Avvocato Francesco Guido a Cosenza

Francesco Guido

Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni


Informazioni generali

Ho esperienza settoriale in materia di diritto penale per colpa medica e reati contro la persona mentre in diritto civile mi occupo di famiglia e minori, volontaria giurisdizione, assicurazioni, successioni e donazioni. Tratto ampia casistica in tema di modifica accordi di separazione e divorzio, nonché separazione tra coniugi e regime di affidamento dei minori. Sono legale di fiducia di un sindacato autonomo in materia di professioni sanitarie. Dopo la laurea presso l'Università di Roma Tor Vergata, ho conseguito la specializzazione ad indirizzo notarile presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro.

Esperienza


Diritto di famiglia

Mi occupo quotidianamente di tutti gli aspetti del diritto di famiglia e di volontaria giurisdizione, conferendo peculiare centralità alle separazioni, ai divorzi ed ai c.d. "diritti contesi" dei minori, aggiornandomi costantemente sulle innovazioni giurisprudenziali relative ad istituti particolari quali l'affido esclusivo e l'affido super-esclusivo, nonché l'autorizzazione giudiziale all'espatrio del minore, mediante acquisizione della carta d'identità, in presenza di opposizione dell'altro genitore. Mi occupo regolarmente anche di procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.).


Matrimonio

Dispongo di esperienza settoriale nella vasta casistica delle violazioni dei diritti e dei doveri coniugali. Per la mia sensibilità giuridica ed in virtù della personale filosofia di vita sono sempre propenso ad esperire tutti i tentativi di composizione della crisi coniugale e familiare, anche attraverso una serie di pazienti tentativi di conciliazione tra le parti.


Eredità e successioni

Ho conseguito il diploma post lauream di specializzazione in ambito notarile, presso l'Università "Magna Graecia" di Catanzaro, a seguito del corso della durata biennale e dell'esame finale, superato con successo. Parallelamente ho frequentato uno studio notarile della città di Cosenza per uno stage obbligatorio, facente parte del percorso di preparazione ai fini dell'ottenimento del titolo di specializzazione. Frattanto ho sempre coltivato gli studi in ambito notarile al fine di poter affrontare il concorso. Com'è noto tali studi prevedono, tra l'altro, un'elevatissima specializzazione nel diritto delle successioni e donazioni.


Altre categorie:

Separazione, Divorzio, Affidamento, Diritto civile, Tutela dei minori, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto assicurativo, Diritto del lavoro, Diritto penale, Incidenti stradali, Stalking e molestie, Risarcimento danni, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Sostanze stupefacenti, Diritto condominiale, Malasanità e responsabilità medica, Mediazione, Omicidio, Multe e contravvenzioni, Incapacità giuridica, Diritto sindacale, Negoziazione assistita, Tutela del consumatore, Edilizia ed urbanistica, Previdenza, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni.


