DIVIETO DI APPLICAZIONE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE PER IL CORONAVIRUS (art. 123 D.L. 18/2020) IN RELAZIONE ALLA CONDIZIONE OSTATIVA DELL'ART. 58 QUATER ORDINAMENTO PENITENZIARIO Un contrasto tra diritto alla salute e esigenze di repressione

Scritto da: Giovanni Merli - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

DIVIETO DI APPLICAZIONE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE PER IL CORONAVIRUS (art. 123 D.L. 18/2020) IN RELAZIONE ALLA CONDIZIONE OSTATIVA DELL'ART. 58 QUATER ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Un contrasto tra diritto alla salute e esigenze di repressione

Nella presente situazione epidemica, non può sottacersi il dato oggettivo di casi di contagio di diversi detenuti renda indispensabile garantire ai detenuti e agli operatori all’interno dei carceri la tutela del diritto, costituzionalmente garantito alla salute, ex art. 32 Cost..

Nel D.L. 18/2020, all'art. 123, vengono introdotte una serie di deroghe, temporalmente limitate tra il 17 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, alla disciplina della detenzione domiciliare dettata dalla Legge n. 199/2010 e successive modifiche (da ultimo il D.L. 23 dicembre 2013 n. 146).

L'art. 123 stabilisce che si possa ricorrere alla detenzione domiciliare se la pena da espiare non non sia superiore a 18 mesi, anche se residuo di maggior pena.

Con l’art. 123 D.L. 18/2020, viene eliminata la necessità da parte del Magistrato di Sorveglianza di accertare la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga, ovvero in ordine a specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti, sostituendo tale requisito con l’applicazione del braccialetto elettronico per coloro che hanno un residuo pena da 7 mesi a 18.

Si ritiene, quindi, che dovrebbe essere lasciata alla valutazione personalizzata del Magistrato di sorveglianza a seconda della personalità del singolo detenuto, la sola applicabilità di strumenti elettronici di controllo.

La ratio della norma è evidentemente quella di introdurre una misura eccezionale, in una situazione eccezionale, per ridurre la possibilità di contagio con procedimento semplificato, introducendo il diritto di essere trasferiti in detenzione domiciliare con il braccialetto elettronico per i detenuti con meno di diciotto mesi da scontare, salvo determinate esclusioni.

I motivi ostativi alla concessione di quanto previsto dall'art. 123 D.L. 18/2020 sembrano strettamente connesse con la tipologia dei reati e/o la personalità soggettiva del detenuto.

La norma, nel suo contenuto letterale, esclude dall'applicazione del beneficio – come, parimenti, avveniva per la L. 199/2010 - una serie di delitti di particolare allarme sociale previsti dall’art. 4-bis O.P. , i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, i detenuti in regime di regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell’art. 14-bis O.P., e – in conformità alla specialità della situazione e alla ratio ultima della norma come sopra evidenziata - i detenuti che siano privi di domicilio effettivo ed idoneo, anche in relazione alla tutela delle persone offese dal reato.

Si rileva, dunque, nella specie, che nulla dice la norma riguardo all'applicabilità del divieto di cui all'art. 58 quater O.P..

Tale norma, secondo un'opinione, potrebbe essere invocata per denegare il beneficio della detenzione domiciliare in quanto l'art. 123 richiama alla L. 199/2010 che, in effetti, poneva l'art. 58 quater O.P. come condizione ostativa all'applicazione delle disposizioni della L. 199.

Già per tale motivo, secondo il noto brocardo ubi lex voluit, dixit, ubi noluit tacuit, appare illegittimo il rigetto della richieste, almeno unicamente, motivato dalla condizione ostativa dell'art. 58 quater O.P..

Preliminarmente, infatti, occorre rilevare come la ratio delle norme – art. 123 D.L. 18/2020 e L. 199/2010 – sia del tutto diversa e non assimilabile.

Basta, infatti, considerare che la norma in questione – l'art. 123 – è una disposizione emessa per far fronte ad una situazione di assoluta emergenza sanitaria, volta alla tutela del bene primario della salute ( ben si badi non solo dei detenuti, ma anche degli operatori penitenziari e dei loro familiari), in una condizione di oggettiva ed indiscutibile contingenza.

Per tale motivo, le eccezioni alla generalizzata applicazione dell'art. 123 D.L. 18/2020, sono volte a contemperare interessi e diritti di rango costituzionale, quali la sicurezza pubblica (non a caso si fa riferimento ai condannati per delitti di particolare allarme sociale, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, a quelli in regime di regime di sorveglianza particolare in carcere) e la tutela delle vittime (con la previsione del reato di maltrattamenti in famiglia e di stalking tra quelli ostativi), oltre che alle situazioni “di fatto” (più numerose di quanto si possa credere) dei detenuti privi di un adeguato domicilio.

Nulla dice la norma circa l'art. 58 quater O.P., cui taluni si richiamano solo in forza del rimando, generico, alla L. 199/2010.

Orbene, se la tutela di vittime e sicurezza pubblica è motivo costituzionalmente apprezzabile per il diniego della detenzione domiciliare, l'automatica applicazione ai fini ostativi dell'art. 58 quater, appare essere confliggente con il diritto, parimenti di rilevanza costituzionale, alla salute.

Infatti, il divieto di ottenere misure alternative alla detenzione per un triennio dalla revoca di precedente misura alternativa alla detenzione, prevista dall'art. 58 quater, non è, ipso facto, né indice di una maggiore pericolosità sociale, né di una più marcata propensione a delinquere, visto che, molte volte, la revoca avviene per motivi del tutto estranei alla devianza sociale.

