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Carceri e virus: la tenuta del "sistema retributivo"

Scritto da: Giacomo Ascione - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

 Dalla specifica analisi delle fonti normative nazionali,  primarie e secondarie,    in tema di ordinamento penitenziario e nello specifico, sotto il profilo della tutela della salute dei detenuti in carcere, si registra la totale assenza di una disciplina generale idonea a fronteggiare gravi eventi di carattere nazionale quali epidemie, pandemie, guerre ecc., che per loro natura hanno un  impatto devastante sulla società cd.tta civile, nonché sulla popolazione carceraria. L’assoluta carenza di una “disciplina dell’emergenza” contrasta sensibilmente con i principi regolatori sia dei diritti e delle libertà della persona, sia con l’obbiettivo rieducativo della pena detentiva, nonché con il trattamento penitenziario stesso. La carenza assoluta di una norma specifica di carattere generale cui ricorrere in caso di grave allarme pubblico per la protezione della popolazione carceraria, determina un vuoto normativo che mostra riflessi sconcertanti in netto contrasto con i principi  di salvaguardia indicati dall’ordinamento nazionale, europeo ed internazionale.


   Da un lato, infatti, la tutela della salute (art. 32 Cost.) non può trovare una illegittima discriminazione in ragione dello status libertatis (art. 2, 3 Cost,  par. 1 Prot. 12 CEDU), laddove è noto che la detenzione è finalizzata alla rieducazione sociale (art. 27 c.3 Cost) nell’esecuzione di un trattamento penitenziario conforme a umanità e che deve assicurare il rispetto della dignità della persona (art. 1 O.P.).


Per vero, nel panorama delle norme europee, l’indicazione cardine dalla quale si  dipanano le libertà fondamentali della persona è proprio il diritto 1alla vita che deve essere sempre protetto dalla legislazione nazionale (art. 2 CEDU); nell’ambito poi delle strutture penitenziarie, il legislatore deve conformarsi alla tutela della sicurezza della persona (art. 5 CEDU), demandando poi l’applicazione concreta alle istituzioni penitenziarie ed al Magistrato di sorveglianza che ha il compito di vigilare sull’effettiva applicazione delle norme di sicurezza predisposte dal carcere (cf. O.P). Coerentemente, infatti è storicamente affermato il divieto di imporre sanzioni o misure alternative alla detenzione  che limitino i diritti civili o politici del reo … se ciò è contrario alle norme accertate dalla comunità internazionale, in relazione ai diritti umani e alle libertà fondamentali. Tali diritti non possono essere limitati durante l’esecuzione delle sanzioni o  delle misure alternative alla detenzione in proporzione maggiore di quanto non derivi normalmente  dalla decisione che applica questa sanzione o misura (art. 21 Racc. R92/16), dovendo il legislatore nazionale, al contrario, provvedere ad attuare le misure detentive nel rispetto dei diritti umani (art. 22 ibidem) e procurando che la natura , il contenuto, i metodi di esecuzione delle sanzioni o delle misure alternative alla detenzione non devono mettere a rischio la vita privata o la dignità del reo e della sua famiglia nè provocare un logoramento psicologico. Allo stesso modo non devono attenuare il rispetto di sé, i legami familiari o con la comunità e le capacità del reo di essere parte integrante della società (art. 23 testo cit).


 La caratteristica del trattamento detentivo, poi non deve mai comportare rischi indebiti di danni fisici  o mentali (art. 26 cit), poiché ogni modalità di espiazione della pena dovrà essere eseguita in modo che non sia aggravato il loro carattere afflittivo (art. 27 testo cit.).


 D’alto canto, ragionare diversamente, significherebbe svilire il senso dell’obbiettivo rieducativo (art. 27 c.3 Cost), riducendo le istituzioni carcerari a luogo di deposito dei reietti della società; al contrario l’esecuzione delle sanzioni e delle misure alternative alla detenzione deve essere concepita in modo tale che esse abbiano il massimo significato per il reo e che contribuiscano allo sviluppo personale  e sociale dello stesso, allo scopo di per mettere il suo reinserimento sociale (art. 55 Racc. R92/16)


 Tale obbiettivo non può legittimamente essere perseguito, laddove al cospetto di fenomeni di grave impatto sociale - come il dilagarsi dell’epidemia attualmente in corso – non siano predisposti strumenti efficaci e veloci, che consentano al MdS di adottare quei provvedimenti utili alla salvaguardia della salute del singolo e dell’intera comunità carceraria mediante l’adozione di misure anche provvisorie, finalizzate a concedere ai detenuti, sussistendo idonei requisiti, di proseguire l’esecuzione della pena in un regime più attenuato, che consenta da un lato la cura della persona e dall’altro l’alleggerimento della popolazione carceraria.


