Pubblicazione legale:
Uno dei limiti imposti dall’ordinamento alla
libertà testamentaria è racchiuso nell’art.
634 c.c. che considera non apposte le condizioni impossibili e quelle illecite,
cioè contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, salvo
che abbiano costituito l’unico motivo che abbia determinato il testatore a
disporre, nel qual caso la disposizione testamentaria è nulla.
Si può, pertanto, considerare l’art. 634 c.c. alla stregua di un principio
generale in tema di successioni, mentre il successivo art. 636 c.c., relativo al divieto disposto dal testatore che
l’erede contragga matrimonio, ne è una specificazione e, segnatamente rientra
tra le condizioni illecite.
Si, pertanto, posto un limite al favor testamenti cui è generalmente
improntato l’ordinamento al fine di
evitare disposizioni testamentarie volte a determinare un’illecita pressione
psicologica sul beneficiario, al fine di indurlo a compiere quanto richiestogli
dal testatore, se vuole conseguire il beneficio.
In altri termini si è inteso impedire
l’istituzione di erede possa risolversi in un’indebita coartazione.
Particolarmente controverso sotto il profilo
giurisprudenziale e fonte di acceso dibattito dottrinario è, invece, il caso di
segno opposto, cioè l’ipotesi in cui la condizione
apposta ad una disposizione testamentaria subordini l’efficacia della stessa
alla circostanza che l’istituito
contragga matrimonio.
L’oscillazione interpretativa da parte della
dottrina e della giurisprudenza, le cui rispettive e confliggenti posizioni
sono infra illustrate, nasce anche in
relazione al dato di fatto per cui – a differenza del divieto di contrarre
matrimonio - non è espressamente
prevista alcuna disposizione normativa che ponga il divieto di sottoporre
l’istituzione di erede alla condizione
sospensiva che l’onorato contragga matrimonio.
Il 1°
comma dell’art. 636 c.c. definendo: “illecita
la condizione che impedisce le prime nozze o le ulteriori” nulla
dice, difatti, circa l’ipotesi contraria in cui il de cuius subordini l’efficacia della disposizione testamentaria
alla condizione che il beneficiario si sposi.
Il giudice di legittimità ha precisato che l’art. 636, 1° comma c.c., ha la scopo
di tutelare la libertà della persona di contrarre matrimonio e non è quindi
violata nei casi in cui la condizione non sia dettata al fine di impedire le
nozze, ma preveda per l’istituito un trattamento più favorevole in caso di
mancato matrimonio e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di
mira di provvedere, nel modo più adeguato alle esigenze dell’istituito,
connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di
cui avrebbe potuto godere con il matrimonio (Cass. Civ. 92/2122).
Nessuno dubita, invece, circa l’illiceità della
condizione quando contenga un divieto
assoluto di nozze, nel qual caso la condizione si considera non apposta ex art. 634 c.c. (C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano,
1974).
Alcuni autori hanno rilevato che la condizione
di cui all’art. 636 c.c. sarebbe valida qualora il divieto sia relativo perché, ad esempio, impedisce
il matrimonio con una determinata persona o fino al raggiungimento di una certa
età (C. Giannattasio, Delle successioni. Successioni
testamentarie, Torino, 1978).
La tematica dei divieti relativi di nozze è stata, inoltre, oggetto di pronunce
giurisprudenziali che, secondo un orientamento conforme alle suddette opinioni
dottrinarie, ha ritenuto lecita la condizione con la quale il de cuius abbia, in realtà, inteso
semplicemente circoscrivere l’ambito di indeterminatezza delle persone da
sposare, senza impedire in assoluto il matrimonio.
In questa ipotesi si tratterebbe, in altri
termini, di limitare la scelta, determinando nel beneficiario una coazione
psichica ritenuta dalla giurisprudenza “tollerabile
in quanto di modeste proporzioni”, come, ad esempio, nel caso della
condizione che impedisca all’istituito l’unione con una determinata persona in
quanto non ne lederebbe la libera autodeterminazione (Cass. Civ. 19 gennaio 1985, n. 150; Cass. Civ. 11 gennaio 1986, n. 102).