Referenze

Pubblicazione legale

La violazione del dovere di fedeltà ai fini dell'addebito della separazione

Pubblicato su IUSTLAB

Il secondo comma dell'art. 143 c.c. elenca, tra gli altri doveri coniugali, anche quello di fedeltà, in linea generale da intendersi come la reciproca astensione dei coniugi da relazioni sentimentali con altre persone. Parte della dottrina ( Buonadonna, De Filippis, Iosca, Merola, Lupo in "La responsabilità nell'addebito della separzione" ) ha rilevato come il fondamento di siffatto dovere sia finalizzato ad ottenere due effetti: a) tutelare il valore dell'unità familiare, inteso come comunione materiale tra i coniugi improntata all'esclusività del vincolo; b) garantire il " clima di fiducia " tra i coniugi, indispensabile per il buon funzionamento del matrimonio, avuto anche riguardo della necessità che non sorgano incertezze in ordine alla filiazione. Tuttavia tale concezione, ancorché fondata probabilmente sul " comune sentire " della maggior parte dei non addetti ai lavori, è, a parere dello scrivente, eccessivamente ancorata a ricostruzioni oramai superate e, come tali, da considerare inadeguate a descrivere in modo esaustivo l'odierno quadro sociale ed il connesso mutamento dei costumi. D'altronde il diritto, soprattutto in materia di famiglia, non può che rimodulare costantemente i propri fondamenti, adeguandosi alle evoluzioni sociali ed alle rinnovate esigenze di concepire la famiglia alla luce di nuovi valori e secondo prospettive, talvolta, persino antitetiche rispetto al passato. Sempre in tema definitorio della nozione di " fedeltà " - tralasciando le oscillazioni della giurisprudenza che, nelle prime sentenze successive alla riforma del diritto di famiglia del 1975 conferiva al dovere in argomento un contenuto di carattere essenzialmente sessuale, di modo che la violazione dovesse restrittivamente individuarsi nell'adulterio, mentre, in tempi più recenti ne ha esteso il concetto riconducendolo anche al " tradimento " meramente affettivo - è da considerare che molti autori hanno, a modesto parere dello scrivente, errato nell'attribuire alla " fedeltà " un contenuto eccessivamente condizionato da fattori etici, se non quando religiosi. Appaiono, così, del tutto fuorvianti le affermazioni secondo cui l'obbligo di fedeltà è l'impegno del coniuge a non tradire la fiducia che l'altro ha riposto in lui nello sceglierlo come " unico compagno della sua vita" . Altri ha osservato che il dovere di fedeltà va concepito in relazione diretta con il fine di realizzare e consolidare l'unione tra i coniugi. Non è poi mancato un filone di pensiero che ha ricondotto il dovere di fedeltà alla nozione di " lealtà " nel senso dell'estensione dei contenuti della stessa oltre la mera fedeltà sessuale e fino alla c.d. " fedeltà affettiva ". Un'isolata teoria è persino giunta a sostenere che la fedeltà va intesa in senso " elevato " e consiste nel riservare al coniuge il posto più importante nella propria vita. Com'è evidente si tratta di mere asserzioni di principio, anzi di valore, che poggiano esclusivamente su presupposti di carattere ideologico che restano, ai giorni nostri, completamente avulsi dal tessuto sociale e dalle concrete modalità di estrinsecazione della vita familiare ed, ancor prima, coniugale. Alla luce di quanto precede, appare, pertanto, più confacente all'odierna realtà giuridico-sociale ritenere che il contenuto della fedeltà, anche ai fini dell'addebitabilità della separazione personale tra i coniugi, debba essere individuato nella volontà (o meno) dei contraenti il matrimonio di proseguire nell'unione coniugale che ben può sussistere anche in caso di palese inosservanza dell'esclusività sessuale. In altri termini il problema che l'interprete odierno dovrebbe porsi è il seguente: se sia o meno sufficiente, ai fini della declaratoria di addebito della separazione, invocare l'episodica quanto eventuale occorrenza di una relazione extraconiugale da parte dell'altro coniuge. A siffatta ricostruzione si potrebbe agevolmente obiettare che l'aspetto sessuale resta, per lo meno nella communis opinio , il simbolo insostituibile di lealtà e fiducia nel rapporto coniugale. Tuttavia tale prevedibile obiezione non terrebbe in considerazione alcuna due peculiari vicende che si ritengono, invece, meritevoli di tutela: a) il non infrequente fenomeno del tacito o espresso consenso del coniuge alla possibilità che l'altro possa intrattenere relazioni di carattere sessuale con altri soggetti, di modo che, ciascuno dei coniugi goda della medesima " libertà "; b) la possibilità che, nonostante l'intrattenimento di relazioni con soggetti estranei al matrimonio da parte di uno o di entrambi i coniugi, si mantenga l'unione familiare, a maggior ragione in presenza di figli minori e, comunque, di condizioni di serenità tali da garantire la pacifica convivenza di tutti i conviventi. Riconducendo, pertanto, l'analisi ad un criterio di tipo meramente giuridico e possibilmente impermeabile a qualsiasi pulsione di carattere confessionale, non è dato comprendere in virtù di quale logica si dovrebbe interpretare il senso estensivo il secondo comma dell'art. 143 c.c. nella parte in cui prescrive il dovere di fedeltà. In altri termini il legislatore ha introdotto nell'ordinamento il generale dovere di fedeltà senza, tuttavia, che sia dato reperire alcuna nozione normativamente disciplinata e, come tale, specifica del termine "f edeltà ". Tanto anche se la giurisprudenza, persino in tempi recenti, ha mostrato un'incomprensibile tendenza ad interpretare in maniera via via sempre più estensiva il concetto di " fedeltà ", finendo per ricomprendervi qualsiasi forma di " attenzione " affettiva a soggetti estranei al matrimonio che possa, anche in via teorica, minare il rapporto di fiducia tra i coniugi. Pare allo scrivente che siffatta concezione finisca, irragionevolmente, per sovrapporre ed anzi far coincidere il concetto di " fedeltà " con quello di " fiducia ", addirittura ampliandone la portata sino a conseguenze estreme e, comunque, anacronistiche rispetto all'odierno dispiegarsi delle relazioni private e sociali. D'altronde la norma in esame non fa alcun riferimento a condotte di tipo sessuale, né si riferisce all'adulterio, ma menziona esclusivamente la " fedeltà ", peraltro, in passato sanzionata anche sotto il profilo penale dall'ormai abrogato art. 559 c.p. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte pare di poter concludere de plano che il dovere di fedeltà debba, primariamente, essere inteso quale fedeltà rispetto ai restanti doveri di coabitazione, di assistenza morale e materiale all'altro coniuge, nonché di collaborazione e, solo in via residuale, quale stensione dall'intrattenere relazioni sessuali o anche spirituali con altri soggetti. In ultimo è il caso di rilevare che, ai fini dell'addebito nella separazione, la violazione del dovere di fedeltà non è, di per sé, sufficiente a determinarne la declaratoria, in quanto è necessario dimostrare che essa sia stata causa della fine dell'unione tra i coniugi. Tale onere probatorio spetta, ovviamente, a chi richiede l'attribuzione dell'addebito all'altro coniuge, dovendo dimostrare la sussistenza del nesso eziologico tra l'infedeltà e la rottura dell'unione coniugale. In altri termini è necessario che, sia per i tempi, sia per i modi, sussista un rapporto di causalità diretto fra la violazione e la decisione di separarsi. Tanto con l'essenziale notazione che la verifica in ordine all'esistenza del nesso eziologico deve essere condotta non solo in riferimento alla violazione del dovere di fedeltà, bensì con riguardo a tutte le violazioni dei coniugali. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha consolidato un indirizzo interpretativo in base al quale in caso di mancato raggiungimento della prova che la violazione dei doveri matrimoniali sia stata la causa del fallimento coniugale, la separazione deve essere pronunciata senza addebito.

