La ridistribuzione dell’onere probatorio attraverso la regola giurisprudenziale della “vicinanza della prova” finisce spesso per essere concepita come liberamente alternativa al disposto dell’art. 2697 c.c. La Suprema Corte ribadisce che tale criterio deve essere assunto non come modello seccamente alternativo, ma semplicemente come correttivo dell’onus probandi nel caso in cui le norme sostanziali non offrano indicazioni univoche per l’identificazione dei fatti costitutivi rispetto a quelli estintivi, modificativi o impeditivi, identificando i primi in quelli “più prossimi” all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre i secondi, in quelli “meno prossimi” e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto. In tal modo, tuttavia, si rischia di conoscere la ripartizione dell’onere solo al momento della decisione: ci si chiede, pertanto, se possa dirsi conforme ai precetti costituzionali del diritto di difesa e del giusto processo, la riallocazione dell’onere della prova attuato dalla giurisprudenza in assenza di un effettivo contraddittorio tra le parti sulla questione della vicinanza della prova.
Fonte: Giurisprudenza Italiana, n. 8-9/2023, pp. 1852-1857.
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