Pubblicazione legale:
Cos'è uno "spaccio da strada?"
E' possibile la configurazione del reato di cui al V comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, allorquanto un soggetto venga arrestato in un quartiere noto alla cronaca giudiziaria per la diffusa attività di
spaccio di sostanza stupefacente? e' corretto presumere che ogni attività di spaccio posta in essere in tali ambienti sia "a prescindere" movimentata dai sistemi malavitosi cosa che costituisce un presupposto logico alla qualifica di detenzione /cessione ordinaria?
Per vero, è fatto noto che, anche
nelle ipotesi di cessione al
consumatore finale, in Italia si presuppone un'organizzazione, che dal
produttore in paesi esteri, si snoda attraverso venditore, importatore, medio
trafficante, sino allo spacciatore “di strada”, salvo le ipotesi di chi coltiva
o sintetizza la sostanza stupefacente autonomamente; sarebbe paradossale (oltre
che non conforme a Giustizia) che il V comma riguardi solo queste situazioni
marginalissime.
Questo
dato,è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di
legittimità che ha escluso la
qualificazione dei fatti nell’ipotesi del V comma solo se lo spacciatore è
accorpato con i trafficanti e ha dato vita a un sistema stabile di
approvvigionamento, di distribuzione e di cessione della droga, la condotta finale rimane il fatto
autonomo del V comma, ma l’organizzazione predisposta alle spalle dello
spacciatore finale costituisce un'associazione per delinquere, anzi proprio
l'associazione per delinquere "per commettere i fatti del V comma"
prevista dall'articolo 74 comma 6 del testo unico.
Al
contrario, il Supremo Collegio ha precisato che quando il legislatore parla di
“mezzi, modalità e circostanze dell'azione”, non si riferisce al complesso
organizzativo che sta a monte dell'azione incriminata, ma all'azione stessa, dello
spacciatore/detentore “finale” al consumatore, considerata ex se . Ne consegue, quindi (come nel caso di specie) che quando
non è lo spacciatore a predisporre (egli stesso) una complessa struttura
servente alla sua condotta di cessione, è la semplice
pedina dell'ultima cessione. È la sua attività che viene in rilievo e che va
esaminata. In questi casi,
infatti, egli si limita a detenere delle dosi di sostanza drogante, e a cederle
a terzi; viene pagato a giornata o trattiene per quest’attività una parte del
ricavato che è il suo "salario". Oppure egli acquista in conto-vendita
una piccola scorta, e col ricavato dello spaccio copre le spese e tiene per se il guadagno destinato quasi integralmente
all'acquisto di stupefacenti (in alcuni casi, anche da consumare personalmente). La vicenda appena
descritta è quello che si definisce “spaccio da strada”; è un'attività
marginale, senza professionalità, largamente fungibile. Infatti l’esperienza
giudiziaria insegna che nonostante arresti numericamente rilevanti di
spacciatori finali, la vendita è sempre continuata in tutte le piazze di
spaccio. Rispetto a questa “figura marginale dello spaccio”, poco rileva che
spacci (o detenga) hashish, o cocaina, o
eroina. Infatti, sempre
nell’esperienza giudiziaria, sempre più spesso lo spacciatore finale cede più o
tutte queste sostanze. Ed è a questo tipo di “azione” che si riferisce il
legislatore con la riforma del V comma effettuata con la legge 79/2014. (cfr. Corte di Appello di Venezia sent. 5-4-2016 p.p. 3249 RGCA)
Per
tutto quanto sopra riferito, appare evidente che il V comma dell’art. 73 d.P.R.
309/1990 non vada inteso come una mera
ipotesi tenue del primo comma, ma al contrario, rappresenta delitto autonomo e distinto.
Attestazione
di quanto appena affermato è l’evoluzione dei parametri valutativi nella
giurisprudenza di legittimità: gli stessi erano ancorati all’inizio alla sola
“modica quantità” prevista dalla legge del 1975, quantificata dalla
giurisprudenza in tre dosi giornaliere (Sez. 6, Sentenza n. 10005 del
23/04/1991) con l’esclusione dell’attenuante - sulla base del dato quantitativo
- per quantità di principio attivo inferiori al mezzo grammo (Sez. 4, Sentenza
n. 10778 del 27/06/1991) o del lordo di uno o due grammi; invece si è giunti
oggi a considerare non ostativa la detenzione di una quantità “rilevante ma non imponente”
(Sez. 6, Sentenza n. 9723 del 17/01/2013) con riconoscimento dell’attenuante a
quantità di 50 o 80 grammi di hashish e marjuana, a 25 gr. di eroina, una
decina di 7 cocaina (Sez. 6, Sentenza n. 27809 del 05/03/2013). In particolare
una pronuncia ha considerato non ostativa la detenzione di sostanza
stupefacente in quantità “non
superiore a dosi conteggiate a "decine" (Sez. 6, Sentenza n.
41090 del 18/07/2013), il che equivale a quantità di principio attivo sino a 15
grammi di cocaina, 2,5 grammi di eroina e Delta9-THC; mentre la giurisprudenza
di merito si è allargata ancora di più (registrando ad esempio in questo
distretto casi di V comma riconosciuti a 207
grammi lordi di cocaina, con 50 gr di principio attivo, o 147 gr. lordi di
eroina con 6,5 gr di principio attivo).
In
tema di parametri valutativi, la Suprema Corte (Sez. 4, Sentenza n. 47501 del
2011, in relazione alla “quantificazione” dell’ingente quantità), ha affermato
che spetta proprio al giudice di merito l’apprezzamento in concreto perché
“vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da
ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza della
circostanza”, e indica più volte anche i singoli elementi di tale
apprezzamento, quali i parametri concernenti il quantitativo, le ricadute per
la salute pubblica, la tipologia dei consumatori, le condizioni in genere del
mercato illegale. Tale operazione è
certamente altrettanto legittima e dovuta in relazione alla “quantificazione”
della (non ingente, ma) modesta quantità della detenzione rientrante nel V
comma.
Al contrario, chi frequenta quotidianamente le aule di giustizia, assiste ad un radicale ribaltamento della disciplina del V comma dell'art. 73 d.P.R. 309/1990, valutata ancora come "premio" per l'imputato meritevole e sempre meno come autonoma e distinta ipotesi di reato.
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