Pubblicazione legale:
L’aspettativa
dal posto di lavoro scolastico è disciplinata dall’art. 18 del Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del Comparto Scuola.
Sostanzialmente
consiste in un periodo di “lungo permesso” non retribuito concesso al lavoratore
in alcuni specifici casi, così come disciplinati (per motivi di famiglia o
personali) dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10
gennaio 1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano.
In
questo lungo periodo di “permesso” è come se il dipendente fosse esonerato
dall’obbligo di lavorare alle dipendenze della scuola di appartenenza,
conservando il proprio posto, senza percepire emolumenti né contributi. La
ratio della norma è quella di promuovere, fortificare, incoraggiare e sostenere
l’attività lavorativa nel miglior modo possibile, in modo da porre il docente
nelle condizioni di poter espletare il proprio lavoro nella più adeguata forma
possibile.
L'aspettativa
viene erogata dal dirigente scolastico, tanto al personale docente (anche a
quello di religione cattolica) quanto al personale ATA. Orbene, la norma non
parla di “concessione” da parte del dirigente, ma chiaramente recita “l’aspettativa è erogata”, non lasciando
alcuna discrezionalità al dirigente in merito alla domanda di aspettativa
presentata dal lavoratore: l’aspettativa viene erogata di diritto al rispetto di
requisiti oggettivi. Pertanto, il dirigente si dovrà limitare ad un controllo formale della domanda, a
prescindere dalle esigenze della propria amministrazione. Se lo stesso la nega
in maniera immotivata o con motivazione infondata o non risponde entro un mese,
il lavoratore potrà ottenere giustizia in sede sindacale o innanzi al Giudice
del Lavoro.
I
limiti in merito alla concessione dell’aspettativa per motivi di lavoro sono di
natura oggettiva: la domanda può trovare accoglimento del dirigente se
presentata da personale scolastico docente o ATA con contratto a tempo
indeterminato o anche da quello assunto con contratto a tempo determinato (docenti
precari) per l’intero anno scolastico (31 agosto) o fino al termine delle
attività didattiche (30 giugno), mentre non può essere concessa al
personale assunto a supplenza “breve”.
Per
ottenere l’aspettativa il lavoratore deve quindi rivolgersi al proprio
dirigente scolastico con domanda scritta in carta libera, indicando la data di
decorrenza dalla quale intende fruire per la stessa.
La norma
in esame prevede che il dipendente possa essere collocato in aspettativa per
motivi di per motivi di famiglia, di lavoro, personali e di studio, ricerca o
dottorato di ricerca (per gli incarichi e le borse di studio la disciplina è
particolarmente trattata e, comunque, ancora in vigore l'art. 453 del D.P.R. n.
297 del 1994, importante anche al riguardo la Circolare Ministeriale n. 15/2011).
Ne discende che l’aspettativa per motivi di lavoro dovrà essere
erogata al dipendente che richieda di realizzare una diversa esperienza
lavorativa o finanche per superare un periodo di prova (terzo comma dello
stesso articolo). In questo caso, nell’istanza sottoposta al dirigente il
dipendente dovrà precisare ed attestare l’esperienza lavorativa per la quale
chiede di essere collocato in aspettativa: sarà sufficiente
un’autocertificazione nel caso la richieda per spostarsi presso altro ente
pubblico; dovrà fornire la proposta di contratto (o altra idonea
certificazione) in caso di spostamento su settore privato. Conviene chiarire
che la precedente normativa, fino al 2003, prevedeva la concessione di
aspettativa solo nell’ambito di altro comparto della P.A., oggi non vi è più
questo limite. Tuttavia l’aspettativa richiesta per “altra amministrazione” o
“altro ente pubblico” dovrà essere richiesta per comparto che non sia quello
scolastico; per quanto riguarda invece “altro lavoro” presso soggetti privati
non vi è nessun particolare vincolo: in questo caso, per esempio, l’aspettativa
può essere utilizzata anche per insegnare nelle scuole non statali.
In
tutti i casi l’aspettativa, a norma dell’art. 18 del CCNL, è gratuita e può
sempre essere interrotta da parte del lavoratore, qualora vengano meno i
presupposti per cui è stata chiesta (in tal caso va richiesta al Dirigente
scolastico la sospensione dell’aspettativa). Inoltre, il tempo trascorso in
aspettativa per motivi di famiglia non è computato ai fini della progressione
in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del
trattamento di quiescenza e previdenza e, per di più, l'impiegato che cessa da
tale posizione prende nel ruolo il posto di anzianità che gli spetta, dedotto
il tempo passato in aspettativa.
