rapporto di lavoro, noto come licenziamento, è l'atto attraverso il quale il datore di lavoro termina unilateralmente il legame occupazionale con un dipendente, indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo. Tale procedura è disciplinata dalla Legge n. 604 del 15 luglio 1996, inclusa nello Statuto dei Lavoratori, e dalla Legge n. 108 del 11 maggio 1990, che stabiliscono diverse forme di licenziamento: per giusta causa, per giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) e il licenziamento collettivo. La giusta causa, in particolare, è regolamentata dall'articolo 2119 del Codice Civile, che consente a ciascuna delle parti contraenti di recedere dal contratto in presenza di gravi violazioni che compromettano la fiducia reciproca. La giusta causa rappresenta la forma più grave di licenziamento ed è applicata in situazioni di gravi inadempienze da parte del lavoratore, tali da minare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Secondo quanto previsto dalla normativa, la giusta causa può derivare da comportamenti come insubordinazione verso i superiori, furto di beni aziendali, diffamazione dell'azienda, minacce ai danni del datore di lavoro o dei colleghi, danneggiamento di beni aziendali, falsa malattia e falso infortunio, violazione del patto di non concorrenza o uso improprio dei permessi per legge n. 104/92. Un elemento essenziale della giusta causa, non esplicitamente stabilito dalla legge ma dedotto dalla giurisprudenza, è la necessità che gli effetti del provvedimento espulsivo siano immediati (c.d. licenziamento in tronco), pur rimanendo compatibili con un ragionevole intervallo di tempo per l'accertamento dei fatti contestati al lavoratore. In situazioni di giusta causa, la condotta del lavoratore è così grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro senza l'obbligo da parte del datore di lavoro di fornire un preavviso. La giustificazione della causa deve portare alla perdita dell'elemento fiduciario, e il giudice è chiamato a valutare la gravità delle azioni contestate al lavoratore e la proporzionalità tra tali azioni e la sanzione applicata. È importante sottolineare la distinzione tra la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo. Mentre la giusta causa è legata a gravi inadempienze del lavoratore, il giustificato motivo soggettivo si configura quando il lavoratore tiene una condotta disciplinarmente rilevante, come la condotta negligente, lo scarso rendimento, la violazione degli obblighi contrattuali o la lesione di un interesse rilevante per il datore di lavoro. La differenza chiave tra le due forme di licenziamento risiede nella gravità del comportamento del lavoratore. Nel caso della giusta causa, la condotta è così grave da impedire qualsiasi prosecuzione del rapporto lavorativo, mentre nel giustificato motivo soggettivo, la gravità non è tale da interrompere immediatamente il rapporto, e il dipendente ha diritto a un periodo di preavviso. La normativa italiana vigente in materia di licenziamento è costituita principalmente dalla Legge n. 604/1966 e dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970). Queste leggi tutelano i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo. La Legge n. 92/2012 (Riforma Fornero) e il D.lgs. n. 23/2015 hanno introdotto ulteriori modifiche, tra cui il sistema a tutele crescenti. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevede la tutela della stabilità nel caso di licenziamento privo di giustificazione, imponendo al datore di lavoro l'obbligo di reintegrare il dipendente nel caso di licenziamento illegittimo. Il datore di lavoro può revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla ricezione della comunicazione di impugnazione da parte del lavoratore. Il D.lgs. n. 23/2015 ha ulteriormente disciplinato la materia, introducendo regimi di tutela contro i licenziamenti illegittimi in base alla dimensione dell'impresa e alla data di assunzione del lavoratore. La normativa prevede diverse misure di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo. In caso di accertata illegittimità del licenziamento, il lavoratore può richiedere un indennizzo onnicomprensivo, commisurato all'anzianità di servizio e non soggetto a contribuzione previdenziale. I termini di impugnazione del licenziamento sono fissati a 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, e il lavoratore può intraprendere la via della conciliazione presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro. La giurisprudenza ha anche riconosciuto la possibilità per il lavoratore di ottenere un risarcimento per il pregiudizio economico subito a causa dell'illegittimo licenziamento. La sentenza n. 3147 dell'1/4/99 della Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento illegittimo e ingiurioso può portare al risarcimento del danno morale e dell'immagine del lavoratore, specialmente se la lesione della reputazione è stata pubblicizzata dal datore di lavoro. In conclusione, il licenziamento in Italia è disciplinato da normative specifiche che cercano di equilibrare i diritti dei lavoratori e le esigenze dei datori di lavoro. Le leggi vigenti forniscono tutele contro il licenziamento illegittimo e stabiliscono misure di indennizzo per i lavoratori che subiscono ingiustamente la risoluzione del rapporto di lavoro.

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