Pubblicazione legale:
Se si cercano risposte rapide e mirate alle domande più frequenti in materia NASpI, di seguito viene proposta una selezione di Q&A utili per chiarire in pochi istanti i dubbi più comuni.
Sì. L’impugnazione del licenziamento, sia in sede stragiudiziale che in sede giudiziale, non fa venir meno lo stato di disoccupazione involontaria che rappresenta – insieme al requisito contributivo – una delle condizioni necessarie per poter beneficiare dell’indennità NASpI (Cass. 11.6.1998, n. 5850; Cass. 27.06.1980, n. 4040).
Dipende. Se il provvedimento del Giudice comporta la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità di natura risarcitoria, l’indennità NASpI non deve essere restituita (Cass. 21.07.2022, n. 22850).
Se, invece, la pronuncia comporta la reintegra nel posto di lavoro, l’INPS ha diritto a richiedere al lavoratore la restituzione delle somme erogate a titolo di NASpI, ma solo se la reintegra è effettiva e cioè se il lavoratore rientra realmente in servizio (Cass. Sez. Unite, 18.08.2025, n. 23476).
No. Come precisato dal Ministero del Lavoro in risposta all’interpello n. 13/2015, relativo alla procedura di conciliazione prevista dall’art. 6 del D.Lgs. 04.03.2015, n. 23, la rinuncia all’impugnazione del licenziamento non modifica il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro: il rapporto di lavoro resta risolto, a tutti gli effetti, per licenziamento. Di conseguenza, l’erogazione della NASpI rimane pienamente legittima e non deve essere restituita.
Sì. Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo delle 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, si considera utile anche la contribuzione dovuta ma non versata dal datore di lavoro. Ciò, in virtù del principio di automaticità delle prestazioni INPS, sancito dall’art. 2116 del cod. civ. e dall’art. 1 del Regio Decreto 14.04.1939, n. 636.
No. Il diritto all’indennità di disoccupazione persiste poiché anche in tal caso il fatto costitutivo del diritto all’indennità è da ricondursi alla cessazione involontaria del rapporto di lavoro per causa non imputabile al lavoratore, rappresentata dalla illegittima apposizione del termine finale al contratto di lavoro da parte del datore di lavoro. Quanto all’indennità risarcitoria conseguente alla conversione del contratto, essa ha natura diversa dall’indennità NASpI: l’indennità risarcitoria ha la funzione di compensare il danno da illegittima precarizzazione, l’indennità NASpI invece garantisce un sostegno economico in assenza di lavoro. Proprio in considerazione delle suddette diverse finalità, il riconoscimento dell’indennità risarcitoria non preclude il diritto a mantenere la NASpI percepita (Cass. Sez. Unite, 26.08.2025, n. 23876).
Dipende. Se, nei 12 mesi antecedenti la cessazione del rapporto per cui si richiede la NASpI, il lavoratore aveva concluso un rapporto di lavoro in forza di dimissioni volontarie o risoluzione consensuale, per avere diritto all’indennità NASpI, egli deve essere in grado di far valere almeno 13 settimane di contribuzione nel periodo che va dalla data di cessazione per dimissioni/risoluzione consensuale del precedente rapporto di lavoro alla data di cessazione involontaria del rapporto di lavoro per cui si richiede la prestazione NASpI (art. 3, co. 1, D.Lgs. 04.03.2015, n. 22; Circ. INPS, n. 98/2025 cit.).
La norma non trova applicazione nel caso in cui la cessazione del precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato sia intervenuta per:
Al di fuori delle eccezioni sopra indicate, in caso di recesso in prova da parte del datore di lavoro, il lavoratore potrà accedere alla NASpI solo se il nuovo rapporto ha permesso di maturare almeno 13 settimane di contribuzione.
No. In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’INL, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Salvo che il lavoratore non sia in grado di dimostrare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, il rapporto di lavoro si intende risolto con effetto immediato per volontà del lavoratore e non si applicano le formalità previste per le dimissioni volontarie del lavoratore, ossia la comunicazione telematica (art. 26, co. 7-bis, D.Lgs. 14.09.2015, n. 151).
Per effetto della risoluzione del rapporto di lavoro in commento “il lavoratore non può accedere alla prestazione di disoccupazione NASpI, in quanto la fattispecie non rientra nelle ipotesi di cessazione involontaria del rapporto di lavoro” (Mess. INPS 19.02.2025, n. 639).
Sì. Rientrano tra i motivi di dimissioni per giusta causa il mancato pagamento della retribuzione; l’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro; intervenute modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative; il mobbing; notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di trasferimento dell’azienda, ex art. 2112 co. 4 cod. civ.; il trasferimento da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 cod. civ.; il comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (art. 3, co. 2, D.Lgs. 04.03.2015, n. 22; Circ. INPS 20.10.2003, n. 163; Circ. INPS n. 94/2015 cit.);
Sì, secondo alcune pronunce giurisprudenziali (T. Torino, 27.04.2023, n. 429).
No, secondo l’INPS (Mess. INPS n. 369/2018 cit.; Circ. INPS 05.06.2025, n. 98).
Secondo l’INPS, il trasferimento consente l’accesso all’indennità NASpI solo se esso non è sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” ex art. 2103 cod. civ. In tale ipotesi, il lavoratore è legittimato a dimettersi per giusta causa e, quindi, a percepire la prestazione.
Sì. La domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla domanda di disoccupazione (art. 8 D.Lgs. n. 22/2015).