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L’Assegno divorzile e il riconoscimento alla ex moglie “casalinga e lavoratrice” secondo la recente Sentenza Corte di Cass. del 9.03.2020. n. 6519.

Scritto da: Irene Carta Cerrella - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

La Prima Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto di cambiare orientamento relativamente al criterio utilizzato per valutare l’esistenza o meno del diritto dell’ex coniuge all’assegno divorzile ex art.5 L. 898/1970.

La storica sentenza n.11504/2017, ha subordinato il diritto all'assegno divorzile all'accertata carenza di autosufficienza economica nel richiedente, utilizzando i criteri indicati dall'art. 5, 6° comma, per la sua determinazione quantitativa ed ancorava non soltanto il diritto all'assegno a un criterio non contemplato dal legislatore o, quanto meno, ad una interpretazione molto discutibile del riferimento normativo alla mancanza di "mezzi adeguati", ma ignorava completamente il vissuto dell'esperienza coniugale.

Le SS.UU. n. 18287/2018, discostandosi dal decennale orientamento, indica tra i suoi passaggi fondamentali il principio secondo cui “il diritto all’assegno di divorzio non dipende solo dalla mancata autosufficienza economica di chi lo richiede, come delineato da costante giurisprudenza, ma dall’esigenza di consentire al coniuge privo di "mezzi adeguati" il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.”

Il diritto sorge anche quando si tratta di porre rimedio allo squilibrio esistente nella situazione economico patrimoniale delle parti le cui cause risalgono al vissuto della coppia coniugale, dando in tal modo il giusto rilievo alle scelte e ai ruoli che hanno caratterizzato la vita familiare.

In tale prospettiva, l’assegno diventa dunque lo strumento che, adempiendo ad una funzione di tipo compensativa, consente al coniuge più debole di ricevere quanto ha dato durante il matrimonio.

Quanto deciso dalle SS.UU. offre una nuova lettura dell’art.5, 6° comma, legge div., prevedendo l’applicazione dei criteri previsti dal legislatore in una diversa ottica rispetto al costante orientamento tradizionale.

L’assegno divorzile non è più considerato come un mezzo per consentire al coniuge il mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio e neanche come un mezzo di assistenziale per il coniuge privo di mezzi che gli garantiscano una esistenza libera e dignitosa, ma trova, nella sentenza delle Sezioni Unite una dimensione che esalta la funzione compensativa ed individua nell’assegno divorzile e nella sua determinazione quantitativa il mezzo per riconoscere al coniuge il suo concreto contributo alla realizzazione della vita familiare.

Tali conclusioni traggono la loro forza nel modello del matrimonio costituzionale, fondato sui principi di uguaglianza e di pari dignità, sia per ciò che concerne i rapporti tra i coniugi durante il matrimonio ma anche per gli effetti patrimoniali conseguenti allo scioglimento in attuazione del principio di solidarietà, che permane anche con la dissoluzione del matrimonio al fine di salvaguardare la pari dignità tra i coniugi.

Il nuovo paramento dunque è fondato sulla possibilità del coniuge di ottenere una indipendenza economica.

Una volta assunto che l’indipendenza economica del coniuge richiedente o la possibilità di conseguirla costituiscono un elemento capace di escludere in radice la titolarità del diritto all’assegno divorzile, si pone il problema di individuare gli “indici” in presenza dei quali è possibile affermare che detto presupposto ricorra. A tal fine la Cassazione pone l’accento su quattro elementi che il giudice deve considerare alla stregua di indicatori di quell’indipendenza economica in presenza della quale dovrebbe escludersi la titolarità di un assegno divorzile in capo al richiedente. In particolare l’indipendenza economica potrebbe ricorrere allorché il richiedente sia in “possesso di redditi di qualsiasi specie”; oppure disponga di “cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari”; o, ancora, sia dotato di capacità e possibilità effettive di lavoro personale in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente ed autonomo; infine, nell’ipotesi in cui abbia la “stabile disponibilità di una casa di abitazione”.

Di seguito il principio di diritto enunciato dalle SS.UU.: "Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

-          Si riporta un caso di particolare interesse a seguito del mutato orientamento:

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 9.03.2020 n. 6519, ha rigettato il ricorso di un marito che in sede di appello, era stato costretto a versare alla moglie un assegno mensile di 1600 euro.

Il Giudice adito correttamente osservava l’allontanamento dal metodo del tenore di vita di cui alla Cass. n. 11504/2017, sottolineando la funzione di perequazione, di assistenza e di compensazione dell'assegno di divorzio, il quale non può non tenere conto dell'età del coniuge che lo richiede, della sua reale possibilità di riprendere a lavorare, dei sacrifici fatti per la famiglia e del contributo alla formazione del patrimonio familiare con il lavoro fuori casa e casalingo.

-          Il ricorso in Appello.

La Corte di Appello in sentenza fissa l'assegno divorzile a favore della ex moglie nella somma di euro 1600 mensili.

La Corte non considerando il superato metodo del tenore di vita evita qualunque rimedio di tipo punitivo.