Accanto alla posizione di chi ha ritenuto
illecito il divieto assoluto ed, invece, valido il divieto relativo, vi è chi
ha fatto notare che l’art. 636 c.c., posto a tutela della libertà matrimoniale
dell’erede o del legatario, non indica distinzioni o differenti discipline a
seconda che il divieto disposto dal testatore sia assoluto o relativo,
ragion per cui detta distinzione sarebbe addirittura “lesiva della dignità umana” (B.
Toti, Condizioni testamentarie e
libertà personale, Milano, 2004).
Secondo l’Autore l’illiceità delle condizioni
dirette a limitare la libertà matrimoniale è da rinvenire nello stesso
significato ontologico del matrimonio, quale vicenda personalissima
dell’individuo, insuscettibile di essere
dedotta in condizione, a prescindere dai motivi, anche se
intrinsecamente leciti o meritevoli, che hanno indotto il de cuius a disporre.
Dunque, secondo tale impostazione, fondata
sulla tesi della tutela incondizionata delle libertà individuali garantite
dalla Costituzione, anche i divieti relativi sono illeciti e le inerenti condizioni si considerano come non apposte.
Più articolato è, invece, il dibattito relativo
all’ipotesi in cui il testatore abbia previsto l’opposta condizione, cioè che
l’istituito contragga matrimonio.
La condizione sospensiva, apposta a una
disposizione testamentaria, di contrarre matrimonio con persona appartenente alla stessa classe sociale dell’istituito,
è stata considerata lecita e,
quindi, pienamente valida ed efficace in quanto lascia al beneficiario un ampio
margine di scelta e di libera autodeterminazione e non importa alcuna
limitazione psichica intollerabile che, come tale, sarebbe contraria all’ordine
pubblico.
Né detta condizione contrasta con gli artt. 3 e 29 della Costituzione perché
di tali norme, quella dell’art. 29, la quale stabilisce che il matrimonio è
fondato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ha esclusivo riguardo
alla posizione dei medesimi nell’ambito della famiglia, mente l’art. 3, il quale
sancisce il principio dell’eguaglianza, tende ad una finalità (compenetrazione
delle classi sociali) estranea alla questione dei limiti di validità della
condizione testamentaria (Cass. Civ.
102/86).
Altra pronuncia della Suprema Corte ha,
inoltre, affermato che non incorre
nell’illiceità prevista dall’art. 636 c.c., la condizione di contrarre
matrimonio apposta dal testatore alle attribuzioni fatte all’erede e neppure la
condizione di non contrarre matrimonio con persona determinata (Cass. Civ. 150/85). Segnatamente la
Suprema Corte ha argomentato che la condizione di contrarre matrimonio,
risolutivamente apposta al legato, è
lecita e valida e non cela una sostituzione fedecommissaria (similmente
alla clausola “si sine liberis decesserit”)
se manchi nel testatore la consapevole certezza che la persona onorata non
avrebbe contratto matrimonio.
Inoltre la medesima pronuncia ha ritenuto
valida la condizione di contrarre matrimonio, anche perché è stato ritenuto
istituto favorito e tutelato dall’ordinamento giuridico.
Da parte di altra giurisprudenza è stata, al
contrario, ritenuta illecita in quanto
contraria a norme imperative e all’ordine pubblico, ex art. 634 c.c., la
condizione apposta ad una disposizione testamentaria che subordini l’efficacia della stessa alla
circostanza che l’istituito contragga matrimonio (Cass. Civ., sez. II, n. 8941 del 15.04.2009). Nella specie la
Suprema Corte ha precisato che la circostanza è illecita in quanto contraria al
principio di libertà matrimoniale tutelato dagli artt. 2 e 29 della
Costituzione. Essa, pertanto, si considera non
apposta, a meno che non sia stato l’unico motivo determinante della volontà
del testatore, nel qual caso rende nulla
la disposizione testamentaria.