Caso legale seguito

Ricorso per la regolamentazione dei rapporti da parte dei nonni Ex art. 317 bis c.c.

Tribunale per i minorenni di Catanzaro

L’art. 317 bis del codice civile, com’è noto, prevede testualmente: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L'ascendente al quale è impedito l'esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse del minore”. Peraltro sistema di protezione dei diritti umani del Consiglio d’Europa la Corte EDU già da tempo, sin dal caso Marckx c. Belgio del 1979, ha dichiarato che la “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU non si limita ai rapporti tra genitori e figli, ma include, altresì i legami tra parenti stretti, come quelli tra nonni e nipoti, il che implica l’obbligo per lo Stato di agire in modo tale da consentire il normale svolgimento di siffatte relazioni. Orbene è altresì noto che si tratta di un diritto condizionato (anziché incondizionato), nel senso chiarito più volte dalla Suprema Corte: “Ciascuno degli ascendenti (o delle persone legate agli stessi da un rapporto di coniugio o di convivenza) è titolare di un proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317-bis c.c., autonomo rispetto a quello degli altri; tale diritto, coerentemente con l'interpretazione dell'art. 8 Cedu fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, non ha un carattere incondizionato, ma il suo esercizio è subordinato ad una valutazione del giudice avente di mira "l'esclusivo interesse del minore" (Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 9144 del 19 maggio 2020).

