Lo Studio Legale MASTROVITO, con sedi a Novara - Milano - Borgomanero, grazie ai professionisti esperti in aree giuridiche differenti, è in grado di proporre elevati servizi legali nei principali rami del Diritto (Civile - Lavoro - Tributario - Commerciale - Famiglia - Penale - Amministrativo - Previdenziale) sia ad aziende che a privati. Di particolare rilievo, sono le competenze possedute e le esperienze maturate in ambito di Diritto Militare e delle Forze di Polizia (Avvocato militare: Amministrativo Militare - Penale Militare - Previdenziale Militare). E', inoltre, of counsel dello Studio WLT - We Legal & Tax in Milano.
Lo Studio Legale Mastrovito, grazie alle elevate competenze dei professionisti, ha maturato importanti esperienze nel Diritto del Lavoro (in tutte le declinazioni) presso i Tribunali Ordinari, Amministrativi e presso la Corte dei conti.
Lo Studio Legale Mastrovito ha maturato importanti esperienze e promosso vari ricorsi in materia.
Lo Studio Legale Mastrovito ha maturato importanti esperienze in ambito di Sicurezza ed Antinfortunistica.
Previdenza, Diritto militare, Diritto penale, Diritto civile, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Recupero crediti, Contratti, Diritto tributario, Violenza, Sostanze stupefacenti, Diritto amministrativo, Ricorso al TAR, Stalking e molestie, Unioni civili, Diritto commerciale e societario, Reati contro il patrimonio, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Diritto aeronautico, Risarcimento danni.
Con sentenza n. 22161/2024 la Corte di cassazione ha accolto il ricorso di una dipendente di un Comune che a seguito di ordine di servizio del datore di lavoro (il Comune, per l’appunto) si era ritrovata sostanzialmente per due anni senza alcuna attività da svolgere. Alla dipendente, poco dopo, le veniva diagnosticato uno stato ansioso-depressivo. Adito il giudice di primo grado, questo stabiliva oltre 10.000 euro di risarcimento del danno da stress lavoro-correlato a carico dell’ente locale. Quest’ultimo in appello, invero, otteneva il ribaltamento della decisione di prime cure, in quanto veniva disconosciuto il nesso tra patologia denunciata e la condizione della donna sul luogo di lavoro. Infatti, era stato accolto il motivo di impugnazione con cui il Comune riteneva errata la conclusione del giudice di primo grado. In pratica, per i giudici di secondo grado non si poteva far risalire l’eziologia della malattia psichica a un momento praticamente coincidente con la nuova situazione sul luogo di lavoro. Inoltre, risultava che la donna qualche mese prima dell’ordine di servizio avesse già fatto ricorso a visita e cure per problemi psichici. La Cassazione accoglie il ricorso della dipendente, nel senso che il giudice di appello avrebbe dovuto affidarsi a una consulenza tecnica per poter riformare la sentenza di primo grado, affermando, contestualmente, che non è solo l’insorgenza ma anche l’aggravamento di uno stato patologico a poter essere fonte di danno per stress lavoro-correlato L’inattività può ben essere fonte di stress lavoro-correlato anche se l’organizzazione “difettosa” posta in essere dal datore di lavoro non è finalizzata a mobbizzare il lavoratore lasciato con le mani in mano. Ebbene, si tratta comunque di una condizione idonea a creare quello stato patologico che può causare disturbi o disfunzioni fisiche, psicologiche e sociali. Infine, non ha alcuna rilevanza un’eventuale patologia pregressa se comunque lo stress lavorativo ne ha determinato l’aggravamento anche se non l’insorgenza. #stressolavorocorrelato #diritto #dirittodellavoro #studiolegalemastrovito #dirittopubblico #dipendetepubblico #risarcimentodanno
