Pubblicazione legale:
Si pone all’attenzione dei lettori un caso pratico in tema
di:
patteggiamento in
continuazione con sentenza passata in giudicato per reato meno grave rispetto a
quello per cui si procede.
L’esigenza dell’operatore è quella di ricorrere all’istituto
del patteggiamento per definire un procedimento penale nel quale vengono
contestate plurime condotte di cui al comma 1 dell’art. 73 DPR 309/90 (cessione
di sostanza stupefacente di tipo eroina) e porlo in continuazione con una
sentenza già passata in giudicato, avente ad oggetto la condotta di cui al
comma V del predetto art. 73 (fatto di lieve entità), con la quale veniva
comminata la pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione.
Per affrontare il tema bisogna necessariamente partire
dall’istituto della continuazione ex art. 81 c.p. e del concetto di medesimo
disegno criminoso che però si eviterà di approfondire in questa sede, potendo
ritenere pacifico che, nel caso di specie, ne ricorrano i presupposti,
trattandosi di violazioni dello stesso precetto, commesse in periodi di tempo
molto vicini tra loro e che differiscono solo per l’entità della condotta.
Il tema successivo da esplorare è quello relativo alla
possibilità di applicare l’istituto del reato continuato ed il relativo
trattamento sanzionatorio più favorevole anche a reati giudicati, non nel
medesimo processo bensì in diversi ed autonomi procedimenti penali.
Il soccorso ci viene offerto dalla previsione contenuta
nell’art. 671 c.p.p. che prevede, appunto, la possibilità del giudice
dell’esecuzione di applicare la disciplina del concorso formale e del reato
continuato, su richiesta delle parti, anche nel caso di più sentenze o decreti
penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti.
Si tratta di quello che viene definito nella prassi
“incidente di esecuzione in continuazione” o anche detto “incidente in
continuazione”.
La ratio della norma è quella di eliminare il vulnus che si
determinerebbe dall’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato,
giudicato per più reati nell’ambito di un unico procedimento (che potrà
beneficiare del più mite trattamento sanzionatorio) e l’imputato giudicato per
più reati i quali però, seppur eseguiti nel medesimo disegno criminoso, siano
stati oggetto di separati giudizi.
In questa direzione anche la previsione dell’art. 188 delle
norme di attuazione che prevede, in caso di più sentenze di patteggiamento
pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, che questa ed il
p.m. possano chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della
disciplina del concorso formale e del reato continuato quando concordino
sull’entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, prevedendo
altresì la possibilità per il giudice di accogliere la richiesta anche in caso
di disaccordo del p.m., qualora lo ritenga ingiustificato.
Da tanto se ne ricavano due conclusioni: la possibilità di
unificare sotto il vincolo della continuazione tutti i reati eseguiti nel
medesimo disegno criminoso sia nel caso in cui vengano giudicati in unico
processo penale sia nel caso in cui il giudizio sia stato reso in più
procedimenti distinti; la sede naturale individuata dal legislatore per far
ricorso all’istituto in esame è quella della fase esecutiva.
Nella prassi, ormai consolidata, gli operatori di giustizia
hanno chiesto, sempre più spesso, ai giudici della cognizione di anticipare la
disciplina in esame alla fase del merito facendo ricorso al c.d. patteggiamento
in continuazione.
Non vi è dubbio, infatti, che il giudice della cognizione
possa anticipare pronunciamenti tipici della fase esecutiva, ad esempio
applicando una causa di estinzione della pena come l’indulto.
Fatta tale doverosa premessa, ultronea per i più, i problemi
operativi che si sono posti all’attenzione dello scrivente sono i seguenti:
È possibile l’unificazione anche quando il reato della
sentenza passata in giudicato sia meno grave rispetto a quello oggetto di
giudizio pendente?
E’ possibile ricorrere al predetto istituto anche quando il
reato per cui si procede è stato commesso successivamente al passaggio in
giudicato della sentenza emessa per il reato che s’intende porre in
continuazione?
A tali interrogativi ha, per la verità, già risposto la
giurisprudenza esprimendosi nel senso di ritenere che “l’applicazione del reato
continuato non trovi ostacolo nel fatto che uno o più tra i reati per i quali
si deve valutare la continuazione sia stato commesso dopo che era passata in
giudicato la sentenza relativa agli altri reati di cui trattasi” (Cass. Pen. -
17.02.94 n. 196527) ed allo stesso modo “quando la precedente condanna sia
intervenuta con riferimento al reato meno grave” (Cass. Pen. - 8.11.96 n.
