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Il cumulo delle domande di separazione e di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nei giudizi di separazione consensuale: i vari orientamenti

Scritto da: Edoardo Braglia - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Abstract

 

La riforma Cartabia ha introdotto nuove norme processuali in materia di persone, minorenni e famiglia, tra le quali la possibilità di cumulo delle domande di separazione e divorzio. I tribunali italiani sono oggi divisi circa l’applicabilità di tale norma anche ai ricorsi congiunti di separazione consensuale e la questione è oggi sul tavolo della Corte di Cassazione affinché si pronunci sulla sua corretta interpretazione. Nel presente contributo si esaminano i due orientamenti emersi nelle prime sentenze di separazione successive alla riforma.

 

Il cumulo delle domande di separazione e di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nei giudizi di separazione consensuale: i vari orientamenti

 

La recente riforma del processo civile ha introdotto, nell’art. 473bis.49, la possibilità di cumulare la domanda di divorzio con quella di separazione personale. Tale norma fa espressamente riferimento solo al procedimento volto ad ottenere la separazione contenziosa e nulla dice circa la sua applicabilità anche al procedimento per separazione consensuale. Per tale ragione oggi è in corso un acceso dibattito che si risolverà solo in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione, alla quale il Tribunale di Treviso ha rimesso la questione con il rinvio pregiudiziale ex art. 363bis c.p.c.

Tale questione giuridica vede contrapposti coloro i quali interpretano restrittivamente l’applicazione del cumulo delle domande, dichiarando quindi improponibile la domanda di divorzio, a chi, al contrario, adotta un’interpretazione estensiva. Tra questi ultimi vi è Trib. Milano, sent. 3542 del 5 maggio 2023 che, dichiarando la separazione delle persone, rimette la causa al Giudice Relatore affinché questi, trascorsi sei mesi, provveda ad acquisire la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare e qualora queste confermassero le condizioni già formulate in sede di separazione accoglierà la domanda di divorzio.

L’orientamento più restrittivo esclude l’applicazione del cumulo delle domande anche al ricorso per la separazione consensuale in quanto la norma che regola il ricorso congiunto è contenuta nell’art. 473bis.51, che non contiene alcun rinvio alla disciplina del ricorso per la separazione contenziosa. A sostegno di ciò adducono anche alla mancata previsione all’interno della legge delega alla riforma Cartabia di un’indicazione sul cumulo delle domande, esplicitando invece la necessità di prevedere due procedimenti distinti. Da ultimo, ritengono che applicare il cumulo delle domande sia contrario al principio di indisponibilità in materia matrimoniale. Tra questi troviamo, tra tutti, il Tribunale di Firenze con la sentenza 4458 del 15 maggio 2023.

Coloro i quali interpretano più estensivamente sostengono che, dal punto di vista letterale, è lo stesso art. 473bis.51 a prevedere che il procedimento su domanda congiunta sia introdotto da ricorso che può chiedere relativamente a tutti i procedimenti di cui all’art. 473bis.47, tra cui rientrano sicuramente sia la separazione personale che il divorzio. Tale esteso rinvio consentirebbe di ritenere che nel ricorso congiunto sono cumulabili tutte le domande di cui al predetto art. 473bis.47, per cui la proposizione del cumulo delle domande rappresenterebbe la regola, mentre nel ricorso per la separazione contenziosa sarebbe un’eccezione (cfr. Trib. Verona, Sez. I, 20.06.2023).

Secondo la tesi restrittiva il cumulo delle domande determinerebbe un allungamento del procedimento di separazione consensuale in quanto questo non si chiuderebbe con la sentenza di omologa, bensì rimarrebbe sospeso in attesa della maturazione dei sei mesi previsti per il divorzio. Secondo la predetta pronuncia del Tribunale di Verona tale argomento è fuorviante in quanto non considera che si eviterebbe l’instaurazione di un nuovo procedimento. In conseguenza di ciò, il cumulo delle domande consentirebbe un notevole risparmio di energie processuali, ben conciliandosi con la ratio dell’intera recente riforma del processo civile: l’economia processuale.  