Tutti gli appartenenti al Comparto Difesa, Sicurezza e Soccorso Pubblico che hanno subito infortuni e malattie professionali, e comunque infermità nello svolgimento del loro dovere (infermità che devono essere già riconosciute dipendenti da causa di servizio), possono chiedere benefici relativi alla condizione di vittima del dovere, così come espressamente previsto dall’art. 1 comma 563 della Legge n. 266 del 2005. In sintesi, si definiscono vittime del dovere i deceduti o rimasti invalidi permanenti “in attività di servizio o nell’espletamento di funzioni d’istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: 1. Nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; 2. Nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; 3. Nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; 4. In operazioni di soccorso; 5. In attività di tutela della pubblica incolumità; 6. A causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità”. Per quanto concerne l’eventuale termini prescrizionali La Cassazione e i Tribunali di merito hanno ormai statuito che non si applica il termine decennale per lo status in questione (Cassazione - Sezione lavoro, n. 17440/202). Una recente sentenza della Cassazione - poi - riconosce Vittime del dovere tutti coloro che rientrano nelle fattispecie previste dall’art. 1 comma 536 lettera da a) a f), L. 266/05. Oltre alla tutela indennitaria, le vittime, e i loro familiari, hanno diritto al risarcimento del danno. In caso di decesso, queste somme debbono essere liquidate agli eredi legittimi. Questi ultimi, se stretti congiunti, hanno diritto, in aggiunta, ad un risarcimento del danno cd. iure proprio . Inoltre, questa tutela è assicurata anche a coloro che subiscono infermità nell’adempimento dei loro doveri, anche nel caso in cui non siano dipendenti pubblici (SS.UU. 22753/2018). Per quanto riguarda l’istituto della prescrizione vittime del dovere, oltre ad alcune sentenze di merito, la Cassazione Pertanto, ed in sintesi, tutti i soggetti affetti da infermità contratte in servizio presso le Forze Armate o Corpi Militari ovvero assimilati, ed i loro congiunti, possono richiedere l’accertamento dello status di Vittime del Dovere e vedersi riconosciuti i relativi benefici economici ed assistenziali. #vittimedeldovere #diritto #dirittomilitare #forzearmate #causediservizio
La causa di servizio assume - senza dubbio - nell’ambito dell’ordinamento giuridico militare, il ruolo di istituto determinante al quale l’ordinamento riconduce e ricollega una pluralità di effetti, che sono di grande interesse per il personale, e non solo a contenuto economico (cfr. dall’art. 1878 e seguenti del Codice dell’Ordinamento Militare). Si pensi al sistema delle esenzioni sanitarie e dei rimborsi delle spese di cura specialistiche, all’attribuzione di miglioramenti economici stipendiali come gli scatti per l’invalidità di servizio, alle tutele stipendiali previste nel corso delle assenze dal servizio per aspettativa conseguente ad infermità, al reimpiego degli idonei nella forma parziale, all’attribuzione dell’equo indennizzo, dell’indennità una tantum o della pensione privilegiata al congedo . Infine, si deve sottolineare la speciale portata che la norma riserva al giudizio di dipendenza rispetto ai benefici economici connessi alla dichiarazione di equiparato a vittima del dovere, quale istituto di più moderna e recente concezione (DPR n. 243 del 2006). Lo Studio Legale Mastrovito offre consulenza e assistenza in materia. #diritto #serviziomilitare #concorsimilitari #militare #sottufficale #dirittomilitare #causadiservizio #idoneitàalserviziomilitare #dirittoamministrativo #infortunio #dirittoamministrativomilitare
ll diritto penale militare è una branca del diritto (pubblico) che disciplina i reati commessi all'interno delle forze armate con le relative sanzioni. Questo settore specifico del diritto è canonizzato dal Codice Penale Militare di Pace e dal Codice Penale Militare di Guerra e si occupa di regolare il comportamento dei militari durante il servizio, stabilendo le norme che disciplinano le azioni punibili all'interno dell'ambito militare. Le norme spaziano da reati specifici come violata consegna, insubordinazione, peculato militare. I Tribunali Militari e le Procure Militari sono TRE e hanno sede in Verona, Roma e Napoli.