Pubblicazione legale

Il retratto successorio: casistica

Pubblicato su IUSTLAB

L’art. 732 c.c. riconosce ai partecipanti ad una comunione ereditaria due distinti diritti: a) lo ius prelationis in base al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa vuole alienare la propria quota a titolo oneroso, deve notificare agli altri la relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza accordata, sì che non può concludere con i terzi il contratto traslativo prima del decorso del periodo normativamente previsto; b) lo ius retractionis esercitabile dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria, nel caso che sia stato violato il diritto di prelazione o non effettuando la predetta notifica della proposta di alienazione o ignorando l’esercizio positivo di tale diritto (Cass. Civ. Sent. n. 15842/2001; Cass. Civ. Sent. n. 666/1994). Si è osservato che si tratta, in sostanza, di “ diritti collegati ma distinti, aventi contenuto diverso e soggetti passivi differenti, ognuno dei quali da considerarsi terzo rispetto al rapporto cui partecipa, con conseguente esclusione della qualità di litisconsorte necessario dell’alienante nei giudizi di riscatto ” ( S. Merz , Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011 ). Quanto alla natura giuridica del diritto di prelazione si ritiene che esso, quale diritto di credito, corrisponda ad un’obbligazione ex lege del coerede di preferire gli eredi all’estraneo, in caso di alienazione a titolo oneroso della quota o di parte di essa. Con il riscatto, da comunicarsi al terzo acquirente in caso di mancata notificazione, il coerede ritraente si sostituisce all’estraneo dalla data di conclusione del contratto. Ne deriva che l’utile conclusione del retratto successorio ha efficacia erga omnes comportando la surrogazione legale del retraente nella stessa posizione del retrattato ed altresì efficacia ex tunc , vale a dire dalla data della conclusione del contratto, in modo che il primo sia considerato diretto acquirente rispetto al coerede alienante (Cass. Civ. Sent. n. 4703/1999). L’esercizio predetto, inoltre, fa si che tutte le eventuali successive alienazioni della stessa quota perdano ipso iure la propria efficacia, indipendentemente dalla trascrizione del primo atto dispositivo della quota o dalla priorità dell’eventuale trascrizione dei successivi atti di trasferimento. Quanto agli interessi legali ex art. 1282 c.c. la Suprema Corte ha precisato che il retrattato ha diritto ad ottenerli sebbene il relativo obbligo abbia per oggetto un debito di valuta soggetto al principio nominalistico (Sent. Cass. Civ. n. 4497/2010). L’ambito di applicazione della norma è la comunione ereditaria che si vuole salvaguardare dall’ingresso di terzi acquirenti estranei alla successione. La giurisprudenza si è premurata di chiarire che la predetta finalità del retratto successorio di impedire l’intromissione di estranei nello stato di indivisione, determinato dall’apertura della successione, si applica soltanto alle comunione ereditarie, mentre non può trovare applicazione nella comunione ordinaria tra condividenti creatasi a seguito della divisione, per la congiunta attribuzione ad essi di un medesimo bene. Ciò in quanto l’art. 732 c.c., derogando al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione fuori dai casi espressamente previsti. D’altra parte tenuto conto che in materia di comunione ordinaria vige il principio secondo cui , ai sensi dell’art. 1103 c.c., ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota, l’art. 732 c.c. non potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c. che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria (Sent. Cass. Civ. n. 4224/2007; Sent. Cass. Civ. n. 6293/2015). Il diritto di prelazione ereditaria non può, inoltre, essere esercitato quando la vendita , effettuata da uno o più dei coeredi non riguardi una o più quote ereditarie, ma abbia ad oggetto quote di un bene determinato, in parte assoggettato alla comunione ereditaria ed in parte costituente un’autonoma divisione ordinaria in quanto, in questa particolare ipotesi, non si verifica il subingresso di un estraneo nella comunione ereditaria, che l’art. 732 c.c. tende ad impedire, ma solo il trasferimento di una res come bene a sé stante (Cass. Civ. Sent. n. 20561/2008). Nell’ipotesi di assegnazione da parte del testatore di beni determinati occorre accertare, in base al concreto atteggiarsi della volontà