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Coronavirus e sopravvenienze contrattuali

Scritto da: Marco Giliberti - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

CORONAVIRUS E SOPRAVVENIENZE CONTRATTUALI

La pandemia può essere qualificata come una sopravvenienza, cioè come un fatto che accade in modo inatteso e che modifica una situazione antecedente?

Il tema da affrontare è stabilire se il fatto, oggettivamente straordinario e imprevedibile, alteri una precedente situazione alla luce di un criterio giuridico e se si configuri, quindi, come una sopravvenienza idonea a modificare l’equilibrio contrattuale.

Le “sopravvenienze” implicano, per loro natura, l’emersione di due esigenze contrapposte: tutelare le parti (liberandole da un impegno contrattuale divenuto inidoneo a soddisfare l’assetto di interessi originariamente delineato, oppure consentendo loro di ricorrere a strumenti correttivi al fine di ristabilire l’equilibrio tra le prestazioni) e garantire certezza nei traffici giuridici.

I possibili rimedi tipizzati dal legislatore sono vari e precisamente:

1)   Risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c.;

2)   Risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c;

3)   Rimedio di cui  al comma 6-bis dell'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n.6, adottato nell’ambito delle misure di contenimento del Covid-19.

In linea generale, l’impossibilità sopravvenuta determina la risoluzione automatica del contratto, mentre l’eccessiva onerosità è fronteggiabile anche tramite un’equa offerta di modificazione proveniente dalla parte interessata al mantenimento del vincolo contrattuale.

Importante è anche il ruolo svolto dal principio generale di buona fede, il quale rappresenta ormai una fonte integrativa del contratto.

In virtù di detto principio, pertanto, le parti sono tenute a tollerare, nella fase esecutiva del rapporto, eventuali varianti nelle prestazioni altrui oppure a modificare le proprie nell’interesse della controparte, entro i limiti di un sacrificio non apprezzabile.

In tema di sopravvenienze, il principio di buona fede implica l’esistenza di un generale obbligo di rinegoziazione: così, se nel corso dell’esecuzione di un contratto si verificano eventi tali da modificare le circostanze esistenti al momento della stipula, le parti sono tenute a svolgere nuove trattative e il rifiuto ingiustificato di rinegoziare, violando il dovere di eseguire il contratto secondo bona fede, integra inadempimento contrattuale.

1)   L’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce effetti liberatori e risolutori.

Essa può essere o definitiva o parziale/temporanea.

-       L’impossibilità definitiva della prestazione per causa non imputabile al debitore estingue l’obbligazione e libera il debitore, il quale non incorre in alcune responsabilità.

Così, la parte liberata ai sensi dell’art. 1463 c.c., “non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

In questo caso, l’impossibilità sopravvenuta comporta lo scioglimento automatico del contratto nel momento stesso in cui la prestazione di una delle parti diventa impossibile.

Infatti, l’eventuale sentenza del giudice che interviene nel merito della risoluzione per impossibilità sopravvenuta ha mera natura dichiarativa.

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica vale, comunque, il principio per cui l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni giù eseguite.

Ma cosa deve intendersi per impossibilità?

L’impossibilità è oggettiva quando dipende da un fattore che trascende la sfera del debitore, come il caso fortuito, la forza maggiore e il fatto del terzo.

L’impossibilità è, altresì, assoluta quando la prestazione non può essere eseguita dal debitore neanche utilizzando la massima diligenza o quando non implichi un impiego di forze psicofisiche o economiche particolarmente gravose per il debitore.

-       L’Impossibilità parziale o temporanea della prestazione, ai sensi dell’art. 1258 c.c., non estingue l’obbligazione e il debitore si libera eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile.

Tuttavia, nei contratti a prestazioni corrispettive la situazione cambia e l’art. 1464 c.c. prevede che, in caso di impossibilità sopravvenuta parziale, la controparte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione dovuta, in modo da ripristinare l’originario equilibrio economico tra le prestazioni dedotte in contratto.

Ma il creditore mantiene la facoltà di recedere dal contratto ove non abbia un interesse apprezzabile a ricevere l’adempimento parziale.

Comunque, l’impossibilità è temporanea quando non ha carattere irreversibile, ma è destinata a protrarsi per un determinato periodo di tempo, oltre il quale la prestazione torna ad essere integralmente possibile.