I due orientamenti sono però concordi su un aspetto della questione: se si riconoscesse l’applicabilità del cumulo delle domande si derogherebbe all’indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale. Chi conclude per l’applicazione del cumulo alla separazione consensuale, per quanto esposto sopra, osserva che tale deroga è ammessa dalla legge stessa e sarebbe dunque lecita. Il Tribunale di Verona, infatti, ricorda che il legislatore con l’introduzione della negoziazione assistita volontaria in materia matrimoniale ha messo in discussione per la prima volta tale inderogabilità, iniziando un graduale ma incessante superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale.

Il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 1 giugno 2023, viste le predette difficoltà interpretative di tale questione necessaria alla definizione del giudizio, è ricorso al rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, introdotto anch’esso dalla recente riforma del processo civile. Solo dopo la pronuncia della Corte vi sarà un maggiore grado di certezza sull’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio, ad oggi ammessa solo in taluni ed esclusa da altri, tra i quali figura anche il Tribunale di Padova con la comunicazione del Presidente del Tribunale del 7 aprile 2023.

Aggiornamento: La decisione della Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione, Sez I, sent. (data ud. 06/10/2023) 16/10/2023, n. 28727, ha ritenuto ammissibile, nell'ambito del procedimento di cui all'art. 473-bis.51 c.p.c., il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta r cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.



Avv. Edoardo Braglia - Avvocato Civilista a Padova

Ho conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia nel settembre 2019 e, negli anni, ho acquisito una vasta esperienza in materia di diritto civile, occupandomi prevalentemente di diritto dei contratti (con particolare riferimento ad appalti, compravendite, rent to buy, mutui e fideiussioni), diritti reali, condominio e locazioni, aste immobiliari, nonché diritto dell’esecuzione forzata. Ho rapporti di consulenza stabile con aziende del territorio e collaboro con primari studi legali italiani fornendo supporto e domiciliazioni. Svolgo attività sia giudiziale che stragiudiziale.