del de cuius , se trattasi di attribuzione in rebus certis direttamente effettuata dal testatore con efficacia reale o debba, invece, riconoscersi alla stessa efficacia obbligatoria. Nella prima ipotesi non si applica il diritto di cui all’art. 732 c.c. in quanto, in virtù dell’effetto traslativo, il bene è acquistato immediatamente dall’istituito, mentre, nel secondo caso si realizza, nei riguardi dei beni assegnati, il sorgere della comunione ereditaria e la conseguente ammissibilità del retratto successorio (Cass. Civ. n. 4777/1983). Spetta, dunque, al giudice del merito accertare se l’attribuzione di un medesimo bene in comunione, da parte del de cuius ad un gruppo di discendenti, postuli o meno un atto dispositivo/attributivo con effetti reali (Cass. Civ. n. 21491/2007: la Suprema Corte ha confermato la sentenza della corte territoriale per cui era infondata la tesi del retrattato che, per negare i presupposti del retratto, alias la sussistenza della comunione ereditaria, sosteneva ricorrere l’ipotesi della divisione fatta dal testatore , laddove costui aveva attribuito parte dei beni ad uno dei figli disponendo altresì che “ la restante mia proprietà dovrà essere divisa in parti uguali tra i miei altri figli ”). Parimenti non è soggetta a retratto l’alienazione di quota effettuata, non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria, bensì dal suo successore a titolo universale potendo ritenersi soggetta a retratto la sola alienazione a titolo oneroso che il coerede faccia della quota di comunione che ha acquistato quale erede del de cuius (Cass. Civ. Sent. n. 5374/1993). Si è ulteriormente chiarito che il diritto di prelazione non può circolare per successione mortis causa e non spetta, pertanto, all’erede del coerede (Cass. Civ. Sent. n. 4277/2012). Tuttavia, il suesposto principio di intrasmissibilità del diritto di prelazione fra eredi non impedisce che, una volta esercitato il riscatto, con instaurazione del relativo giudizio, la domanda conservi i propri effetti, nonostante la sopravvenuta morte del retraente, la quale implica la successione nel processo dei suoi eredi, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 17673/2012). Di particolare interesse è la verifica delle modalità secondo le quali il retratto successorio si atteggia a seconda della fattispecie di alienazione che pone in essere il condividente. Si è sostenuto che la prelazione ereditaria, come ogni altro diritto di prelazione, non trova applicazione quando gli atti di alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del proprietario: non si applica, pertanto, in sede di vendita fallimentare (Cass. Civ. Sent. n. 7057/1999); né relativamente alla vendita all’asta (Cass. Civ. Sent. n. 596/1986). Il contratto di vendita di un quota della società di capitali caduta in successione mortis causa, concluso da alcuni coeredi sull’assunto dell’attuale piena titolarità dei diritti di partecipazione sociale, la quale poteva, invece, essere loro riconosciuta soltanto all’esito del pendente giudizio di divisione, non avendo ad oggetto la quota di eredità spettante agli stessi cedenti, non è volto a far subentrare l’acquirente nella comunione ereditaria e rimane, pertanto, inopponibile ad altro coerede rimasto estraneo all’alienazione, neppure rilevando, rispetto a tale alienazione, l’esercizio della prelazione di cui all’art. 732 c.c.; né l’opponibilità di detta cessione nei confronti del comproprietario non partecipe al negozio può essere affermata ricostruendo l’accordo come vendita di quota indivisa dei soli diritti sociali, ai sensi dell’art. 1103 c.c. , in quanto anche un tale atto di disposizione riveste un’efficacia meramente obbligatoria, condizionata all’attribuzione del bene, in sede di divisione, ai coeredi alienanti (Cass. Civ. Sent. n. 9801/2013). Per quanto concerne i casi di alienazione nulla per simulazione assoluta con sentenza passata in giudicato, deve escludersi l’esercizio del retratto successorio successivo alla sentenza, in quanto tale pronuncia, negando la sussistenza di un trasferimento tra coerede cedente e terzo cessionario, implica il venir meno del presupposto per il diritto di riscatto. Inoltre il coerede retraente, esercitando un diritto direttamente conferito dalla legge, il quale implica una sostituzione con effetti ex tunc nella posizione del retrattato, non è qualificabile come avente causa di quest’ultimo e quindi non può invocare