Come noto, anche nel diritto penale militare è totalmente operante la normativa comune in tema di imputazione e applicazione di circostanze, ai sensi dell’art. 16 c.p.. In sostanza, nel diritto penale militare si applica anche la disciplina di cui all’art. 59 c.p. (Circostanze non conosciute o erroneamente supposte), nel senso che - chiaramente - le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Ora, analizzando davvero in breve le circostanze aggravanti comuni militari dettate dall’art. 47 c.p.m.p., queste sono: “l ’aver agito per timore di un pericolo, al quale il colpevole aveva un particolare dovere giuridico di esporsi” . In sostanza non si applica la scriminante dello stato di necessità a chi ha - come per i militari - un “particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”; “ l’essere il militare colpevole rivestito di un grado o investito di un comando” . E’ evidente come il superiore deve per primo dare l’esempio, essendo - tra le tante - un punto di riferimento per il consesso militare. “ l’avere commesso il fatto con le armi di dotazione militare, o durante un servizio militare, ovvero a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare ”. Trattasi di distinte circostanze, che possono anche concorrere fra loro. Ora, il legislatore ha voluto rafforzare la tutela di particolari interessi militari, che evidentemente possano riflettersi in senso negativo sull'attività delle Forze armate. “ l’avere commesso il fatto alla presenza di tre o più militari, o comunque in circostanze di luogo, per le quali possa verificarsi pubblico scandalo”. Tale aggravante inerisce al fatto che la presenza di più militari può avere ripercussioni negative sulla disciplina; inoltre ogni forma di pubblicità data al reato militare pone - ovviamente - in detrimento il decoro e il prestigio dell’Istituzione militare. “ l’avere il militare commesso il fatto in territorio estero, mentre vi si trovava per causa di servizio mentre vestiva, ancorché indebitamente, l’uniforme militare ”. Da ciò ne discende il fatto - ormai frequente - che il militare impiegato all’estero rappresenti l’immagine del Paese; così il legislatore ha inteso una simile aggravante in caso di compromissione al prestigio della Nazione. Ebbene, come sopra in sintesi esposto, nell’ordinamento giuridico militare sussistono circostanze aggravanti ccdd. “comuni militari”, che vengono inoltre ad unirsi alle ccdd. circostanze “comuni ordinarie”. Tutto ciò a dimostrazione della peculiarità ( status militis ) del personale militare. #diritto #dirittomilitare #studiolegalemastrovito #militare #avvocato #aggravanti #codicepenalemilitaredipace #avvocatomilitare #dirittopenale #dirittopenalemilitare
Il reato di diffamazione si colloca all'intersezione tra la tutela dell’onore e della reputazione delle persone e il diritto alla libertà di espressione. Detto delicato equilibrio è disciplinato dagli articoli 595 e seguenti del codice penale, i quali delineano i confini e le conseguenze legali connesse alla diffamazione. La diffamazione sui social media si verifica quando vengono diffuse informazioni dannose, ovvero “commenti” lesivi e in spregio all’onore su una persona tramite piattaforme online come Facebook, Twitter, Instagram o altre. Detta diffamazione assume la qualificazione di “aggravata” in ragione dell'ampia diffusione. Infatti, il messaggio diffamatorio ha - solitamente - una vasta diffusione e raggiunge un grande pubblico (si parla di carattere di indeterminatezza) proprio tramite i social media. #diritto #socialmedia #diffamazione #reato #diritto #dirittopenale #dirittopenalemilitare #Facebook
Un interessante Parere del Consiglio di Stato – Sezione Prima - del 19 giugno 2024 (Affare 00739/2022) ha trattato il corretto esercizio del diritto di critica (tema di per sé molto intricato) in applicazione dell’art. 21 della Costituzione per il personale militare, delineando delle marcate limitazioni. L’alto consesso ha stabilito - in sintesi - che il diritto di critica da parte del personale militare deve improntarsi al rispetto di un linguaggio appropriato, corretto e sereno, nonché alla esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza del fatto e della veridicità, cioè della corrispondenza tra fatti avvenuti e riferiti. In particolare, i giudici hanno anche precisato che “ Tale diritto fondamentale - riconosciuto espressamente in favore del personale militare dall’art. 1472 c.m. ed il