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Emissioni rumorose: confini e limiti alla inibizione e al risarcimento del danno

Scritto da: Francesco Caretti - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

Molte volte capita di ricevere clienti che intendono citare in giudizio il proprietario di un locale, di un bar, vicino al proprio appartamento, sostenendo che i rumori sarebbero intollerabili e fonte di danno.

Ebbene, il nostro Ordinamento prevede la tutela contro le emissioni acustiche che superino la normale tollerabilità (844.c.c.), emissioni che nel caso siano accertate da parte del giudice consentono di ottenere una condanna inibitoria nei confronti dell’esercizio commerciale; sempre il codice civile prevede la possibilità di essere risarciti per il danno biologico, morale ed esistenziale che il cittadino riuscirà a dimostrare sia nel quantum che in punto di nesso di causalità con le emissioni acustiche del locale (ai sensi dell’art 32 Cost. e artt. 2043 e 2059 c.c.)

Tuttavia è bene avvertire che quando si parla di immissioni intollerabili non si può fare riferimento ad un parametro soggettivo, quanto bensì l’intollerabilità deve essere debitamente provata attraverso una perizia tecnica che certifichi emissioni acustiche oltre determinati standard fissati dalla legislazione di settore vigente sull’inquinamento acustico.

Nel nostro Ordinamento, infatti, vige il principio dell’onere della prova, enunciato dall'articolo 2697 del Codice Civile, che può trovare sintetica formulazione nel brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit.

Chi chiede il giudizio su un diritto di cui "dice" o "afferma" i fatti costitutivi, deve provare ciò che afferma, con la conseguente responsabilità dell'eventuale difetto di prova.

Peraltro, l’art. 844 c.c., letto in positivo, afferma che il proprietario di un fondo può impedire i rumori derivanti dal fondo vicino se, e solo se, essi superano la normale tollerabilità. In sostanza la norma in questione postula il diritto soggettivo, ben definito, alle immissioni tollerabili.

Ciò puntualizzato, prudenza vorrebbe, prima di agire in giudizio, che l’attore si premunisca di una perizia, da produrre in giudizio, idonea a dimostrare il superamento dei limiti di emissione acustica da parte del locale, al fine di evitare di soccombere in giudizio e magari dover sostenere anche le spese di lite.

Non basterebbe, infatti, agire in giudizio e fare istanza per una consulenza tecnica sulle emissioni sonore incaricata dal Tribunale in quanto, in tal caso, la CTU sarebbe meramente esplorativa e per ciò stesso inammissibile.

Infatti, la parte attrice processuale non può certo domandare la nomina di un consulente di ufficio al fine di eludere con disinvoltura l’onus probandi: la consulenza tecnica d’ufficio che, peraltro, è strumento assolutamente dispendioso consiste in un mezzo di valutazione delle risultanze delle prove già fornite dalle parti:In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d'ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati” (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 07/03/2001, n.3343, in Mass. Giur. It., 2001).

Peraltro, è pacifico che in una materia come quella delle emissioni acustiche solo prove c.d. “scientifiche”, ossia fondate su metodologie, tests e analisi tecniche come mezzi di accertamento, possono avere rilevanza al fine del decidere, per cui anche eventuali prove orali articolate da chi agisce in giudizio rischiano di essere considerate del tutto inconferenti in una causa del genere.

La giurisprudenza è granitica sul punto, avendo in più occasioni avuto modo di evidenziare come l’interrogatorio o la prova orale rendono un apprezzamento esclusivamente soggettivo e del tutto privo della necessaria rigorosa valutazione oggettiva e, dunque, certamente inidoneo per individuare il parametro di normale tollerabilità in un emissione acustica: “le persone possono, infatti, riferire soltanto sulla verità di fatti storici oggettivi dei quali abbiano avuto diretta cognizione, mentre irrilevanti sono i loro apprezzamenti in ordine ai fatti stessi, onde le dichiarazioni che rendano circa l'entità di un fenomeno, implicandone una valutazione informata alle loro personali impressioni, si traducono in una valutazione della quale non ne sono consentite né l'acquisizione agli atti né, pur ove acquisita, l'utilizzazione ai fini della decisione (cfr., ex multis, Cass., sez. II, 18.04.2001 n. 5697 in G.I., 2001, 1818).



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Francesco Caretti

Avvocato a Firenze