Parimenti illecita è stata considerata la condizione
apposta ad una chiamata all’eredità che preveda per l’istituto l’obbligo di
sposare una determinata persona, in
quanto coarta in modo assoluto la libertà personale (Cass. Civ. 1633/53).
Conformemente a quanto precede, secondo una
parte della dottrina (G. Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Commento
teorico- pratico al Codice Civile diretto da V. De Martino, Novara, 1982; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009) e della giurisprudenza sono illecite tutte le condizioni dirette a
coartare la libertà di autodeterminarsi del beneficiario di una disposizione
testamentaria in ordine ad una scelta personalissima come quella di unirsi in
matrimonio ( nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ. 30 maggio 1953, n. 1633; Cass.
Civ. 24 giugno 1959, n. 1990).
Opinione del medesimo segno è stata espressa da
quella parte della dottrina che ha ritenuto illecita qualunque fattispecie in
cui la volontà del beneficiario relativa
alla decisione di unirsi in matrimonio sia condizionata dal testatore a fronte dell’eventualità di acquisire o
perdere un lascito testamentario (B.
Toti, Condizioni testamentarie e
libertà personale, Milano, 2004).
Altro Autore (N. Di Mauro, Illiceità della
condizione testamentaria di contrarre matrimonio: la Cassazione apre alla
drittwirkung per le successioni mortis causa, in Famiglia, persone, successioni
2009) ha osservato che la condizione
in questione sarebbe illecita non solo per la violazione degli artt. 2 e 29
della Costituzione, bensì anche in virtù di quanto previsto dall’art. 16 della Dichiarazione Universale
dei diritti dell’uomo del 1948 e dall’art. 12 della Convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa
esecutiva in Italia con la legge n. 848 del 4 agosto 1955 ed oggi anche dall’art. 9 della Carta dei Diritti
fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
Anche la Corte Costituzionale, in una serie di
pronunce relativamente risalenti, ha precisato che il vincolo matrimoniale è, e
deve rimanere, frutto della libera autodeterminazione, attenendo ai diritti
intrinseci della persona umana e, pertanto, si sottrae ad ogni forma di
condizionamento, anche indiretto (Corte Cost. 1/1992; Corte Coast. 450/1991/;
Corte Cost. 189/1991).
Autorevole dottrina contraria all’ammissibilità
della condizione di contrarre matrimonio l’ha definita: “ripugnante tentativo del testatore di coartare in qualsiasi modo la
libertà di autodeterminazione dell’onorato” (L. Bigliazzi-Geri, Successioni testamentarie, Zanichelli,
1997).
In senso conforme, cioè favorevoli a negare
risolutamente la liceità della condizione matrimoniale, quale intollerabile
coartazione delle volontà dell’istituito, si sono espressi anche Rescigno, Caramazza, Di Mauro, Carusi, Toti
e Galgano.
E’
comunque da riferire che, nonostante le richiamate opinioni della dottrina
prevalente e le pronunce giurisprudenziali sin qui illustrate, a modesto parere
dello scrivente rimane, comunque, preferibile la tesi della liceità della condizione sospensiva che subordini
l’istituzione di erede alle nozze dell’istituito.
Sempre in senso favorevole, in dottrina, si è
fatto (ragionevolmente) leva sull’interpretazione “ex adverso” dell’art. 636 c.c., argomentando che, se lo scopo del
legislatore era quello di affermare il disvalore della condizione avente ad
oggetto il divieto di nozze, “a contrario”
deve ritenersi valida ( e forse addirittura giuridicamente meritevole di tutela)
la condizione che preveda le preveda (C.
Giannattasio, Commentario del Codice
Civile. Libro II – Delle successioni, Torino, 1968).
E’ inoltre da ritenere che la menzionata
dottrina, per quanto autorevolissima, sia incorsa in una sopravvalutazione
dell’istituto del matrimonio, certamente e, forse, inevitabilmente,
condizionata da fattori socio-culturali oramai anacronistici in quanto
caratterizzanti la prima metà dello scorso secolo ove, senz’altro, l’istituto
godeva di una “sacralità” della determinazione che più non si attaglia ala
mutata concezione odierna ed è, anzi, da ritenere sicuramente superata.