Tale tipo di impossibilità è disciplinata solo in tema di obbligazioni in generale e precisamente dall’art. 1256 c.c. che sancisce che “se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finchè essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento; tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

Tale disposto normativo trova applicazione, tuttavia, anche in relazione ai contratti sinallagmatici: decorso l’arto temporale entro cui è ragionevole ritenere ancora obbligato il debitore o interessato il creditore, il contratto si scioglie per impossibilità sopravvenuta.

Ma tale disciplina può trovare applicazione nell’attuale contesto storico-sociale dominato dalla pandemia?

La pandemia rende impossibile la prestazione di una delle parti?

La risposta è sicuramente positiva se la prestazione del debitore debba essere eseguita da un paziente ricoverato in terapia intensiva e il contratto sia intuitu personae.

Ma ove invece non ricorra questa ipotesi, la prestazione delle parti non dovrebbe potersi considerare impossibile per effetto della pandemia (almeno non nel senso di impossibilità definitiva).

Il concetto di impossibilità è un concetto assoluto, nel senso che è impossibile una prestazione che non può essere più effettuata dalla generalità dei consociati.

Ma, in senso tecnico, molte prestazioni continuano ad essere eseguite ed eseguibili anche in tempo di pandemia.

Dunque, quello che rende impossibile la prestazione non è tanto la pandemia, quanto i provvedimenti adottati dal Governo per far fronte alla pandemia stessa.

È proprio a causa di questi provvedimenti che molte obbligazioni sono divenute impossibili.

È evidente che per effetto del factum principis che molte prestazioni siano divenute temporaneamente impossibili. 

Dunque, l'impossibilità temporanea della prestazione non è determinata dalla pandemia, ma dalla normativa eccezionale di questi giorni.

In tale ottica l'art. 1463 c.c. trova sicuramente applicazione nei limiti delle previsioni normative, che impediscono l'esecuzione di certi contratti.

Ma cosa accade ai rapporti che non sono stati vietati, oppure ai rapporti non disciplinati?

In alcuni casi, infatti, il legislatore ha indicato precisamente le attività che possono o che devono proseguire, mentre altri rapporti non sono stati affatto disciplinati.

Classico caso è quello relativo ai rapporti di locazione (solo il tema della esecuzione dei provvedimenti di sfratto è stato disciplinato dal legislatore con l'art. 103, comma 6 che prevede: «L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020»), dove a fronte del mancato godimento dell'immobile da parte di molti conduttori non si è previsto nulla a proposito del pagamento del canone.

Difficile in questo caso invocare l'applicazione dell'art. 1463 c.c. perché, non avendo previsto nulla al riguardo, i diversi provvedimenti legislativi non hanno reso impossibile la prestazione di pagamento, ma solo molto più complesso il godimento da parte del conduttore.

Poiché il locatore esegue la propria prestazione consentendo il godimento del bene al conduttore, il sinallagma non sembra risultare alterato: ne deriva che il conduttore sarebbe comunque tenuto al pagamento del canone.

Tuttavia, se il contratto di locazione è stato stipulato esclusivamente per uno specifico scopo, quale ad esempio la frequentazione dell’università da parte del proprio figlio fuori sede, con la sospensione delle attività didattiche disposta dai provvedimenti governativi, a mio avviso potrebbe trovare comunque applicazione la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta, quantomeno intesa nel senso di impossibilità temporanea.

Da valutare, comunque, la convenienza del rimedio risolutorio nel caso di specie, provocando un effetto liberatorio immediato con tutte le immediate conseguenze, ad esempio in tema di sgombero dei locali locati.

Resta fermo l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e, quindi, l’obbligo di intavolare nuove trattative per addivenire ad un nuovo assetto contrattuale.

2)   L’eccessiva onerosità sopravvenuta si sostanzia in un’alterazione del rapporto di valore esistente al momento della stipula del contratto tra le prestazioni, il cui equilibrio viene modificato dalla verificazione di un avvenimento straordinario e imprevedibile.

Si intende far riferimento all’equilibrio soggettivo, ovvero al rapporto di proporzione convenzionalmente fissato dalle parti al momento del perfezionamento del contratto sulla base di personali valutazioni di opportunità.

Per quanto riguarda la sua incidenza sui contratti a prestazioni corrispettive, se la prestazione di una delle parti è diventata eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione è legittimata a chiedere la risoluzione.

La controparte può, comunque, evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Dunque affinché si possa ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità è necessario che la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa, intesa in senso diverso, però, dalla lesione ultra dimidium prevista per la rescissione dall’art. 1448 c.c.

È necessario, inoltre, che tale eccessiva onerosità derivi dal verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, ossia di eventi per i quali è statisticamente rara la verificazione e per i quali un soggetto mediamente diligente non possa prevederne l’avveramento.