Per vero, demandare all’istituzione carceraria italiana – in assenza di una adeguato sostegno normativo – il compito di scongiurare un attacco epidemiologico nelle carceri con i soli strumenti della privazione dei diritti dei detenuti (colloqui, ore d’aria, contatti con la famiglia, partecipazione alle udienze), appare convinzione erronea ed assolutamente deleterea. Le note condizioni di sovraffollamento e la “strutturata inadeguatezza” dei mezzi e delle risorse degli Istituti detentivi, già normalmente mettono a dura prova l’ordinario svolgersi del programma trattamentale, laddove è risaputo che la mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione lesive dei diritti dell’uomo (par.4 Racc. R(2006)2)


Si pensi infatti alle prescrizioni minime di tutela diffuse dal Governo per scongiurare l’espansione del COVID19: non frequentare ambienti affollati, tenersi a distanza di almeno un metro, non uscire di casa, indossare strumenti di protezione quando si è in ambienti frequentati da più persone ( mascherine guanti ecc..). Così come le Istituzioni Europee ed Internazionali imponevano all’Italia di provvedere affinché ogni detenuto deve di norma essere alloggiato durante la notte in cella singola a meno che non sia ritenuto preferibile per lui coabitare con altri detenuti  (par. 18.5 Racc. R(2006)2)… tanto affinché gli Istituti penitenziari  siano gestiti uniformandosi a principi etici che valorizzano l’obbligo di trattare tutti i detenuti con umanità  e di rispettare la dignità  che è  propria di ogni essere umano.

Ebbene, in un congiuntura di allarme come quella che tutti viviamo, appare assolutamente pleonastico delegare la tutela della salute dei detenuti esclusivamente  alle  risorse carcerarie che già ordinariamente risultano inadeguate ed insufficienti a provvedere alle esigenze di una popolazione carceraria sempre più nutrita.  È quindi  necessario tutelare la popolazione carceraria dagli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica da  COVID-19 sta producendo in tutto il territorio  nazionale; è necessario adottare  provvedimenti de libertate ritenuta la straordinaria necessità di diminuire la popolazione carceraria come unico e più veloce rimedio per scongiurare il diffondersi della pandemia da COVID-19, pur contemperando esigenze di sicurezza pubblica;

Orbene, appare evidente da un lato la necessita di applicare in maniera razionale (recte, secondo i principi costituzionali) le norme già presenti nel nostro ordinamento, oltre ad una serie di adeguamenti, che tengano conto della personalità del detenuto e non solo della tipologia del reato per il quale egli è stato condannato.


 Non appare strumento utile allo scopo  (inapplicabile nel caso di specie) l’art. 123 DL 17-03-2020 n. 18, essendo  una pessima riedizione contra reum di quanto già disposto nella L. 199 del 2010; la “nuova” esecuzione presso il domicilio non risolve la necessità di alleggerire la popolazione carceraria, rivolgendosi solo ad un numero esiguo di detenuti, aumenta, inoltre,  quegli automatismi che lasciano poco spazio di dicrezionalità al giudicante sacrificando a monte la valutazione  degli elementi soggettivi che dimostrino il positivo avanzamento del percorso detentivo (si pensi all’esclusione di tutti i detenuti condannati per delitti che rientrino nel novero dell’art. 4 bis O.P., senza diversificare le singole tipologie di reati) allontanandosi  sempre più dalla individualizzazione e dalla personalizzazione della pena.

In più occasioni la Corte Costituzionale ha ribadito la necessità di adeguare il percorso di esecuzione della pena alla persona del detenuto/condannato, abbandonando quegli automatismi che di fatto sterilizzano la personalizzazione della pena. 
Al contrario, ancora una volta ed in particolare in un momento di grande tensione umana e sanitaria, si assiste al "dominio" dell'art. 4bis O.P., dando prevalenza sempre e solo al titolo di reato e non anche alla personalità ovvero ai risultati rieducativi che lo stesso ha ottenuto.
Ancora una volta, viene "rinfrescata" la misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio semplificata quanto alla procedura, ma aggravata nei requisiti.
Risibile è la scelta normativa in ordine all'obbligatorietà del braccialetto elettronico per pene superiori ai sei mesi. Appare di tutta evidenza che chi scrive le leggi non si misura con le difficoltà quotidiane di reperire il suddetto strumento elettronico di controllo.
Ancora una volta, il lettore della legge ha forti dubbi sulla tenuta del sistema penitenziario, teoricamente rieducativo, ma di fatto retributivo



Pubblicato da:


Giacomo Ascione

Avvocato Penalista