Edoardo Braglia

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Diritto civile

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Referenze

Pubblicazione legale

Le novità in materia di Whistleblowing introdotte dal D.lgs. n. 24/2023

Pubblicato su IUSTLAB

Il legislatore italiano, adeguandosi alla Direttiva UE 2019/1937, ha recentemente emanato il Decreto Legislativo n. 24/2023, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Tale norma amplifica gli obblighi in materia di whistleblowing in capo alle imprese, anche medio-piccole, che devono adeguarsi alla nuova normativa e sancisce nuove tutele per i dipendenti pubblici e privati che intendono segnalare tali violazioni, in particolare garantendo la riservatezza del segnalatore e sanzionando le ritorsioni dei datori di lavoro. Le novità in materia di Whistleblowing introdotte dal D.lgs. n. 24/2023 Nel gergo tecnico il termine whistleblowing indica lo strumento di compliance aziendale che permette ai dipendenti e collaboratori di segnalare atti illeciti di cui hanno avuto conoscenza in occasione dell’attività lavorativa. Con l’introduzione del decreto legislativo n. 24/2023 questo strumento è divenuto obbligatorio per la maggior parte delle imprese private e il termine whistleblowing assumerà un significato più ampio per i motivi che seguono. Il decreto legislativo impone ai soggetti sotto indicati di istituire, sentite le rappresentanze e le organizzazioni sindacali, un canale di segnalazione interno. Si tratta in particolare di: · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che abbiano impiegato nell’ultimo anno la media di almeno cinquanta lavoratori con contratti a tempo indeterminato o determinato; · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che, indipendentemente dal numero di addetti, operano nei settori dei servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, tutela dell’ambiente e sicurezza dei trasporti; · pubbliche amministrazioni e imprese del settore privato che, indipendentemente dal numero di addetti, abbiano adottato un modello organizzativo ai sensi del D.lgs. n. 231/2001. Tale canale di segnalazione interno, ai sensi dell’articolo 4 del decreto, deve garantire la riservatezza dell’identità del segnalante, delle persone coinvolte o comunque menzionate nella segnalazione e del contenuto della segnalazione, che può essere fatta sia per iscritto che oralmente. La gestione del canale può essere affidata sia al personale interno sia ad un soggetto esterno. In entrambi i casi il soggetto incaricato deve essere autonomo e specificamente formato ed ha l’obbligo di attenersi alle procedure di gestione delle segnalazioni dettagliatamente indicate nell’art. 5 del Decreto legislativo 24/2023. In presenza di determinate condizioni previste dal Decreto legislativo n. 24/2023 (art. 6), la persona segnalante può avvalersi anche del canale di segnalazione esterna appositamente istituito dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). La nuova normativa non è rivolta esclusivamente ai lavoratori dipendenti, ma, ai sensi dell’art. 3 del D.lgs. citato, anche a quelli legati all’azienda con contratti “atipici”, quali volontari e tirocinanti anche non retribuiti o lavoratori autonomi e collaboratori, ovvero liberi professionisti, consulenti, azionisti e persone con funzione di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche qualora tali funzioni siano esercitate in via di mero fatto. Tali soggetti possono rivolgersi ad enti del terzo settore specificamente creati al fine di fornire informazioni sulle modalità di segnalazione, come disposto dall’art. 18. La normativa prevede importanti tutele atte a garantire la riservatezza dell’identità del segnalatore, vietando a chi riceve la segnalazione di rivelare l’identità del segnalatore e di ogni altra informazione da cui questa possa evincersi. Il decreto dispone altresì misure di protezione del lavoratore dalle ritorsioni (demansionamento, licenziamento, discriminazioni ecc.) che possono verificarsi in seguito alle segnalazioni, quali il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, il risarcimento del danno, l’ordine di cessazione della condotta posta in essere in violazione del divieto di ritorsione e la dichiarazione di nullità degli atti ritorsivi. Infine, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC può applicare le seguenti sanzioni pecuniarie: · da 10.000 € fino a 50.000 € a carico del responsabile degli atti ritorsivi e/o dei soggetti che abbiano ostacolato il seguito delle segnalazioni può pagare; · da 10.000 € fino a 50.000 € in caso di accertamento dell’omessa adozione dei canali di segnalazione ovvero nel caso di adozione di canali inidonei allo scopo; Termini per adeguarsi alla normativa in tema di Whistleblowing : · tutte le aziende con 250 o più dipendenti entro il 15 luglio 2023. · tutte le aziende con meno di 250 dipendenti , entro il 17 dicembre 2023.

Esperienza di lavoro

Avvocato civilista - Studio Legale Danieletto

Dal 4/2017 - lavoro attualmente qui

Mi sono occupato prevelentemente di predisporre gli atti dei giudizi contenziosi in materia di contratti (appalti, prestazioni d'opera, compravendite, locazioni ecc.) e diritti reali (proprietà, usufrutto, servitù, superficie ecc.), partecipando anche alle relative udienze. Ho prestato assistenza per la redazione di Modelli Organizzativi e di Gestione (MOG) e codici etici nell’ambito della normativa D. Lgs 231/2001. Ho svolto attività di formazione aziendale in tema di responsabilità da reato degli enti e in tema di Privacy (GDPR – Reg. UE 2016/679).

Pubblicazione legale

La produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione semplice dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede (Tribunale di Padova, sentenza n. 859 pubbl. il 28/04/2022)

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IL CASO Le attrici, quali eredi del defunto padre/marito, convenivano in giudizio un istituto di credito deducendone la responsabilità per lo smarrimento di una cassetta di sicurezza di cui era titolare il de cuius . Chiedevano pertanto che la banca fosse condannata a risarcire un danno di € 50.000,00. A dimostrazione della propria qualità di eredi, le attrici producevano una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nonché lo stato di famiglia. L’istituto di credito si costituiva in giudizio eccependo il difetto di legittimazione attiva delle attrici, ritenendo insufficiente la documentazione prodotta dalle stesse per provare la propria qualità di eredi. LA SOLUZIONE Il Giudice, rilevava l’infondatezza dell’eccezione in parola richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale “… nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede (Cass. 26/06/2018, n. 16814) ” (cfr. in questo senso Cass 210/2021). In altri termini, la produzione del certificato di stato di famiglia unitamente all'allegazione in giudizio della qualità di erede costituisce una presunzione iuris tantum dell'intervenuta accettazione (tacita) dell'eredità, prova di per sé decisiva.

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