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Si parla giornalmente dei conflitti armati presenti nei vari Continenti, Africa e Medio Oriente in primo luogo. Poca attenzione invece viene dedicata al fenomeno dei bambini soldato. Proprio per questo il 12 febbraio è stata istituita una giornata mondiale in loro memoria. Una giornata per far rimanere accesa al mondo l’attenzione su questo preoccupante fenomeno. Ma chi è un bambino soldato? Un bambino soldato è una persona con un’età inferiore ai diciotto anni che fa parte di una forza armata o di un gruppo armato, regolare od irregolare. Il fine è quello di utilizzarli nei combattimenti, come facchini, messaggeri, cuochi. Lontani dalla loro famiglia sono costretti a combattere e ad uccidere pena la loro stessa morte. Nella definizione dei bambini soldato vengono incluse anche le bambine le quali sono utilizzate prevalentemente a scopi sessuali o per i matrimoni forzati. I dati ufficiali parlano di circa 250 mila bambini soldati operanti in 23 Paesi. Inoltre l’Unicef ha dichiarato in un rapporto che sarebbero circa un miliardo i bambini che sono rimasti coinvolti nei conflitti armati avvenuti in 42 Paesi, 14,2 milioni i bambini che sono rifugiati politici, lontani dalla terra in cui sono nati in quanto vittime di abusi di ogni tipo, circa 8 milioni i bambini che sono stati sfollati dalle loro terre. Bambini privi di ogni cosa e della più minima necessità. Il loro giocattolo? Il kalashnikov, un fucile d’assalto di fabbricazione russa. Ai bambini soldato infatti viene insegnato ad usare armi, li si indottrina ad un credo o ad una religione, non ricevono paghe per i crimini che commettono (proprio il fatto che non vengono pagati è uno dei motivi per cui vengono reclutati). Bisogno di protezione, desiderio di vendetta (magari perché i loro genitori sono stati uccisi da una tribù ostile sotto i loro occhi) e fame rappresentano alcuni fattori che incentivano alcuni bambini a richiedere di essere reclutati volontariamente. “Avevo sentito che almeno i ribelli mangiavano. Così mi sono unito a loro” oppure “mi sono arruolato nell’esercito quando avevo 14 anni, perché ero convinto che il solo modo di riavere i miei genitori o di impedire che le cose andassero avanti in quel modo fosse far parte dell’esercito e ammazzare chi era responsabile dell’uccisione dei miei genitori”.
Sono soltanto alcuni dei terribili commenti rilasciati da ex bambini soldato della Repubblica Democratica del Congo dopo essere stati liberati dai loro aguzzini. Per fare un esempio solamente nella Repubblica del Congo nel 1997 circa 5000 bambini hanno aderito all’invito loro rivolto per radio di arruolarsi. I bambini soldato ricevono abusi, rischiano la vita e perdono ogni speranza per un futuro libero, felice e dignitoso. Altre volte sono stati costretti loro stessi, i bambini, ad uccidere i propri genitori se non volevano morire. In seguito costretti ad arruolarsi, arruolati per uccidere. In Afghanistan i bambini vengono reclutati dai talebani, nei casi più estremi sono stati anche impiegati come kamikaze o per il trasporto di esplosivi ed armi. Nella Repubblica Centroafricana bambini di otto anni sono impiegati nei conflitti tra le diverse etnie. In Siria ed in Iraq i terroristi dello Stato Islamico utilizza bambini di dodici anni per addestramento militare, li impiega come spie o come vedette per presidiare alcuni centri nevralgici tenuti sotto il controllo dai miliziani. Diversi sono stati i tentativi da parte della Comunità Internazionale di combattere questo grave fenomeno. Ciò nonostante l’utilizzo dei bambini soldato è sempre in aumento. Solo recentemente invece nel Sudan il South Sudan Democratic Army (SSDA) ha rilasciato ben tremila bambini soldati. Nello stesso tempo però centinaia di altri bambini, tra i dodici ed i sedici anni, erano pronti ad essere reclutati dalle stesse forze governative sudanesi. A dichiararlo meno di due mesi fa era stato Jonathan Veitch, rappresentante Unicef in Sudan. Negli ultimi dieci anni di guerra è costata la vita a due milioni di bambini. Una media di un bambino ucciso ogni tre minuti. Sei milioni i bambini rimasti mutilati, un milione di bambini ha perso entrambi i genitori e circa dieci milioni i bambini con problemi psichici a causa dei conflitti. Sempre un rapporto dell’Unicef ha rivelato che dal 1997 ad oggi siano stati almeno 100.000 i bambini smobilizzati. Il loro ritorno ad una vita normale sarà lungo e difficile e molti purtroppo non ce la faranno. Il motivo per cui sono stati liberati? Di certo non perché volevano dargli un futuro diverso. Molti bambini che vengono impiegati in guerra infatti hanno riportato ferite gravi, mutilazioni, amputazioni, in stato di denutrizione e con gravi problemi di salute, tra i quali l’HIV. Uno dei fattori che pesa di più inoltre è quello psicologico. Bambini che, in quanto costretti, hanno commesso gravi crimini, in un momento delicato come quello dello sviluppo, non appena vengono liberati accusano incubi, insonnia e paura anche dopo molti anni di distanza. Per le bambine la situazione è anche peggio. Molte di loro, una volta liberate, non riescono ad ottenere una vita come magari l’avrebbero sognata ed il più delle volte finiscono per prostituirsi, emarginate dalla loro stessa etnia. Per coloro che sono rimaste incinta dai loro oppressori si pone il problema di come verranno giudicate al rientro nel loro villaggio. La Comunità Internazionale per contrastare l’utilizzo di bambini nei conflitti ha elaborato diverse convenzioni internazionali. Tra queste si segnalano la Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza ed il Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell’adolescenza, nonché i principi di Parigi del 2007, il quale raccoglie una serie di linee guida per la protezione dei minori impiegati in guerra. Il problema dell’impiego di bambini nei conflitti armati rappresenta e deve rappresentare una delle sfide che la Comunità internazionale dovrà affrontare nel prossimo futuro perché, nonostante le diverse convenzioni internazionali, il numero dei bambini soldato aumenta di giorno in giorno.
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