Pubblicazione legale:
Nuova Direttiva Whistleblowing e normativa
recente italiana
Il
Parlamento europeo, il 16 aprile 2019, ha approvato a larga maggioranza la
Direttiva che detta le nuove regole in materia di whistleblowing (“DWB”),
a tutela degli informatori che rivelano le violazioni del diritto comunitario
in molteplici settori, tra cui: appalti pubblici, servizi finanziari,
riciclaggio di denaro, sicurezza dei prodotti e dei trasporti, sicurezza
nucleare, salute pubblica, protezione dei consumatori e dei dati.[1]
Obiettivo dichiarato della DWB è garantire
una protezione “equilibrata ed efficiente agli informatori” a livello UE
ed internazionale, attraverso la previsione di norme minime comuni.
Secondo il legislatore europeo infatti i contenuti delle segnalazioni rappresentano
informazioni importanti a supporto dei sistemi di contrasto all’illecito
domestico ed internazionale. E quindi strumenti di rafforzamento dei principi
di trasparenza e responsabilità nella gestione dell’attività
dell’organizzazione e a tutela del mercato, di cui il canale di segnalazione rappresenta
uno strumento e quindi un servizio strategico all’interno della stessa
azienda. Il WB è inteso come uno strumento di esercizio del diritto di
libertà di espressione e di manifestazione del pensiero[2] dell’individuo ed al
contempo un servizio, messo a disposizione della azienda ai soggetti che
operano al suo interno, o in nome e per conto di essa e ai suoi stakeholders, al
fine di autotutelarsi dalla perpetrazione di illeciti, preservandone altresì il
mercato di riferimento. Caratteristiche necessarie a garantire
l’efficienza dei canali di segnalazione sono la riservatezza e la sicurezza di
questi ultimi. Questi requisiti trovano riscontro nel fondamento della
disciplina della Direttiva che è costituito dalla giurisprudenza della
Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di libertà di espressione e
informazione, nonché dai principi elaborati dal Consiglio d’Europa nella
Raccomandazione 2014 sulla Protezione degli Informatori. Quindi chi si deve proteggere?
Meritevole di protezione è esclusivamente il segnalante che “ritenga ragionevolmente,
alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispone al momento
della segnalazione, che i fatti segnalati sono veri”. Nessuna
protezione giuridica specifica viene pertanto accordata “a coloro che
segnalano scientemente e deliberatamente informazioni errate e fuorvianti”.
In
Italia la disciplina del WB vede la formulazione di recenti normative in materia,
sia nel settore privato che nel pubblico. L’art.
1, comma 51, legge n. 190/2012, in relazione al D.Lgs. 30.03.2001, n. 165,
"Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche", introduce l’articolo 54-bis, intitolato
"Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti"; la
Legge 179 del 2017 inserisce il WB nel cd. MOG del D.Lgs. 231/2001 (“DLgs
231”). In
particolare, con riferimento a questa seconda fonte normativa, si segnalano le decisive
modifiche apportate all’art. 6 del DLgs 231, con l’inserimento di 3 nuovi commi
che prevedono: i) uno o più canali che consentano ai soggetti “segnalatori” di
presentare segnalazioni circostanziate di condotte illecite rilevanti ai
sensi del predetto DLgs. 231, a tutela dell’integrità dell’ente; ii) la
garanzia nel canale della riservatezza dell’identità del segnalante; iii)
almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità
informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante; iv) la
previsione nel sistema disciplinare di sanzioni nei confronti di chi
viola le misure di tutela del segnalante e di chi effettua con dolo o colpa
grave segnalazioni che si rivelino infondate. Risultano evidenti le assonanze
della normativa domestica con la DWB.
[1] La disciplina è
stata decisa a valle delle risultanze di uno studio effettuato nel 2017 per
conto della Commissione Europea, che ha dimostrato che la assenza di una
adeguata tutela degli informatori nell’ambito degli appalti pubblici appalti
pubblici ha comportato una perdita di circa dieci miliardi di euro all'anno.
[2]
Così come
tutelati dall’art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea
e dell’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
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