A parere dello scrivente non si vede, difatti,
quale concreto ed effettivo potere coattivo il testatore potrebbe esercitare
sull’istituito il quale, resterebbe pur sempre libero di individuare quale sia la persona da sposare ed in quale momento della vita celebrare
le nozze, fermo restando che qualora fosse, invece, determinato a non contrarre
il matrimonio, ben potrebbe rinunciare al compendio del lascito testamentario.
Ciò nonostante l’autore R. Triola, Il testamento, in
Pratica Giuridica, Giurisprudenza e dottrina diretta da O. Fanelli, Giuffré
editore, 2012, ha eccepito che: “né varrebbe opporre il rilievo secondo cui
la condizione testamentaria non sarebbe idonea a ledere la libertà personale
dell’istituito, che rimarrebbe arbitro delle scelte fondamentali della propria
vita, cui potrebbe, al più, conseguire la mancata attribuzione patrimoniale”. Ciò
in quanto, ha argomentato l’autore, la pur indiretta coartazione della libertà
reca, di per sé, “vulnus” alla dignità dell’individuo, nella misura in cui
l’alternativa di fronte alla quale lo colloca l’apposizione del testatore della
condizione testamentaria, possa indurlo, con la prospettiva di un vantaggio
economico, ad una opzione che limita la libera esplicazione della sua
personalità.
In senso contrario si è argomentato (Vairoletti, l’illiceità della condizione ci contrarre matrimonio, in Giur.it 2010) che
per quanto sia apprezzabile l’intento di esaltare le libertà fondamentali
dell’individuo “appare forzato il volere
sempre e comunque dare prevalente peso ai diritti dell’istituito, seppur
costituzionalmente riconosciuti, a discapito della volontà del de cuius, soprattutto se si considera
il fatto che già il legislatore si è preoccupato di proteggere gli interessi de
legittimari riservando loro una quota di beni dell’asse ereditario, anche
contro la stessa volontà del testatore, il quale, pertanto, dovrebbe essere per
lo meno libero di lasciare le altre sostanze a chi vuole anche manifestando un
desiderio che gli era caro in vita, ad esempio il matrimonio dell’istituito”.
Si è, altresì, sostenuto (Achille, condizione
testamentaria illegittima, regola sabiniana e limitazione della libertà
matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010) che la valutazione della illiceità
di una condizione mal si adatta a conclusioni generalizzate.
In primo luogo vi è da chiedersi se dietro le
scelte del legislatore intorno all’art. 636 c.c. non vi sia una precisa idea
tesa a mantenere fuori dal giudizio di illiceità la condizione che il
beneficiario sia sposato.
In secondo luogo non sembra preclusa una
differenziazione delle attribuzioni patrimoniali contenute in un testamento in
funzione di una determinata situazione, nel senso che sembra naturale plasmare
le attribuzioni patrimoniali ex testamento, in funzione, ad esempio, degli
aggravi economici che possono derivare dall’avere o meno una famiglia.
In tale prospettiva, un criterio oggettivo di
valutazione potrebbe essere fornito dal rapporto tra il vantaggio patrimoniale
ottenibile con il lascito testamentario ed il sacrificio della libertà
personale, in modo che, qualora la perdita in termini di libertà personale non
sia proporzionata al vantaggio patrimoniale del lascito, la condizione dovrebbe
ritenersi illecita, mentre, al contrario, nel caso in cui il vantaggio sia
ragionevolmente proporzionato alla perdita di libertà subita, la condizione
dovrà essere ritenuta lecita.
In ultimo, almeno a parere dello scrivente, pur
volendo prescindere dalla fondatezza o meno delle ricostruzioni dottrinarie sin
qui illustrate, l’argomento realmente insuperabile che depone a favore della liceità della condizione
di contrarre matrimonio, è anche il meno invocato dagli autori: la donazione in riguardo di matrimonio, alias donazione obnuziale, ex art. 785 c.c.