206468). Da tanto se ne ricava come l’unico presupposto indispensabile per la
riunione in continuazione tra diversi reati sia la ricorrenza dell’unicità del
disegno criminoso e dunque l’operatore, nel caso che ci occupa, potrà
richiedere un patteggiamento per il reato più grave di cui al comma 1 dell’art.
73 DPR 309/90 e porlo in continuazione con quello meno grave, previsto dal V
comma del citato articolo, ascritto con la sentenza passata in giudicato. Ne
consegue l’ulteriore e conseguenziale ragionamento in ordine ai profili pratici
inerenti il calcolo della pena concretamente proponibile con la richiesta di
patteggiamento, che deve comunque tener conto del principio dell’intangibilità
del giudicato.
A tali fini, nel caso concreto che ci occupa, si consideri
inoltre la circostanza che l’imputato non potrà beneficiare del giudizio di
prevalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti contestate in quanto le
stesse si fondano sulla recidiva reiterata ed infraquinquennale che non
consente tale modalità di bilanciamento.
Tenuto conto di quanto sin qui argomentato, a sommesso
avviso dello scrivente, la richiesta di accordo sulla pena dovrebbe essere così
formulata: pena base, per il reato più grave (che è quello per cui si procede)
- anni 6 di reclusione; aumento per la continuazione interna (tra più fatti
interni al processo pendente) - anni 6 e mesi 3 di reclusione; diminuzione per
il rito anni 4 e mesi 2 di reclusione; aumento per la continuazione (esterna)
con la sentenza passata in giudicato - anni 4 e mesi 3 di reclusione.
Ovviamente gli aumenti per la continuazione dovranno
incontrare l’accordo del p.m. ma la scelta operativa di procedere prima alla
riduzione per il rito e poi all’aumento per la continuazione esterna, è dovuta
al fatto che diversamente si applicherebbe il beneficio della riduzione per il
rito anche alla pena contenuta nella sentenza passata in giudicato che invece
non ne avrebbe diritto in quanto non definita con un rito premiale. Tale ultima
considerazione, peraltro, introduce un ulteriore interrogativo: questa
preclusione potrebbe viceversa ritenersi non operante nel caso in cui anche la
sentenza passata in giudicato sia stata definita con un rito premiale?
Risposta in senso positivo potrebbe ricavarsi proprio dalla
presenza nell’ordinamento della previsione di cui all’art. 188 disp. att. che,
attraverso l’introduzione dell’istituto del c.d. patteggiamento in fase
esecutiva, farebbe propendere per tale orientamento ermeneutico.
Ulteriore profilo, rispetto al caso in esame, è legato alla
riforma normativa intervenuta nel 2006 che ha aggiunto il secondo periodo
all’art. 671, I comma c.p.p., stabilendo che “fra gli elementi che incidono
sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di
più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza”.
Evidente in questo caso la volontà del legislatore di
attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di
tossicodipendenti, con la conseguenza che tale status può essere preso in esame
per giustificare l’unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che
siano collegati e dipendenti dallo stato di tossicodipendenza.
La conseguenza pratica della disposizione è che, fermo
restando la presenza delle altre condizioni individuate dalla giurisprudenza
per la sussistenza della continuazione, potranno essere ritenuti avvinti dal
predetto vincolo anche reati di per sé eterogenei ma commessi ad esempio allo
scopo di ottenere la dose di stupefacente o di saldare un debito maturato nei
confronti dello spacciatore.
In sostanza lo stato
di tossicodipendenza potrà essere preso in esame come collante idoneo a
giustificare l’unitarietà del disegno criminoso qualora i reati siano
dipendenti da esso e ricorrano anche le altre condizioni sintomatiche della
sussistenza della continuazione (sul punto cfr. Cass. 21.07.2009 n. 244828). Da
tanto se ne ricava che l’ulteriore passo da compiere nel caso che ci occupa,
trattandosi di imputato tossicodipendente (iscritto al Sert), sia quello di
verificare se anche le altre sentenze, che hanno determinato la contestazione
della recidiva reiterata ed infraquinquennale, siano unificabili con quella che
si formerà attraverso il predetto patteggiamento in continuazione; in caso
positivo potrà infatti richiedersi nuovamente l’applicazione della disciplina
dell’art. 671 c.p., questa volta nella fase esecutiva, ponendo in continuazione
i reati di cessione di sostanze stupefacenti con quelli commessi in occasione e
per effetto dello status di tossicodipendenza.