cui esercizio di per sé solo non può mai dare luogo a sanzioni disciplinari ex artt. 1465 e 1466 c-m- - trova un proprio limite intrinseco (oltre quelli esplicitati dai menzionati artt. 1465 e 1472 c.m.), nella necessità che le espressioni usate, in relazione al costume sociale ed alle modalità comunicative normalmente usate, non solo non integrino una lesione penalmente rilevante di altre posizioni giuridiche, ma - nei contesti sociali per i quali vige una disciplina comportamentale più rigorosa, quali quelli assoggettati ad un regolamento di disciplina come avviene per i corpi militari - siano continenti, ovvero esternate con modalità tali da non travalicare i principi di correttezza stabiliti dalla normativa in materia disciplinare. Non può infatti ammettersi che la finalità di critica costituisca causa di giustificazione di ogni tipo di infrazione alle regole di comportamento da applicarsi nell’ambito particolare considerato. Il diritto di critica da parte degli appartenenti alle Forze Armate deve improntarsi ad una continenza particolarmente rigorosa del linguaggio e dei toni e deve essere evitata nel suo esercizio ogni esplicita o implicita commistione fra il pensiero espresso ed il ruolo ricoperto.” Va da sé, così come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, che i militari abbiano il dovere di assumere – anche nell’esercizio del diritto di critica (costituzionalmente presidiato) - condotte di tipo materiale caratterizzate da appropriatezza, continenza e – si potrebbe dire - rispetto della civile convivenza in genere. #militare #dirittodicritica #dirittomilitare #dirittomilitare #dirittoamministrativomilitare
In premessa, appare utile significare che l’aspetto più rilevante della Riforma è sicuramente l’abbreviazione dei tempi necessari per ottenere i provvedimenti giudiziali in materia di separazione e divorzio. Infatti, dall’esame della legge appare evidente che il processo sia strutturato in un’unica fase, in cui tutto deve essere detto e depositato ex ante alla prima udienza. Inoltre, per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico-processualistico è possibile richiedere ed ottenere cumulativamente una sentenza di separazione e di divorzio. Questo significa che nello stesso ricorso il coniuge, ovvero i coniugi congiuntamente, possono chiedere entrambe le pronunce, inserendo subito tutte le domande relative alla separazione personale ed al successivo divorzio, il quale potrà essere pronunciato dal medesimo Giudice (quindi nel ricorso verrà inserita una doppia richiesta di assegno di mantenimento per figli e coniuge, una doppia domanda di affidamento, collocazione e regolamentazione delle visite dei minori ecc.). Per ottenere il divorzio sarà sufficiente che: 1) ci sia stata la separazione: basta anche semplicemente la sentenza “parziale” di separazione che viene emessa già dopo la prima udienza, senza dover attendere la conclusione della causa, purché passata in giudicato; con la “sentenza parziale”, il Tribunale pronuncia immediatamente la separazione senza dover attendere la conclusione del giudizio che proseguirà per le altre questioni, quali: la domanda di addebito, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ecc.; 2) siano trascorsi 6 o 12 mesi a seconda che la separazione sia stata pronunciata a seguito di un giudizio consensuale o giudiziale; durante detto periodo ovviamente i coniugi non si devono essere riconciliati. §§§§§§ La causa di separazione o divorzio giudiziale si introduce sempre con un ricorso che deve contenere tutte le domande e le istanze, comprese quelle istruttorie, tanto da far sì che il Giudice, già alla prima udienza , possa decidere e rendere i provvedimenti conseguenti. In particolare: A) in caso di richieste di “contributi economici” in favore dei figli o del coniuge devono essere obbligatoriamente allegati i documenti che provino le condizioni economiche-patrimoniali-finanziarie dei genitori/coniugi (redditi da lavoro, proprietà immobiliari o mobiliari, partecipazioni societarie, estratti conto bancari, investimenti ecc.). Il convenuto (coniuge a cui è stato notificato il ricorso) dovrà costituirsi in giudizio con un atto, prendendo subito posizione sulle domande, spiegando eccezioni oltre che contestare quelle del ricorrente. Anche il convenuto dovrà depositare tutti i documenti ed indicare i mezzi di prova prima della prima udienza. B) al fine di ottenere le pronunce in ordine