Licenziamento per scarso rendimento: un cambio di prospettiva dalla Corte d’Appello di Brescia

Scritto da: Federica Parente - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

1. La qualificazione del licenziamento per scarso rendimento

Nel rapporto di lavoro subordinato, sul dipendente grava un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Da ciò consegue “che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (lavoro autonomo)” (Cass. Civ., Sez. Lav., 19.04.2024, n. 10640).

Del resto, l’inadeguatezza della prestazione resa dal dipendente potrebbe anche semplicemente “essere imputabile alla stessa organizzazione dell’impresa o, comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore” (Cass. Civ., Sez. Lav., 23.03.2017, n. 7522).

Le scarse performance del dipendente possono legittimare il recesso del datore di lavoro solo quando esse siano riconducibili a un comportamento negligente e non collaborativo del lavoratore, tale da integrare un grave inadempimento, ex art. artt. 1453 e segg. c.c., degli obblighi di diligenza e professionalità su di lui incombenti ex 2104, comma 1, c.c.: “II licenziamento per cosiddetto “scarso rendimento”, invero, costituisce un’ipotesi di recesso del datore per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento, prevista dagli artt. 1453 e segg. cod. civ.” (Cass. Civ., Sez. Lav., 09.07.2025, n. 14310)

In questa prospettiva, la fattispecie di elaborazione giurisprudenziale del licenziamento per scarso rendimento si configura come un licenziamento disciplinare, e più precisamente come licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

2. Presupposti di legittimità del licenziamento per scarso rendimento

Il datore di lavoro che intenda far valere in giudizio la legittimità del licenziamento per scarso rendimento intimato al dipendente deve essere consapevole che egli “non può limitarsi a provare il solo mancato raggiungimento del risultato atteso e l’oggettiva sua esigibilità” (Trib. Roma, Sez. Lav., 04.01.2023, n. 18).

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, ai fini della legittimità del licenziamento per scarso rendimento, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare che in un congruo periodo di tempo ricorrano congiuntamente i seguenti elementi (Cass. Civ., Sez. Lav., 06.04.2023, n. 9453):

  • una elevata sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto effettivamente realizzato dal lavoratore nel periodo di riferimento,
  • il risultato raggiunto dal lavoratore sia notevolmente inferiore rispetto alla media delle prestazioni rese dai lavoratori con la stessa qualifica e le stesse mansioni;
  • lo scarso rendimento sia imputabile al lavoratore in quanto frutto di un grave inadempimento degli obblighi incombenti sul medesimo e non sia, invece, determinato da fattori organizzativi o socio-ambientali.

 

Così, per esempio, è stato dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore con mansioni di venditore di automobili che, pur senza raggiungere i risultati auspicati dall’azienda, aveva adempiuto ai suoi compiti, redigendo numerosi preventivi ed effettuando vari tentativi di vendita (Cass. Civ., Sez. Lav., 10.11.2017, n. 26677).

Diversamente, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per scarso rendimento:

  • del lavoratore che non era in grado di smistare il quantitativo di posta richiesto dagli standard per il numero di ore lavorative (Cass. Civ., Sez. Lav., 14.11.2017, n. 26859),
  • del dipendente di banca addetto al settore sviluppo della clientela che aveva “fatto visita a un modestissimo numero di clienti e reso una prestazione lavorativa insufficiente nel primo trimestre 2016, limitata all’acquisizione di un solo cliente” (Civ., Sez. Lav., n. 9453/2023 cit.),
  • del buyer la cui attività era risultata totalmente sproporzionata rispetto a quella dei colleghi anche di inquadramento inferiore e di minore anzianità (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 14310/2025 cit.).

 

3. La recente sentenza della Corte D’Appello di Brescia

Con sentenza n. 186 del 30.08.2025, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la legittimità del licenziamento di alcuni lavoratori con mansioni di macellai la cui produttività era risultata tra il 20% e il 40% inferiore rispetto a quella dei colleghi, per un periodo compreso tra cinque e sette mesi.

 

È interessante notare come, con la sentenza in commento, la Corte d’Appello di Brescia abbia ritenuto irrilevante la circostanza rappresentata dal fatto che la datrice di lavoro non avesse mai predeterminato e comunicato ai dipendenti dei livelli minimi di produttività:

 

Ed infatti, nel caso di specie la contestazione mossa ai lavoratori non concerne il mancato raggiungimento di un predeterminato standard produttivo, ma la violazione dei generali doveri di diligenza, buona fede e correttezza, con irrimediabile compromissione dell’elemento fiduciario […]. Il rimprovero mosso ai ricorrenti, quindi, non è relativo al mancato raggiungimento di uno standard produttivo prestabilito, imposto dal datore di lavoro ai lavoratori come dovuto. La contestazione disciplinare riguarda, invece, l’esecuzione della prestazione lavorativa con un ritmo così più lento e tanto sproporzionato rispetto al normale da risultare ingiustificato ed ingiustificabile. In altri termini, nel caso di specie l’inaccettabile negligenza dei soggetti licenziati non è desunta dal mancato raggiungimento di determinati standard, ma dal confronto con il ritmo lavorativo normalmente sostenuto in media dai lavoratori impiegati nelle medesime mansioni (e dagli stessi soggetti licenziati nel periodo anteriore). […] Tale condotta, lo si ribadisce, non ha nulla a che fare con il mancato raggiungimento di specifici obiettivi produttivi richiesti dalla datrice di lavoro e quindi non può certo giustificarsi con la mancata previa comunicazione ai lavoratori degli obiettivi stessi”.

 

Finora la giurisprudenza si era pronunciata su casi in cui la sproporzione tra le prestazioni dei dipendenti veniva valutata in base ad obiettivi di produttività predeterminati e comunicati dal datore di lavoro.

 

La sentenza della Corte d’Appello di Brescia introduce un cambio di prospettiva: non è più necessario che tali obiettivi siano stati previamente fissati e comunicati dal datore di lavoro se la contestazione disciplinare riguarda l’esecuzione della prestazione con un ritmo ingiustificatamente lento rispetto alla media, tale da compromettere l’elemento fiduciario.

 

Questo orientamento rappresenta, pertanto, una significativa evoluzione nell’interpretazione del licenziamento per scarso rendimento, rafforzando la possibilità per il datore di lavoro di fondare la contestazione disciplinare sulla qualità e intensità della prestazione, anche in assenza di obiettivi aziendali formalizzati.

 

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Avvocato Federica Parente a Milano
Federica Parente

Avvocato esperto in materia di diritto del lavoro e sindacale