Il problema
principale e più dibattuto in merito all’aspettativa è connesso
alla durata dell’aspettativa per lavoro. La norma
di riferimento, il novellato articolo 18, parla genericamente di “anno
scolastico”. Pertanto, un consolidato orientamento ritiene che l’aspettativa
possa essere fruita per un intero anno scolastico, ovvero dal 1° settembre (o
dalla data della richiesta) al 31 agosto, non per un periodo inferiore ad esso
(ponendo il caso di aspettativa per supplenza breve). Letteralmente l’art. 18
comma 3 del CCNL comparto scuola riferisce che il dipendente sia collocato in
aspettativa, a domanda, per un anno
scolastico. Ne discende con certezza solo che l’aspettativa non
può superare 12 mesi continuativi. Tuttavia c’è chi ritiene che l’aspettativa
ex art. 18 possa avere anche durata inferiore all’anno scolastico intero,
purché non si travalichi l’anno scolastico: il periodo di aspettativa non potrà
quindi essere prorogato, risultando l’anno scolastico il periodo massimo di
durata.
Non esiste,
al giorno d’oggi, un limite di richieste che il docente possa fare, con
oggettivi motivi a supporto, per ottenere più volte l’aspettativa non
retribuita durante la carriera; i limiti imposti in passato oggi non sono in
vigore e la genericità della norma di riferimento lascia spazio sia ad una interpretazione estensiva, con il
divieto solo di non avere due periodi di aspettativa continuativi (si
considerano continuativi quando tra essi non intercorre un periodo di servizio
attivo nella scuola di appartenenza superiore a 6 mesi), sia una interpretazione restrittiva che intende
fruibile l’aspettativa solo una volta nell’arco della carriera lavorativa di un
docente.
Diversa
è la natura degli articoli 36 e 59 del CCNL comparto scuola, invece. Essi prevedono
che il personale docente e ATA possa accettare, nell’ambito del comparto
scuola, contratti a tempo determinato di durata non inferiore a un anno,
mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della
sede.
Infatti,
l’art. 18 (comma 3 terzo) offre al dipendente la possibilità di stipulare un contratto
di lavoro con un soggetto privato o con un’altra amministrazione pubblica o con
ente pubblico diverso dalle Istituzioni Scolastiche (non è possibile “andare in
concorrenza” o creare “conflitti di interessi”, in buona sostanza).
Come
si evince da detti chiari precetti normativi, la possibilità di accettare una
supplenza nello stesso comparto è espressamente prevista come unico riferimento
dall’art. 36 (personale docente) o art. 59 (personale ata), mentre non è
possibile emettere decreti di aspettativa per supplenza sullo stesso comparto
in riferimento all’art. 18.
La
norma prevede, infatti, il mantenimento per 3 anni, anche non consecutivi,
della sede di titolarità. Ciò significa che il docente di ruolo potrà accettare
incarichi anche per più di 3 anni ma in tal caso perderà la sede di titolarità,
pur rimanendo titolare nella provincia in questione.
Pertanto,
il personale di ruolo che abbia accettato un rapporto di lavoro a tempo
determinato, complessivamente per tre anni, anche non consecutivi, perde la
titolarità della sede a partire dal 1° settembre dell’anno coincidente con
la quarta accettazione di incarico a tempo determinato.
A
supporto di tale tesi è intervenuta l’ARAN, precisando con nota n. 386 del 26
febbraio 2004 che non rileva il fatto che il posto sia semplicemente
disponibile (30 giugno) o sia vacante e disponibile (31 agosto). Lo scopo,
infatti, è quello di tutelare la continuità dell’anno scolastico sotto il profilo
organizzativo e didattico, pertanto ai sensi dell’art. 36 del CCNL il comparto
scuola permette ai docenti già in ruolo di: “Accettare rapporti di lavoro
a tempo determinato in un diverso ordine o grado d’istruzione, o per altra
classe di concorso, purché di durata non inferiore ad un
anno mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni la titolarità
della sede”.
È
importante evidenziare, inoltre, che l’accettazione di un incarico a tempo
determinato ai sensi dell’art. 36 CCNL comporta per i docenti l’applicazione
del regime contrattuale previsto dal contratto per i docenti a tempo
determinato. Ne consegue che il docente avrà diritto allo
stesso stipendio previsto per i docenti con contratto a tempo
determinato con la conseguenza che sarà riconosciuto lo stipendio
corrispondente alla prima fascia stipendiale. Infatti, per la durata della
supplenza, il docente non usufruirà della retribuzione prevista per i docenti
di ruolo (che tiene conto, della fascia stipendiale di appartenenza).
Anche
il personale ATA può accettare, nell'ambito del comparto scuola, contratti a
tempo determinato di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni,
complessivamente per tre anni, la titolarità della sede (art. 59 stesso CCNL).
Ed anche in questo caso l'accettazione dell'incarico comporta l'applicazione
della relativa disciplina prevista per il personale assunto a tempo
determinato, fatti salvi i diritti sindacali.
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