Pubblicazione legale:
Dalla specifica analisi delle fonti normative nazionali, primarie e secondarie, in tema di ordinamento penitenziario e nello specifico, sotto il profilo della tutela della salute dei detenuti in carcere, si registra la totale assenza di una disciplina generale idonea a fronteggiare gravi eventi di carattere nazionale quali epidemie, pandemie, guerre ecc., che per loro natura hanno un impatto devastante sulla società cd.tta civile, nonché sulla popolazione carceraria. L’assoluta carenza di una “disciplina dell’emergenza” contrasta sensibilmente con i principi regolatori sia dei diritti e delle libertà della persona, sia con l’obbiettivo rieducativo della pena detentiva, nonché con il trattamento penitenziario stesso. La carenza assoluta di una norma specifica di carattere generale cui ricorrere in caso di grave allarme pubblico per la protezione della popolazione carceraria, determina un vuoto normativo che mostra riflessi sconcertanti in netto contrasto con i principi di salvaguardia indicati dall’ordinamento nazionale, europeo ed internazionale.
Da un lato, infatti, la tutela della salute (art. 32 Cost.) non può trovare una illegittima discriminazione in ragione dello status libertatis (art. 2, 3 Cost, par. 1 Prot. 12 CEDU), laddove è noto che la detenzione è finalizzata alla rieducazione sociale (art. 27 c.3 Cost) nell’esecuzione di un trattamento penitenziario conforme a umanità e che deve assicurare il rispetto della dignità della persona (art. 1 O.P.).
Per vero, nel panorama delle norme
europee, l’indicazione cardine dalla quale si
dipanano le libertà fondamentali della persona è proprio il diritto 1alla
vita che deve essere sempre protetto dalla legislazione nazionale (art. 2
CEDU); nell’ambito poi delle strutture penitenziarie, il legislatore deve
conformarsi alla tutela della sicurezza della persona (art. 5 CEDU), demandando
poi l’applicazione concreta alle istituzioni penitenziarie ed al Magistrato di
sorveglianza che ha il compito di vigilare sull’effettiva applicazione delle
norme di sicurezza predisposte dal carcere (cf. O.P). Coerentemente, infatti è
storicamente affermato il divieto di imporre sanzioni o misure alternative alla
detenzione che limitino i diritti civili o politici del
reo … se ciò è contrario alle norme accertate dalla comunità internazionale, in
relazione ai diritti umani e alle libertà fondamentali. Tali diritti non
possono essere limitati durante l’esecuzione delle sanzioni o delle
misure alternative alla detenzione in proporzione maggiore di quanto non derivi
normalmente dalla decisione che applica
questa sanzione o misura (art. 21 Racc. R92/16), dovendo il legislatore
nazionale, al contrario, provvedere ad attuare le misure detentive nel rispetto
dei diritti umani (art. 22 ibidem) e
procurando che la natura , il contenuto,
i metodi di esecuzione delle sanzioni o delle misure alternative alla
detenzione non devono mettere a rischio la vita privata o la dignità del reo e
della sua famiglia nè provocare un logoramento psicologico. Allo stesso modo
non devono attenuare il rispetto di sé, i legami familiari o con la comunità e
le capacità del reo di essere parte integrante della società (art. 23 testo
cit).
La caratteristica del trattamento
detentivo, poi non deve mai comportare rischi
indebiti di danni fisici o mentali
(art. 26 cit), poiché ogni modalità di espiazione della pena dovrà essere
eseguita in modo che non sia aggravato il
loro carattere afflittivo (art. 27 testo cit.).
D’alto canto, ragionare
diversamente, significherebbe svilire il senso dell’obbiettivo rieducativo
(art. 27 c.3 Cost), riducendo le istituzioni carcerari a luogo di deposito dei
reietti della società; al contrario l’esecuzione
delle sanzioni e delle misure alternative alla detenzione deve essere concepita
in modo tale che esse abbiano il massimo significato per il reo e che
contribuiscano allo sviluppo personale e
sociale dello stesso, allo scopo di per mettere il suo reinserimento sociale
(art. 55 Racc. R92/16)
Tale obbiettivo non può
legittimamente essere perseguito, laddove al cospetto di fenomeni di grave
impatto sociale - come il dilagarsi dell’epidemia attualmente in corso – non
siano predisposti strumenti efficaci e veloci, che consentano al MdS di
adottare quei provvedimenti utili alla salvaguardia della salute del singolo e
dell’intera comunità carceraria mediante l’adozione di misure anche provvisorie,
finalizzate a concedere ai detenuti, sussistendo idonei requisiti, di
proseguire l’esecuzione della pena in un regime più attenuato, che consenta da
un lato la cura della persona e dall’altro l’alleggerimento della popolazione
carceraria.