all' ”affidamento" dei figli (affidamento condiviso o esclusivo), alla “collocazione” presso un genitore, all’“assegnazione” della casa, è necessario depositare subito tutte le prove. C) anche in caso di richiesta di “addebito” della separazione è necessario, fin da subito, depositare tutta la documentazione poiché il Giudice pronuncia subito sulle istanze istruttorie (foto, video, messaggi, dichiarazione dell’investigatore privato, pagine Facebook, Instagram, lista dei testimoni ecc.). In sintesi, con la riforma Cartabia, il principio di leale collaborazione tra le parti diventa un punto fondamentale che ha lo scopo di far comprendere ai coniugi, specialmente se genitori, l’importanza di giungere ad una decisione celere che tuteli prioritariamente i diritti dei figli. §§§§§§ Alla prima udienza, i coniugi non dovranno più comparire davanti al Presidente del Tribunale per l’udienza presidenziale per poi essere mandati al Giudice istruttore bensì direttamente davanti al Giudice istruttore delegato dal Collegio. Alla prima udienza, il Giudice istruttore, dopo aver preso visione degli atti e dei documenti, tenterà la conciliazione dei coniugi/genitori. In caso negativo, il Giudice istruttore: 1) assumerà i provvedimenti provvisori ed urgenti. Detti provvedimenti provvisori ed urgenti sono esecutivi durante lo svolgimento della causa e sono sempre modificabili, revocabili o appellabili; 2) deciderà sulle istanze istruttorie, fissando un’udienza per sentire i testi ovvero in caso di affidamento e collocazione dei figli, potrà decidere di far fare ad uno psicologo di sua fiducia (Consulente Tecnico d’Ufficio c.d. CTU) una consulenza per comprendere quale sia il genitore più idoneo, fissando una nuova udienza per verificare la relazione. Infine, in caso vi siano dei redditi/guadagni che si presume non siano stati dichiarati, potrà decidere se richiedere specifica indagine fiscale alla Polizia tributaria. Nella separazione e divorzio giudiziale i figli, per i provvedimenti che li riguardano, verranno sempre ascoltati dal Giudice istruttore quando hanno compiuto 12 anni, ma anche di età inferiore quando hanno capacità di discernimento (circa tale possibilità non si possono negare delle perplessità sull'efficacia dello strumento giuridico). Dopo l’eventuale ascolto dei figli, sempre se necessario, il Giudice istruttore decide sull’affidamento dei figli (affidamento condiviso ad entrambi i genitori o affidamento esclusivo ad un solo genitore), la collocazione dei figli presso un genitore e i tempi di permanenza con l’altro genitore. Con la collocazione viene anche assegnata la casa al genitore con il quale il bambino andrà ad abitare. §§§§§§ In presenza di figli minori la Riforma Cartabia ha introdotto la necessità di depositare il “piano genitoriale” con gli impegni quotidiani dei figli, le attività, il calendario di ciascun minore. Nel piano genitoriale dovranno essere indicate le attività, la scuola, la gestione dei pomeriggi o delle vacanze con lo scopo di far conoscere al Giudice tutti gli elementi per stabilire l’affidamento, il collocamento e regolare il diritto di visita dei minori. La previsione dell’ascolto del minore evidenzia come come interesse preminente della riforma Cartabia sia la protezione dei figli minorenni atteso che il Giudice potrà decidere ed emettere provvedimenti anche senza specifica domanda di parte ed ammettere mezzi di prova d’ufficio. Nel caso di mancato rispetto di tale piano, il Giudice potrà sanzionare il genitore inadempiente. §§§§§ Anche per i procedimenti congiunti (separazione consensuale e divorzio congiunto) la riforma Cartabia ha scelto di unificare il rito. Il ricorso per la separazione o il divorzio consensuale dovranno contenere la descrizione delle condizioni economiche dei coniugi/genitori (con una differenza rispetto ai procedimenti giudiziali in cui si devono obbligatoriamente produrre i relativi documenti). La parte più importante del ricorso resta l’accordo sulle condizioni riguardanti i figli (affidamento, collocazione, regolamentazione del diritto di visita, mantenimento ecc.) nonché l’eventuale mantenimento del coniuge. Ovviamente su tutti gli aspetti i genitori/coniugi hanno un’ampia disponibilità di scegliere come meglio regolamentare i rapporti. Anche sulle questioni patrimoniali le parti hanno diffusa libertà, potendo inoltre inserire trasferimenti immobiliari nel ricorso congiunto, così da poter approfittare