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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: la procedura di conciliazione da seguire presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro e la sua legittimità.

Scritto da: Lucia Catapano - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:

L’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dalla Riforma Fornero nel 2012, prevede, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una particolare procedura che riguarda però solamente i lavoratori non soggetti al contratto a tutele crescenti ( in quanto assunti prima del 2015) ed  occupati da un datore di lavoro che ha più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o nel comune ovvero che ne ha almeno 61 in tutta Italia. 

Tale norma dispone che, qualora ricorra il caso di  cui  sopra, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, della  legge n. 604/1966, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro (oggi Ispettorato Territoriale del Lavoro) del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

In tale comunicazione, il datore deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indicando i motivi nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. L’ispettorato Territoriale del Lavoro trasmette la convocazione al datore e al lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile.

La comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando:

-è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro; ovvero

-è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.

Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza a cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.

La procedura in esame però non si applica in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’articolo 2, co. 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92, ossia nelle seguenti ipotesi:

  1. licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  2. interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere. 

Nel caso, quindi,  di datore di  lavoro assoggettato alla disciplina di cui all’articolo 18 della Legge 300/1970 (più di 15 dipendenti nell’ambito della stessa unità produttiva o dello stesso comune, più di 60 dipendenti nell’intero territorio nazionale) che intenda licenziare un dipendente assunto prima del 7 marzo 2015,  è obbligatoria l’attivazione della “procedura di conciliazione” di cui all’articolo 7, della Legge 604/1966  avanti alla commissione di conciliazione presso l’ispettorato territoriale del lavoro.

Si tenga  presente, però,  che la violazione di tale procedura non comporta il diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro ma solo un diritto al  risarcimento danni da 6 a 12 mensilità.  

Inoltre,  in questo caso di licenziamento del dipendente, è necessario un termine di preavviso, stabilito dal CCNL di riferimento, in mancanza del quale il datore di lavoro dovrà pagare all’ex dipendente la relativa retribuzione. 

Nel caso invece in cui a procedere con il licenziamento sia un datore di lavoro con organico non superiore ai 15 dipendenti,  ovvero che si accinga a licenziare un lavoratore assunto in epoca successiva alla data del 7 marzo 2015,  la procedura di cui sopra non dovrà essere seguita.

La legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 

Passiamo adesso ad esaminare quando è legittimo il  licenziamento per giustificato motivo oggettivo:  particolarmente “illuminante” a tal proposito è quanto affermato nella motivazione dalla   sentenza della  Corte di Cassazione del  27 dicembre 2021, n. 41586,  secondo la quale, ai fini dell’accertamento della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, occorre che, ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, siano ravvisabili cumulativamente tre requisiti:

a) la soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza a lui attribuite;

b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti a incidere sulla struttura e sulla organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati a una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività;

c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, sebbene privo di espressa previsione normativa, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere in alcun modo condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.

L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti disponibili.  

Prima di ridurre il personale, dunque, è bene sapere che  se un imprenditore ritiene sia necessario licenziare un dipendente a causa di un giustificato motivo oggettivo (es. crisi aziendale) è libero di farlo ( ex art. 41 della Costituzione )  ma  in caso di contenzioso  dovrà dimostrare la sussistenza del giustificato motivo oggettivo e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore presso un altro reparto.



Pubblicato da:


Lucia Catapano

Avvocato civilista a Salerno