Con una recente sentenza, la n. 23113/2023, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di un argomento alquanto complesso, richiamando e confermando il principio di diritto secondo il quale “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso” (ex plurimis in senso conforme: Cass. Civ. nn. 29264/2022 e 38366/2021).
La Suprema Corte ha precisato che tale principio vige anche nel caso di figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente che risulti affetto da una patologia (nel caso oggetto della sentenza, depressione) inidonea ad integrare la condizione di grave handicap che, sola, comporterebbe automaticamente l’obbligo di mantenimento.
Ed infatti solo la condizione di grave handicap può giustificare il diritto al contributo al mantenimento sine die.
Nel caso di patologie non integranti handicap grave, infatti, per soddisfare le proprie essenziali esigenze di vita, il figlio ultramaggiorenne “ben può richiedere, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporre l’azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un ‘minus’ rispetto all’assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti”.
Occorre pertanto porre massima attenzione alla differenza tra il contributo al mantenimento e il diritto agli alimenti: il primo è dovuto dai genitori a favore dei figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti entro un limite di età adeguato entro il quale è corretto aspettarsi che un soggetto adulto sia in grado di autosostenersi economicamente, anche laddove affetto da patologia che non rientrino nell'ambito del "grave handicap". I secondi (gli alimenti) possono essere chiesti da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, sono limitati a quanto necessario per sopravvivere e possono essere richiesti ad una pluralità di soggetti secondo un ordine preciso (coniuge; figli; genitori; generi e nuore; suocero e suocera; i fratelli e le sorelle).
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