di importanti agevolazioni fiscali. §§§§§§ Infine, è importante sottolineare come la Riforma Cartabia interessa non solo le cause di separazione e divorzio, ma anche i procedimenti dei figli di coppie non sposate (pertanto conviventi di fatto). La riforma Cartabia ha previsto un rito unico applicabile giustappunto alle coppie non sposate. Alle coppie in questione è stata estesa la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita che, in precedenza, era inammissibile. Quest’ultima pare una buona ipotesi risolutiva, che con l’assistenza di un legale, potrà disciplinare le questioni inerenti i figli in modo davvero risolutivo. #diritto #dirittodifamiglia #separazioni #divorzio #riformacartabia #matrimonio #addebitoseparazione
Con la sentenza n. 09209/2023 REG. PROV. COLL. N. 07558/2023 REG. RIC. pubblicata il 24/10/2023, la Terza Sezione del Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto da Tizio contro il Ministero dell’Interno e la Prefettura X, avente ad oggetto la sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, che respingeva il ricorso proposto avverso un Decreto Prefettizio di rigetto dell'istanza di rilascio del porto d’armi per difesa personale poichè “...l’assoluto bisogno di portare l’arma non può desumersi automaticamente dalla particolare attività professionale svolta dall’appellante (e dalle modalità del suo svolgersi) ovvero dal fatto di operare egli in zone asseritamente pericolose.” . Invero, il mero rischio potenziale e la mancanza assoluta di prove di un pericolo concreto ( “...non risultando denunciate minacce o aggressioni in occasione dell’attività di portavalori svolta, la quale da sola non giustifica la richiesta di porto d’armi”) non legittimano il riconoscimento del diritto ad ottenere un porto d’armi poiché tale diritto rappresenta una eccezione al normale divieto di detenere armi. Infatti, il diritto in questione può essere riconosciuto solo a seguito di un puntuale accertamento circa il buono e corretto uso delle stesse da parte del titolare a seguito di un giudizio prognostico e una analisi comparativa tra l’interesse pubblico primario e l’interesse del privato. Sulla scorta di tale assunto, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha confermato il provvedimento di rigetto impugnato precisando preliminarmente che: 1) il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi cositutisce una deroga al divieto di detenere armi sancito dall’art. 669 c.p. e dall’art. 4, comma 1, legge 110/1975; 2) l a polizia può derogare tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire (cfr. Corte Costituzionale 16 dicembre 1993 n. 440 ). In particolare, ai fini del rilascio della licenza di porto d’arma per difesa personale è necessario che il richiedente provi la sussistenza del “dimostrato bisogno dell’arma” che deve essere ricavato da “...circostanze di fatto specifiche e attuali, non potendo invece essere desunto nè dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, nè dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro” (cfr. tra l’altro Cons. Stato, sez. III, 28 marzo 2023 n. 3189; Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2023 n. 822 ). #diritto #portod'armi #licenzaportod’armi #dirittoamministrativo #armi
INTRODUZIONE Il reato previsto all’art. 120 c.p.m.p. punisce con la reclusione militare fino ad un anno lacondotta del militare che abbandona il posto ove si trova di guardia o di servizio, ovvero che viola la consegna ricevuta. Il presupposto per la configurabilità della fattispecie incriminatrice in esame è quindi la sussistenza di una consegna ricevuta dal militare in servizio. Affinché ricorra il presupposto della condotta tipica del reato de quo occorre che il servizio da svolgere sia regolato, quanto alle finalità ed alle modalità esecutive secondo uno schema normativo valido per tutti i militari che dovranno prestare quel servizio, e che tale schema astratto sia suscettibile di soggettivazione nei confronti del singolo militare mediante un comando che attualizza l’obbligo di intraprendere il servizio e di rispettarne le prescrizioni. LA NOZIONE DI CONSEGNA Di fondamentale importanza al fine dell’integrazione di siffatta fattispecie è l’individuazione della consegna, la cui violazione da parte del militare di servizio integra la condotta criminosa. A tal riguardo l’art. 26 del vigente regolamento di disciplina militare stabilisce che “ la consegna