L’art. 123 c. 2 D.L. 18/2020 sembra rimettere al Magistrato di sorveglianza la valutazione relativa all’adozione della misura, qualora ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.

Si tratta di disposizione estremamente generica che pone invero un ampio potere discrezionale alla magistratura di sorveglianza, in specie considerando che si decide quindi con ordinanza adottata in camera di consiglio, senza la presenza delle parti.

Il richiamo alla legge 199/2010 che, come si è visto, potrebbe far ritenere applicabile anche a questa nuova misura il divieto di cui all’art. 58-quater O.P., ma tale opinione appare essere ultronea, stante il principio, ormai stabilito dal costante insegnamento sia della Consulta che della Cassazione, secondo cui, in materia di benefici penitenziari è un criterio “costituzionalmente vincolante” quello che esclude “rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata caso per caso” (Corte Cost., sentenza n. 436/1999).

Non a caso, infatti, la Consulta ha, più volte, ribadito che l’esclusione di criteri individualizzanti comporta che “l’opzione repressiva finisce per relegare nell’ombra il profilo rieducativo” (Corte Cost., sent. n. 257/2006) e ciò determina un giudizio del dettato normativo “sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena” (Corte Cost., sent. n. 255/2006), con la conseguenza che, nel diritto penitenziario, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, è vietato ogni automatismo valutativo in malam partem, dovendosi, invece, procedere alla verifica in concreto della sussistenza dei presupposti che legittimano l’adozione dei vari istituti previsti (M.d.S. Milano del 9.11.2011).

Tale modo di vedere – sia pur in ordine alla preclusione dei benefici penitenziari a chi si sia reso responsabile del delitto di evasione – appare sorretto dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, assumendosi, infatti, la necessità di una lettura della norma costituzionalmente orientata, che non permette l'automatica preclusione, senza limiti di tempo, per effetto della condanna stessa, dovendo il giudice procedere a un esame approfondito della personalità del condannato e della sua effettiva e perdurante pericolosità sociale (Cass. Pen. Sez. 1 n.26298 del 07/03/2019; Cass. Pen. Sez. 1, n. 1116 del 22/09/2016, dep. 2017, Russo; Cass. Pen. Sez. 1, n. 29 del 19/11/2014).

Infatti, già in tema di applicazione della L. 199/2010, vi sono state decisioni della magistratura di sorveglianza abbiano evidenziato che “pur essendo possibile una interpretazione rigorosamente letterale della disposizione impugnata, che imporrebbe di ritenere tout court precluso, all’interessato che abbia subito la revoca di precedente beneficio penitenziario (nella specie, esecuzione domiciliare), l’accesso alle misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare; pare doveroso adottare, invece, una sua lettura costituzionalmente orientata, basata sul principio della funzione rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, terzo comma, Cost., e validata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha escluso la cittadinanza, nel nostro ordinamento penitenziario, della prevalenza assoluta delle esigenze di prevenzione sociale su quelle di recupero dei condannati” (cfr. Tribunale Sorv. Torino 20.02.2014; in senso conforme si veda anche Tribunale Sorv. Bologna, ord. 22.03.2011).

Tale opinione appare sorretta, anche, dalla Corte di Cassazione secondo cui “In questa cornice di principi generali, recepiti in due recenti decisioni delle Sezioni Unite (Sez. Un. 28 marzo 2006, ric. Alloussi; Sez. Un. 30 maggio 2006, ric. Aloi), il Collegio ritiene che l’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione in carcere (nel caso di specie, la detenzione domiciliare) di un soggetto nei cui confronti sia intervenuta affermazione di penale responsabilità per il delitto di evasione non possa essere automaticamente preclusa dalla intervenuta condanna per il reato previsto dall’art. 385 c.p. a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine all’avvenuta realizzazione di tutte le condizioni per usufruire del beneficio richiesto. Piuttosto, una lettura costituzionalmente orientata della norma impone al giudice, in presenza di una condanna per questo titolo di reato, un’analisi particolarmente approfondita sulla personalità del condannato, sulla sua effettiva, perdurante pericolosità sociale alla luce delle condotte rilevanti ai sensi dell’art. 385 c.p., oggetto di accertamento definitivo, sui progressi trattamentali compiuti e il grado di rieducazione compiuto prima dell’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005”.

Nella specie, quindi, stante la diffusione del contagio da COVID 19 e lo stato di detenzione, appare evidente che non siano applicabili automatismi nella preclusione all’accesso della misura della detenzione domiciliare in quanto in contrasto netto con la tutela di un diritto costituzionalmente protetto, quello alla salute, ex art. 32 Cost., salvo quelli espressamente, letteralmente e chiaramente indicati dal legislatore nel testo dell'art. 123.

Tale aspetto, che potrebbe, astrattamente, integrare ipotesi di illegittimità costituzionale, può essere, nell'urgenza della situazione epidemica, ovviato con una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 123 D.L. 18/2020, attraverso una, sia pur sommaria, valutazione nel merito della condotta tenuta dal soggetto, per la verifica dell'opportunità di concedere la detenzione domiciliare, anche ai sensi di quanto sancito dalle sentenze della Consulta (sentenze n.255/2006-149/2018) ed in ossequio, sia alle finalità previste dall’art. 27, sia a quelle, in questa fase storica, forse anche più pregnanti, di tutela della salute ex art. 32 Cost., non potendosi tacere che anche ai soggetti in detenzione non può essere conculcato il diritto alla salute.



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Giovanni Merli

Avvocato penalista in firenze