Pubblicazione legale:
L’art. 732 c.c. riconosce ai partecipanti ad una
comunione ereditaria due distinti diritti: a) lo ius prelationis in base
al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa
vuole alienare la propria quota a titolo oneroso, deve notificare agli altri la
relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza
accordata, sì che non può concludere con i terzi il contratto traslativo prima
del decorso del periodo normativamente previsto; b) lo ius retractionis esercitabile
dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria, nel
caso che sia stato violato il diritto di prelazione o non effettuando la
predetta notifica della proposta di alienazione o ignorando l’esercizio
positivo di tale diritto (Cass. Civ. Sent. n. 15842/2001; Cass. Civ. Sent. n.
666/1994).
Si è osservato
che si tratta, in sostanza, di “diritti
collegati ma distinti, aventi contenuto diverso e soggetti passivi differenti,
ognuno dei quali da considerarsi terzo rispetto al rapporto cui partecipa, con
conseguente esclusione della qualità di litisconsorte necessario dell’alienante
nei giudizi di riscatto” (S. Merz,
Manuale pratico e formulario delle
successioni, Cedam, 2011).
Quanto alla natura
giuridica del diritto di prelazione si ritiene che esso, quale diritto di
credito, corrisponda ad un’obbligazione ex
lege del coerede di preferire gli eredi all’estraneo, in caso di
alienazione a titolo oneroso della quota o di parte di essa.
Con il riscatto, da comunicarsi al terzo acquirente
in caso di mancata notificazione, il coerede ritraente si sostituisce
all’estraneo dalla data di conclusione del contratto.
Ne deriva che l’utile conclusione del retratto
successorio ha efficacia erga omnes
comportando la surrogazione legale
del retraente nella stessa posizione del retrattato ed altresì efficacia ex tunc, vale a dire dalla data della
conclusione del contratto, in modo che il primo sia considerato diretto
acquirente rispetto al coerede alienante (Cass. Civ. Sent. n. 4703/1999).
L’esercizio predetto, inoltre, fa si che tutte le
eventuali successive alienazioni della stessa quota perdano ipso iure la propria efficacia,
indipendentemente dalla trascrizione del primo atto dispositivo della quota o
dalla priorità dell’eventuale trascrizione dei successivi atti di
trasferimento.
Quanto agli interessi
legali ex art. 1282 c.c. la Suprema Corte ha precisato che il retrattato ha
diritto ad ottenerli sebbene il relativo obbligo abbia per oggetto un debito di valuta soggetto al principio
nominalistico (Sent. Cass. Civ. n. 4497/2010).
L’ambito di applicazione della norma è la comunione
ereditaria che si vuole salvaguardare
dall’ingresso di terzi acquirenti estranei alla successione.
La giurisprudenza si è premurata di chiarire che la
predetta finalità del retratto
successorio di impedire l’intromissione di estranei nello stato di
indivisione, determinato dall’apertura della successione, si applica soltanto
alle comunione ereditarie, mentre non può trovare applicazione nella comunione
ordinaria tra condividenti creatasi a seguito della divisione, per la congiunta
attribuzione ad essi di un medesimo bene.
Ciò in quanto l’art. 732 c.c., derogando al principio
della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare
applicazione fuori dai casi espressamente previsti.
D’altra parte tenuto conto che in materia di comunione ordinaria vige il principio
secondo cui , ai sensi dell’art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre
del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua
quota, l’art. 732 c.c. non potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c.
che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria,
essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della
comunione ordinaria (Sent. Cass. Civ. n. 4224/2007; Sent. Cass. Civ. n.
6293/2015).
Il diritto di prelazione ereditaria non può, inoltre,
essere esercitato quando la vendita,
effettuata da uno o più dei coeredi non riguardi una o più quote ereditarie, ma
abbia ad oggetto quote di un bene determinato, in parte assoggettato alla
comunione ereditaria ed in parte costituente un’autonoma divisione ordinaria in
quanto, in questa particolare ipotesi, non si verifica il subingresso di un
estraneo nella comunione ereditaria, che l’art. 732 c.c. tende ad impedire, ma
solo il trasferimento di una res come
bene a sé stante (Cass. Civ. Sent. n. 20561/2008).
Nell’ipotesi di assegnazione da parte del testatore di beni determinati occorre accertare,
in base al concreto atteggiarsi della volontà del de cuius, se trattasi di attribuzione in rebus certis direttamente effettuata dal testatore con efficacia reale o debba, invece,
riconoscersi alla stessa efficacia
obbligatoria.