è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l’adempimento di un particolare servizio ”. Al fine di tracciare i confini della “consegna” la cui violazione ha riflessi penali, dottrina e giurisprudenza hanno sottolineato che per aversi “consegna” idonea a configurare il reato di violazione ex art. 120 c.p.m.p. non è sufficiente la “vigenza di disposizioni generali e astratte che disciplinino un determinato tipo di servizio, ma occorre invece un intervento dell’autorità responsabile del servizio che trasmetta la specifica normativa al militare tenuto ad osservarla” (Corte d’App. Mil. sez. Dist. Verona in Rass. Giust.mil. 1984,729). Per la configurazione del reato di violata consegna è pertanto necessaria l’esistenza di una “ consegna precisa, che determini tassativamente e senza spazi di discrezionalità quale debba essere il comportamento del militare in servizio” (per tutte Cass. Pen. sez.I, 15 luglio 1993). Nella misura in cui, infatti, il militare di servizio dispone di poteri discrezionali il contenuto della consegna si restringe, non potendo questa che riguardare le prescrizioni di contenuto inderogabile; potere discrezionale che si ravvisa tutte le volte in cui il militare deve fare ricorso alla propria specifica preparazione professionale o tecnica. ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO In ordine all’elemento soggettivo la fattispecie in esame è punita a titolo di dolo generico, occorre quindi la coscienza e volontà di adottare un comportamento difforme da quello prescritto in consegna. Ne consegue che una condotta colposa del militare (consistita in imprudenza, imperizia onegligenza) non è giuridicamente idonea ad integrare il reato di violata consegna ex art. 120 c.p.m.p. #diritto #dirittopenale #dirittopenalemilitare #militare #esercito # #forzearmate #marinamilitare #aeronauticamilitare #violataconsegna #reatimilitari
Con la sentenza n. 09209/2023 REG. PROV. COLL. N. 07558/2023 REG. RIC. pubblicata il 24/10/2023, la Terza Sezione del Consiglio di Stato rigettava l’appello proposto da Tizio contro il Ministero dell’Interno e la Prefettura X, avente ad oggetto la sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, che respingeva il ricorso proposto avverso un Decreto Prefettizio di rigetto dell'istanza di rilascio del porto d’armi per difesa personale poichè “...l’assoluto bisogno di portare l’arma non può desumersi automaticamente dalla particolare attività professionale svolta dall’appellante (e dalle modalità del suo svolgersi) ovvero dal fatto di operare egli in zone asseritamente pericolose.” . Invero, il mero rischio potenziale e la mancanza assoluta di prove di un pericolo concreto ( “...non risultando denunciate minacce o aggressioni in occasione dell’attività di portavalori svolta, la quale da sola non giustifica la richiesta di porto d’armi”) non legittimano il riconoscimento del diritto ad ottenere un porto d’armi poiché tale diritto rappresenta una eccezione al normale divieto di detenere armi. Infatti, il diritto in questione può essere riconosciuto solo a seguito di un puntuale accertamento circa il buono e corretto uso delle stesse da parte del titolare a seguito di un giudizio prognostico e una analisi comparativa tra l’interesse pubblico primario e l’interesse del privato. Sulla scorta di tale assunto, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha confermato il provvedimento di rigetto impugnato precisando preliminarmente che: 1) il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi cositutisce una deroga al divieto di detenere armi sancito dall’art. 669 c.p. e dall’art. 4, comma 1, legge 110/1975; 2) l a polizia può derogare tale divieto in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire (cfr. Corte Costituzionale 16 dicembre 1993 n. 440 ). In particolare, ai fini del rilascio della licenza di porto d’arma per difesa personale è necessario che il richiedente provi la sussistenza del “dimostrato bisogno dell’arma” che deve essere ricavato da “...circostanze di fatto specifiche e attuali, non potendo invece essere desunto nè dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, nè dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro” (cfr. tra l’altro Cons. Stato, sez. III, 28 marzo 2023 n. 3189; Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2023 n. 822 ). #diritto #portod'armi #licenzaportod’armi #dirittoamministrativo #armi #possessoarmi
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