l’inopponibilità della simulazione prevista dall’art. 1415, comma 1 c.c. nei confronti di chi abbia in buona fede acquistato dal titolare apparente (Cass. Civ. Sent. n. 1809/1984). E’ però necessario segnalare anche un avviso giurisprudenziale di segno opposto, secondo cui, in tema di retratto successorio, la simulazione della vendita della quota ereditaria non può essere opposta ai sensi dell’art. 1415 c.c. ai retraenti, essendo costoro terzi rispetto al contratto stesso (Cass. Civ. Sent. n. 5181/1992). Nei rapporti tra la prelazione ereditaria e la prelazione agraria , la Suprema Corte ha stabilito che, per il caso in cui uno dei coeredi sia affittuario di un fondo rustico oggetto di comproprietà indivisa, deve riconoscersi a detto comproprietario, a fronte dell’alienazione della quota da parte degli altri, il diritto di prelazione e riscatto secondo la disciplina fissata dall’art. 8, legge n. 590 del 1965 ( prelazione agraria ) senza che possa profilarsi, per il caso di comunione ereditaria, un’interferenza con la disciplina della prelazione fra coeredi per l’ipotesi della vendita della quota ereditaria, dato che la suddetta prelazione in favore del comproprietario affittuario non verrebbe comunque ad implicare il subingresso di un estraneo nella comunione ereditaria (Cass. Civ. Sent. n. 4602/1984). Il diritto di prelazione ereditaria prevale invece sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante , ex art. 8, legge n. 590 del 1965, qualora sia venduta la quota di un fondo indiviso facente parte di una comunione ereditaria, indipendentemente dal fatto che l’asse ereditario sia costituito soltanto da quel fondo o anche da altri cespiti (Cass. Civ. Sent. n. 4345/2009). In tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo il diritto di prelazione spettante al conduttore, a norma dell’art. 38, legge 27 luglio 1978, n. 392, non trova applicazione nel caso previsto dall’art. 732 c.c. in quanto il retratto successorio può essere esercitato dal quotista “ finché dura lo stato di comunione ereditaria, mentre il conduttore può esercitare il diritto di riscatto entro il termine di sei mesi ” (Cass. Civ. Sent. n. 13838/2010). Non è mancato chi abbia fatto notare (Merz, Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011) che l’esercizio del riscatto ex art. 732 c.c. non debba essere confuso con il riscatto convenzionale ex art. 1500 c.c. (“ patto di riscatto ” o di “retrovendita”) , ferma restando l’analogia ( ergo l’applicabilità al riscatto successorio) dell’art. 1502, comma 1, c.c. che impone al riscattante il rimborso all’acquirente del prezzo e delle spese d’acquisto, di manutenzione, di miglioramento dei beni compresi nella quota riscattata. L’acquisto da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale di una quota ereditaria in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi, si estende ipso iure all’altro coniuge e, conseguentemente, l’azione di riscatto, comportando il trasferimento della quota dal retrattato al retraente, deve essere proposta nei confronti di entrambi i coniugi, sussistendo tra questi litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (Cass. Civ. Sent. n. 7404/2003). Sempre in tema di comunione legale (in senso contrario alla precedente pronuncia), è stato rilevato che la prevalente e cogente normativa di cui all'art. 177 c.c. , esula dalle previsioni dell'art. 732 c.c., ne deriva che non può esercitarsi il retratto successorio nell'ipotesi in cui un erede abbia venduto la propria quota ereditaria ad un coerede e la metà di tale quota sia, pertanto, passata ex lege al coniuge del compratore per effetto del regime di comunione legale dei beni vigente tra i coniugi (Trib. Verona, 26.09.1983, D. fam. 85, 948). In tema di cessione dell’azienda familiare , l’art. 230-bis, comma 5, c.c. rinvia alla disposizione dell’art. 732 c.c. nel seguente modo: “ in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limii in cui è compatibile, la disposizione dell’art. 732 ”. Pertanto se il familiare vuole alienare a terzi la propria quota della società, deve notificare la proposta agli altri coeredi, che hanno diritto di prelazione, mentre, i partecipi dell’impresa familiare, in caso di trasferimento d’azienda, sono titolari del diritto di riscatto (Cass. Civ. sez. lav. Sent. n. 27475/2008). Bibliografia S. Merz , Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011

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