Nella prima ipotesi non si applica il diritto di cui
all’art. 732 c.c. in quanto, in virtù dell’effetto traslativo, il bene è
acquistato immediatamente dall’istituito, mentre, nel secondo caso si realizza,
nei riguardi dei beni assegnati, il sorgere della comunione ereditaria e la
conseguente ammissibilità del retratto
successorio (Cass. Civ. n. 4777/1983).
Spetta, dunque, al giudice del merito accertare se
l’attribuzione di un medesimo bene in comunione, da parte del de cuius ad un gruppo di discendenti,
postuli o meno un atto dispositivo/attributivo con effetti reali (Cass. Civ. n.
21491/2007: la Suprema Corte ha confermato la sentenza della corte territoriale
per cui era infondata la tesi del retrattato che, per negare i presupposti del
retratto, alias la sussistenza della
comunione ereditaria, sosteneva ricorrere l’ipotesi della divisione fatta dal testatore, laddove costui aveva attribuito parte
dei beni ad uno dei figli disponendo altresì che “la restante mia proprietà dovrà essere divisa in parti uguali tra i
miei altri figli”).
Parimenti non è soggetta a retratto l’alienazione di
quota effettuata, non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria,
bensì dal suo successore a titolo universale potendo ritenersi soggetta a
retratto la sola alienazione a titolo oneroso che il coerede faccia della quota
di comunione che ha acquistato quale erede del de cuius (Cass. Civ. Sent. n. 5374/1993).
Si è ulteriormente chiarito che il diritto di
prelazione non può circolare per successione mortis causa e non spetta, pertanto, all’erede del coerede (Cass.
Civ. Sent. n. 4277/2012).
Tuttavia, il suesposto principio di intrasmissibilità del diritto di prelazione fra eredi
non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del
relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la
sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo
dei suoi eredi, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 17673/2012).
Di particolare interesse è la verifica delle modalità secondo le quali il retratto successorio si atteggia a
seconda della fattispecie di alienazione che pone in essere il condividente.
Si è sostenuto che la prelazione ereditaria, come ogni altro diritto di prelazione, non trova applicazione quando gli atti di
alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del
proprietario: non si applica, pertanto, in sede di vendita fallimentare (Cass. Civ. Sent. n. 7057/1999); né
relativamente alla vendita all’asta
(Cass. Civ. Sent. n. 596/1986).
Il contratto
di vendita di un quota della società di capitali caduta in successione mortis causa, concluso da alcuni coeredi
sull’assunto dell’attuale piena titolarità dei diritti di partecipazione
sociale, la quale poteva, invece, essere loro riconosciuta soltanto all’esito
del pendente giudizio di divisione, non avendo ad oggetto la quota di eredità
spettante agli stessi cedenti, non è volto a far subentrare l’acquirente nella
comunione ereditaria e rimane, pertanto, inopponibile ad altro coerede rimasto
estraneo all’alienazione, neppure rilevando, rispetto a tale alienazione, l’esercizio della prelazione di cui all’art. 732 c.c.; né l’opponibilità di
detta cessione nei confronti del comproprietario non partecipe al negozio può
essere affermata ricostruendo l’accordo come vendita di quota indivisa dei soli
diritti sociali, ai sensi dell’art. 1103
c.c., in quanto anche un tale atto di disposizione riveste un’efficacia
meramente obbligatoria, condizionata all’attribuzione del bene, in sede di
divisione, ai coeredi alienanti (Cass. Civ. Sent. n. 9801/2013).
Per quanto concerne i casi di alienazione nulla per simulazione assoluta con sentenza
passata in giudicato, deve escludersi l’esercizio del retratto successorio
successivo alla sentenza, in quanto tale pronuncia, negando la sussistenza di un
trasferimento tra coerede cedente e terzo cessionario, implica il venir meno del
presupposto per il diritto di riscatto. Inoltre il coerede retraente,
esercitando un diritto direttamente conferito dalla legge, il quale implica una
sostituzione con effetti ex tunc
nella posizione del retrattato, non è qualificabile come avente causa di
quest’ultimo e quindi non può invocare l’inopponibilità della simulazione
prevista dall’art. 1415, comma 1 c.c. nei confronti di chi abbia in buona fede
acquistato dal titolare apparente (Cass. Civ. Sent. n. 1809/1984).