Nel caso specifico, la coppia è stata a lungo sposata, ed il coniuge richiedente l’assegno ha dedicato gran parte del proprio tempo alla famiglia ed al coniuge, incrementandone le risorse attraverso il lavoro sia a casa che fuori, fattori decisivi per la valutazione della durata del matrimonio e della disparità di reddito tra loro.

Nel caso di specie, la ex moglie rappresenta la parte debole del rapporto, non economicamente indipendente e priva di proprie risorse lavorative e liquidità poiché le uniche disponibilità dalla vendita degli appartamenti del padre in comproprietà con la sorella. La donna vive in affitto ed al momento è comproprietaria di una casa che non produce reddito.

La Corte ritiene corretto diminuire l’importo dell’assegno alla moglie, in misura diversa però rispetto a quella indicata dal marito, apporta una valutazione anche in relazione all’età della donna, età che rende difficile per la donna l’ottenimento di un lavoro ed ancora, a sostegno delle proprie ragioni, valuta anche le inevitabili spese alle quali la donna dovrà far fronte in futuro per pagare l’affitto.

-          Il ricorso in Cassazione

Il marito decide di ricorrere in Cassazione in relazione all’importo dell’assegno.

Con il primo motivo, lamenta il fatto che la moglie non abbia prodotto in giudizio le dichiarazioni di successione del padre e della madre.

Con il secondo motivo, si duole di come la Corte non abbia preso in considerazione il fatto che la donna avrebbe potuto abitare nella casa di suo padre e non pagare l’affitto.

Con il terzo motivo, lamenta l'omesso esame dell'accordo secondo il quale la spesa relativa all’affitto sarebbe gravata sul marito sino a quando la moglie non avesse acquistato la disponibilità gratuita di un immobile e una volta sopravvenuta la morte del padre.

Con il quarto motivo, contesta il fatto che secondo lui l’immobile ereditato dalla ex moglie  sia redditizio, con la relativa assenza di prove .

Con il quinto motivo, lamenta il giudizio della Corte sulla capacità e possibilità della donna di produrre reddito, non essendoci prove sulle iniziative della ex moglie finalizzate al raggiungimento di una indipendenza economica.

Con il sesto motivo, contesta l’omissione di un fatto decisivo, vale a dire, che la figlia ha deciso di abitare con il padre, e per questo l’importo dell'assegno sembra eccessivo, essendo unico beneficio della donna.

Con il settimo e l'ottavo motivo contesta la misura dell'assegno, superiore di molto ai possibili parametri d'indipendenza o autosufficienza economica e per avere stabilito la somma considerando i redditi del marito e la differenza di reddito tra i due, mentre la Corte avrebbe dovuto considerare in modo esclusivo la condizione del richiedente, senza tenere conto dalle indicazioni dettate dalla sentenza n. 11504/2017.

-          La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 9.03.2020, ha rigettato il ricorso, ritenendo che le prime sei doglianze sollevate siano inammissibili perché hanno la finalità di ottenere un giudizio sostitutivo rispetto a quello di merito, che si è concluso con una esatta e adeguata motivazione, che si sottrae al disappunto del ricorrente.

In relazione al settimo e ottavo motivo del ricorso, nel quale il ricorrente lamenta l’allontanamento dai parametri stabiliti dalla sentenza n. 11504/2017, che ha abbandonato il tenore di vita nella determinazione dell'assegno di divorzio, la Corte fa presente che la successiva SU n. 18287/2018 ha il compito di dare una diversa lettura all'assegno di divorzio più coerente con il quadro costituzionale.

Da qui deriva l'adozione del parametro di perequazione e compensazione che si rifà al principio di solidarietà e che deve considerare le condizioni del reddito e del patrimonio di entrambi gli ex coniugi, per il raggiungimento di un livello di reddito adeguato al contributo erogato alla realizzazione della vita familiare, senza non tenere conto delle aspettative professionali sacrificate, considerando l’età del richiedente e la durata del matrimonio.

Da qui l'affermazione, relativa all'articolo 5 della legge n. 898/1970 (cosiddetta legge sul divorzio) del principio secondo il quale “il riconoscimento dell'assegno di divorzio, al quale si deve attribuire una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei metodi dei quali alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto”.

In relazione a questo principio, al richiedente verrà riconosciuto un importo adeguato a garantirgli una vita dignitosa e autonoma, che gli riconosca il sacrificio e quello che ha fatto durante il matrimonio.

Così la Corte d’Appello muovendo dal ragionamento logico giuridico sopraesposto, ha abbandonato il metodo della valutazione fondata sul tenore di vita, non tollerando rendite parassitarie in presenza della giovane età del richiedente e della sua capacità lavorativa, in una  visione che da spazio a un indirizzo non punitivo verso il coniuge economicamente più debole che è stato sposato per molto tempo, che ha dedicato il suo tempo alla famiglia, ed ha incrementato le risorse economiche comuni con il suo lavoro, tanto in casa quanto fuori e che pertanto merita il giusto riconoscimento.



Pubblicato da:


Irene Carta Cerrella

Avvocato a Palermo