Si tratta di un negozio formale tipico previsto
dal legislatore, avente ad oggetto la prospettazione patrimoniale a carattere
di liberalità fatta dal donante o dai donanti con il precipuo fine che il
donatario (o i donatari, se beneficiari sono entrambi gli sposi) contragga un
determinato matrimonio.
E’ quindi una donazione espressamente sottoposta
alla condizione sospensiva di contrarre un futuro e ben individuato matrimonio,
fermo restando che: “non produce effetto finché non segua il
matrimonio” (1° comma) e che “l’annullamento del matrimonio importa la
nullità della donazione” (2° comma).
Il primo comma dell’art. 785 c.c. chiarisce che
la condizione sospensiva deve considerarsi caducata qualora non si realizzi il
matrimonio.
Ne consegue che non si realizza l’effetto
traslativo del donatum dal donante al
donatario.
Inoltre la nullità sopravvenuta della
donazione, per il caso di annullamento del matrimonio, ha carattere retroattivo
ed importa la possibilità per il donante di esperire l’azione di restituzione o
di rivendicazione o, ancora, l’azione di accertamento della proprietà,
finalizzate a riacquisire i beni donati.
A fronte del particolare regime di favore che
il legislatore ha riconosciuto alla volontà del donante di trasferire al
donatario taluni beni, a condizione che questi contragga matrimonio, non è dato
comprendere in virtù di quale ragionamento la stessa condizione dovrebbe
ritenersi illecita – ed anzi addirittura “ripugnante”
- se prevista dal testatore.
Né potrebbe farsi valere l’eccezione secondo
cui la donazione obnuziale è prospettata, normalmente, allorquando il donatario
è già autonomamente determinato a contrarre matrimonio, motivo per cui il
fattore condizionante non potrebbe essere costituito dall’evenienza di perdere
il vantaggio patrimoniale.
Difatti qualora il compendio del donatum fosse consistente ed, una volta
prospettata la donazione, venissero poi a mancare i presupposti per celebrare
le nozze, il donatario sarebbe senz’altro condizionato dall’evenienza di
perdere il beneficio.
Per
tali ragioni può concludersi che particolarmente convincente appare la
ricostruzione di quella dottrina che ha ritenuto un criterio oggettivo di valutazione il rapporto tra il vantaggio
patrimoniale ottenibile con il lascito testamentario ed il sacrificio della
libertà personale, in modo che, qualora la perdita in termini di libertà
personale non sia proporzionata al vantaggio patrimoniale del lascito, la
condizione dovrebbe ritenersi illecita,
mentre, al contrario, nel caso in cui il vantaggio sia ragionevolmente
proporzionato alla perdita di libertà subita, la condizione dovrà essere
ritenuta lecita (Achille, condizione testamentaria illegittima, regola
sabiniana e limitazione della libertà matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010).
Bibliografia:
S. Merz, Manuale pratico e formulario delle
successioni, Cedam, 2011
G.
Caramazza, Delle
successioni testamentarie, in Commento teorico- pratico al Codice Civile
diretto da V. De Martino, Novara, 1982
G.
Capozzi, Successioni
e donazioni, Milano, 2009
C.
Gangi, La successione
testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1974
C.
Giannattasio, Delle
successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1978
L.
Mambelli – J. Balottin, Glossario
Notarile per Consiglio Notarile di Mantova, Milano, 2013
B.
Toti,
Condizioni testamentarie e libertà
personale, Milano, 2004
N.
Di Mauro, Illiceità della
condizione testamentaria di contrarre matrimonio: la Cassazione apre alla
drittwirkung per le successioni mortis causa, in Famiglia, persone, successioni
2009
R.
Triola, Il testamento, in
Pratica Giuridica, Giurisprudenza e dottrina diretta da O. Fanelli, Giuffré
editore, 2012
C.
Giannattasio, Commentario
del Codice Civile. Libro II – Delle successioni, Torino, 1968
L. Bigliazzi-Geri, Successioni testamentarie, Zanichelli,
1997
Vairoletti, l’illiceità della condizione ci contrarre
matrimonio, 2010)
Achille, condizione testamentaria illegittima, regola
sabiniana e limitazione della libertà matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010