Pubblicazione legale
L’estorsione on line: limiti e prospettive della riforma dell’art. 629 c.p.
Pubblicato su IUSTLAB
Nella bozza
del disegno di legge “in materia di reati informatici e di rafforzamento della
cybersicurezza nazionale” pubblicata ad inizio anno, assume particolare rilievo
quanto previsto dall’art. 1 (modifiche al codice penale), lett. l) che
testualmente recita: “all’articolo 629, dopo il secondo comma è aggiunto il
seguente comma: Chiunque, mediante le condotte di cui agli articoli 615-ter,
617-quater, 617-sexies, 635-bis, 635-quater e 635-quinquies, ovvero con la
minaccia di compierle, costringe taluno a fare o ad omettere qualche cosa,
procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con
la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 10.000.
La pena è della reclusione da otto a ventidue anni e della multa da euro 6.000
a euro 18.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo
capoverso dell’articolo precedente”. L’intento del
legislatore è palesemente quello di affiancare al reato di estorsione per così
dire “classica” una nuova fattispecie che, strutturandosi nella forma del reato
complesso, viene ad accorpare in un’unica previsione tutte quelle ipotesi in
cui la costrizione ed il perseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno,
giungono a realizzarsi mediante le condotte di cui agli articoli 615-ter,
617-quater, 617-sexies, 635-bis, 635-quater e 635-quinquies, c.p.. Nell’ottica
della scelta di politica criminale in tal modo operata, il fine sotteso a
questa operazione di maquillage normativo non può che essere individuato
nella previsione di un trattamento sanzionatorio decisamente inasprito rispetto
a quello dell’estorsione tradizionale, soprattutto se si pone attenzione alle
norme del d.d.l. che immediatamente precedono quella in commento, tutte segnate
da un aumento delle pene da applicarsi ai reati di cui agli articoli 615-ter,
615-quater, 617-bis, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies c.p.. C’è peraltro
da osservare come, evidentemente animato dal ‘sacro fuoco’ della deterrenza,
quello stesso legislatore si sia spinto ad immaginare estendibili
all’estorsione on line le circostanze aggravanti speciali di cui al terzo comma
dell’art. 628 c.p., invero con non poca fantasia, se solo si pensi al n. 3 ter
che contempla l’aumento di pena “… se il fatto è commesso all’interno di mezzi
di pubblico trasporto” (?). Vero è che,
come puntualmente ci viene ricordato ogni anno dal Rapporto del Clusit,
l’Associazione italiana per la sicurezza informatica, la tipica forma con cui
si perfeziona il reato de quo , ovvero il ransomware , deve
statisticamente essere ritenuto a tutt’oggi la tipologia di attacco informatico
più ricorrente ed insidiosa per qualsivoglia ente pubblico, impresa di
grandi-medie-piccole dimensioni e privato cittadino. Il ransomware
è, come noto, un particolare tipo di malware che, introducendosi in un
sistema informatico spesso a seguito dell’apertura di un file allegato ad un
messaggio di posta elettronica, blocca l’accesso al pc infettato, ne cripta i
dati minacciandone contestualmente la cancellazione e/o la diffusione in rete
ed impone il pagamento di un riscatto ( ransom ), quasi sempre in
criptovalute, per poter successivamente ricevere le chiavi di decriptazione dei
dati medesimi. Ed è proprio
in merito alla scelta di pagare il riscatto che va fatta una serie di
considerazioni di non poco momento. La prima
riguarda l’evidente inutilità di un accordo di tal fatta: da un’indagine svolta
dall’ENISA (Threat Landscape for Ransomware Attacks, luglio 2022), nel 47,83%
dei casi analizzati, i dati oggetto dell’attacco sono stati successivamente
diffusi. A ciò si
aggiunga che, al fine di assicurarsi la totale efficacia dell’attacco, gli hackers
sono ormai soliti avvalersi della tecnica della c.d. “double extortion”,
ovvero criptazione e contestuale copia dei dati, in modo da “bypassare”
l’eventuale backup effettuato della vittima, procedendo alla minaccia di
divulgazione dei medesimi laddove vi fosse un rifiuto al pagamento del
riscatto. Secondariamente,
non vanno sottaciute le ulteriori, negative conseguenze dell’acquiescenza al
ricatto, le quali palesano invero diversificati livelli di rischio
sanzionatorio in base alla veste giuridica del soggetto che materialmente
procede al pagamento. Se infatti la
dottrina è concorde nell’escludere che al privato cittadino vittima
dell’estorsione - il quale aderisca al ricatto – sia possibile muovere alcuna
contestazione di reato, lo è assai meno laddove ad operare il pagamento del
riscatto sia un ente pubblico o un’azienda privata. Nella prima
ipotesi, il funzionario a cui il pagamento può essere ricondotto rischia di
incorrere in una responsabilità personale per danno all’erario allorquando non
riesca a dimostrare che il danno procurato all’Amministrazione con la sua
condotta, sia stato comunque minore rispetto a quello che l’ente avrebbe subìto
dalla perdita dei dati (si veda sul punto, ordinanza della Cassazione a Sezioni
Unite n° 4511 del 2006). Nel caso
dell’azienda, invece, si determinano almeno due ordini di problemi: il primo
afferisce alla mancata contabilizzazione della somma versata a titolo di
riscatto - che intuibilmente non si presterebbe ad avere una lineare
collocazione nelle poste di bilancio - aprendo per tale via il campo ad una
possibile contestazione dei reati di cui agli artt. 2621 c.c. (false
comunicazioni sociali), 2625 c.c. (impedito controllo) e 2638 c.c. (ostacolo
all’esercizio delle funzioni dell’autorità di controllo); il secondo, se il
pagamento viene effettuato a vantaggio e nell’interesse dell’ente, evoca a
cascata una responsabilità ex art. 25-ter del D. lgs. n. 231/2001 (Responsabilità
amministrativa delle società e degli enti). Dal punto di
vista dell’immagine della società, poi, non è difficile ipotizzare come
siffatta condotta vada necessariamente ad incidere – una volta resa nota per
qualsivoglia imponderabile ragione – sul rispetto dei valori, dei principi e degli
ideali di comportamento dichiarati dal Codice etico in vigore per quella
particolare realtà aziendale. Come si vede,
quindi, la scelta di chi, vittima dell’estorsione on line, si determini ad
aderire alla richiesta economica, può rivelarsi non solo infruttuosa, ma
altresì foriera di ulteriori, nefaste conseguenze per i soggetti che la
dovessero assumere e, più in generale, per le casse e l’immagine dell’azienda. E’ forse per
tali ragioni che, da più di un’autorevole voce, viene richiamata l’esigenza di
un intervento legislativo che, in analogia a quanto è stato fatto con la legge
n. 82/1991 in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione, vieti
categoricamente alle vittime il pagamento del riscatto.
Leonardo Lastei