E’ però necessario segnalare anche un avviso
giurisprudenziale di segno opposto, secondo cui, in tema di retratto
successorio, la simulazione della
vendita della quota ereditaria non può essere opposta ai sensi dell’art.
1415 c.c. ai retraenti, essendo costoro terzi rispetto al contratto stesso
(Cass. Civ. Sent. n. 5181/1992).
Nei rapporti tra la prelazione ereditaria e la prelazione agraria, la Suprema Corte
ha stabilito che, per il caso in cui uno dei coeredi sia affittuario di un
fondo rustico oggetto di comproprietà indivisa, deve riconoscersi a detto
comproprietario, a fronte dell’alienazione della quota da parte degli altri, il
diritto di prelazione e riscatto secondo la disciplina fissata dall’art. 8,
legge n. 590 del 1965 (prelazione
agraria) senza che possa profilarsi, per il caso di comunione ereditaria,
un’interferenza con la disciplina della prelazione fra coeredi per l’ipotesi
della vendita della quota ereditaria, dato che la suddetta prelazione in favore
del comproprietario affittuario non verrebbe comunque ad implicare il subingresso
di un estraneo nella comunione ereditaria (Cass. Civ. Sent. n. 4602/1984).
Il diritto di prelazione ereditaria prevale invece
sul diritto di prelazione del
coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante, ex art. 8, legge n. 590 del 1965, qualora
sia venduta la quota di un fondo indiviso facente parte di una comunione
ereditaria, indipendentemente dal fatto che l’asse ereditario sia costituito
soltanto da quel fondo o anche da altri cespiti (Cass. Civ. Sent. n.
4345/2009).
In tema di locazione
di immobili urbani ad uso non abitativo il diritto di prelazione spettante
al conduttore, a norma dell’art. 38, legge 27 luglio 1978, n. 392, non trova
applicazione nel caso previsto dall’art. 732 c.c. in quanto il retratto successorio può essere
esercitato dal quotista “finché dura lo
stato di comunione ereditaria, mentre il conduttore può esercitare il diritto
di riscatto entro il termine di sei mesi” (Cass. Civ. Sent. n. 13838/2010).
Non è mancato chi abbia fatto notare (Merz, Manuale pratico e formulario delle
successioni, Cedam, 2011) che l’esercizio del riscatto ex art. 732 c.c. non
debba essere confuso con il riscatto
convenzionale ex art. 1500 c.c. (“patto
di riscatto” o di “retrovendita”), ferma restando l’analogia (ergo l’applicabilità al riscatto
successorio) dell’art. 1502, comma 1, c.c. che impone al riscattante il
rimborso all’acquirente del prezzo e delle spese d’acquisto, di manutenzione,
di miglioramento dei beni compresi nella quota riscattata.
L’acquisto da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale di una quota ereditaria in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi, si estende ipso iure all’altro coniuge e, conseguentemente, l’azione di riscatto, comportando il trasferimento della quota dal retrattato al retraente, deve essere proposta nei confronti di entrambi i coniugi, sussistendo tra questi litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 7404/2003).
Sempre in tema di comunione legale (in senso contrario alla precedente pronuncia), è stato rilevato che la prevalente e cogente normativa di cui all'art. 177 c.c., esula dalle previsioni dell'art. 732 c.c., ne deriva che non può esercitarsi il retratto successorio nell'ipotesi in cui un erede abbia venduto la propria quota ereditaria ad un coerede e la metà di tale quota sia, pertanto, passata ex lege al coniuge del compratore per effetto del regime di comunione legale dei beni vigente tra i coniugi (Trib. Verona, 26.09.1983, D. fam. 85, 948).
In tema di cessione dell’azienda familiare, l’art. 230-bis, comma 5, c.c. rinvia alla disposizione dell’art. 732 c.c. nel seguente modo: “in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limii in cui è compatibile, la disposizione dell’art. 732”. Pertanto se il familiare vuole alienare a terzi la propria quota della società, deve notificare la proposta agli altri coeredi, che hanno diritto di prelazione, mentre, i partecipi dell’impresa familiare, in caso di trasferimento d’azienda, sono titolari del diritto di riscatto (Cass. Civ. sez. lav. Sent. n. 27475/2008).
Bibliografia
S. Merz, Manuale pratico e formulario delle
successioni, Cedam, 2011