Per vero, demandare all’istituzione
carceraria italiana – in assenza di una adeguato sostegno normativo – il
compito di scongiurare un attacco epidemiologico nelle carceri con i soli
strumenti della privazione dei diritti dei detenuti (colloqui, ore d’aria,
contatti con la famiglia, partecipazione alle udienze), appare convinzione
erronea ed assolutamente deleterea. Le note condizioni di sovraffollamento e la
“strutturata inadeguatezza” dei mezzi e delle risorse degli Istituti detentivi,
già normalmente mettono a dura prova l’ordinario svolgersi del programma
trattamentale, laddove è risaputo che la
mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione lesive dei
diritti dell’uomo (par.4 Racc. R(2006)2)
Si pensi infatti alle prescrizioni
minime di tutela diffuse dal Governo per scongiurare l’espansione del COVID19:
non frequentare ambienti affollati, tenersi a distanza di almeno un metro, non
uscire di casa, indossare strumenti di protezione quando si è in ambienti frequentati
da più persone ( mascherine guanti ecc..). Così come le Istituzioni Europee ed
Internazionali imponevano all’Italia di provvedere affinché ogni detenuto deve di norma essere
alloggiato durante la notte in cella singola a meno che non sia ritenuto preferibile
per lui coabitare con altri detenuti
(par. 18.5 Racc. R(2006)2)… tanto affinché gli Istituti
penitenziari siano gestiti uniformandosi a principi etici che
valorizzano l’obbligo di trattare tutti i detenuti con umanità e di rispettare la dignità che è
propria di ogni essere umano.
Ebbene, in un congiuntura di
allarme come quella che tutti viviamo, appare assolutamente pleonastico
delegare la tutela della salute dei detenuti esclusivamente alle
risorse carcerarie che già ordinariamente risultano inadeguate ed
insufficienti a provvedere alle esigenze di una popolazione carceraria sempre
più nutrita. È quindi necessario tutelare la popolazione carceraria
dagli effetti negativi che l’emergenza
epidemiologica da COVID-19
sta producendo in tutto il territorio nazionale; è necessario adottare provvedimenti de libertate ritenuta
la straordinaria necessità di diminuire la popolazione carceraria come unico e
più veloce rimedio per scongiurare il diffondersi della pandemia da COVID-19,
pur contemperando esigenze di sicurezza pubblica;
Orbene, appare evidente da un lato la necessita di applicare in maniera razionale (recte, secondo i principi costituzionali) le norme già presenti nel nostro ordinamento, oltre ad una serie di adeguamenti, che tengano conto della personalità del detenuto e non solo della tipologia del reato per il quale egli è stato condannato.
Non appare strumento utile allo scopo (inapplicabile nel caso di specie) l’art. 123 DL 17-03-2020 n. 18, essendo una pessima riedizione contra reum di quanto già disposto nella L. 199 del 2010; la “nuova” esecuzione presso il domicilio non risolve la necessità di alleggerire la popolazione carceraria, rivolgendosi solo ad un numero esiguo di detenuti, aumenta, inoltre, quegli automatismi che lasciano poco spazio di dicrezionalità al giudicante sacrificando a monte la valutazione degli elementi soggettivi che dimostrino il positivo avanzamento del percorso detentivo (si pensi all’esclusione di tutti i detenuti condannati per delitti che rientrino nel novero dell’art. 4 bis O.P., senza diversificare le singole tipologie di reati) allontanandosi sempre più dalla individualizzazione e dalla personalizzazione della pena.
In più occasioni la Corte Costituzionale ha ribadito la necessità di adeguare il percorso di esecuzione della pena alla persona del detenuto/condannato, abbandonando quegli automatismi che di fatto sterilizzano la personalizzazione della pena.
Al contrario, ancora una volta ed in particolare in un momento di grande tensione umana e sanitaria, si assiste al "dominio" dell'art. 4bis O.P., dando prevalenza sempre e solo al titolo di reato e non anche alla personalità ovvero ai risultati rieducativi che lo stesso ha ottenuto.
Ancora una volta, viene "rinfrescata" la misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio semplificata quanto alla procedura, ma aggravata nei requisiti.
Risibile è la scelta normativa in ordine all'obbligatorietà del braccialetto elettronico per pene superiori ai sei mesi. Appare di tutta evidenza che chi scrive le leggi non si misura con le difficoltà quotidiane di reperire il suddetto strumento elettronico di controllo.
Ancora una volta, il lettore della legge ha forti dubbi sulla tenuta del sistema penitenziario, teoricamente rieducativo, ma di fatto retributivo
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