A differenza della risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in caso di eccessiva onerosità il contratto non si risolve automaticamente, ma è necessaria la sentenza costitutiva del giudice che si pronunci nel senso della risoluzione.

Tale sentenza produce tra le parti effetti retroattivi, rimanendo salve le prestazioni regolarmente eseguite prima che sopravvenisse l’eccessiva onerosità.

Come già anticipato, la parte che ha ancora interesse nel vincolo contrattuale può evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto, con la quale si vada a distribuire in modo adeguato tra le parti l’onerosità sopravvenuta (l’offerta non deve, dunque, essere volta a ristabilire l’equilibrio originario del contratto).

Ed in relazione alla situazione pandemica attuale?

È indubbio che la pandemia rappresenti un evento straordinario (essendo statisticamente la prima volta che accade) ed imprevedibile (considerato che nessuno avrebbe potuto prevederlo usando il criterio di ordinaria diligenza).

Ed è altrettanto indubbio che in molti casi la pandemia abbia prodotto un forte squilibrio del sinallagma contrattuale, che potrebbe legittimare la richiesta di risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c.

Tuttavia, tra la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta proposta da chi ne subisce gli effetti e la sentenza di risoluzione correrebbe un periodo di tempo abbastanza ampio.

Dunque, anche se da un punto di vista teorico questo rimedio potrebbe essere idoneo, dal punto di vista pratico esso è del tutto inefficace rispetto all'esigenza immediata di chi la richiede.

Infatti, anche se la sentenza opera retroattivamente al momento della domanda con l'obbligo del creditore di ripetere quanto pagato, il debitore rimane obbligato a pagare l’intero fino alla sentenza costitutiva.

3)   La misura di cui al comma 6-bis dell'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n.6, introdotta dall’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia” offre uno strumento utile per risolvere molti problemi.

Tale norma prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

La disposizione ha ad oggetto il rispetto delle misure adottate e non è rivolta, pertanto, a chi abbia violato tali misure.

La norma riguarda l'ipotesi del debitore che, rispettando le misure richiamate, si sia reso inadempiente, totalmente o parzialmente ovvero sia in ritardo nell'adempimento delle obbligazioni assunte con la stipula di un contratto.

Prima facie, la fattispecie sembrerebbe la stessa di quella descritta dall'art. 1218 c.c.

Essa è resa tuttavia eccezionale dal fatto ulteriore del rispetto delle misure di contenimento da parte del debitore.

L'effetto, pertanto, sarà opposto a quello previsto dall'art. 1218 c.c., ossia l'assenza di responsabilità del debitore nonostante quest’ultimo non dimostri l'impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Con questa norma eccezionale si prevede che il giudice, nel procedere all'accertamento dell'inadempimento del debitore, anziché escludere la responsabilità di quest'ultimo solo a fronte della prova che l'inadempimento è dovuto a una impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore, dovrà estendere la valutazione anche al rispetto delle misure di contenimento del Covid-19.

Dunque il giudice sarà tenuto sempre ad allargare la sua valutazione all'accertamento del rispetto delle misure di contenimento del Covid-19 con la conclusione che non potrà considerare il debitore responsabile se l'inadempimento derivi dal rispetto di quelle misure.

Infatti, la norma parla testualmente di esclusione della responsabilità: se le misure governative di contenimento della pandemia sono state rispettate il debitore non sarà mai responsabile.

Il criterio di responsabilità non è così la mancata prova dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione dovuta a causa a lui non imputabile, ma il rispetto delle misure di contenimento da parte del debitore.

Ma perché la norma richiama anche l’art. 1223 c.c. riguardante il risarcimento del danno per inadempimento o per ritardato inadempimento?

Infatti, se a norma del comma 6-bis dell'art. 3 viene esclusa la responsabilità del debitore, perché richiamare l’art. 1223 c.c.?

Secondo le prime opinioni della dottrina, il richiamo all'art. 1223 c.c. potrebbe avere il significato di attribuire al giudice un potere equitativo che gli consenta di valutare in termini diversi non il risarcimento del danno, ma il contenuto del rapporto contrattuale in cui la prestazione non sia divenuta impossibile, ma sia divenuta particolarmente onerosa per il rispetto delle misure di contenimento. 

Per tornare all’esempio delle locazioni, in cui il sinallagma è assicurato dal godimento e dal corrispettivo, è indubbio che il godimento continui ad essere assicurato da parte del locatore, ma il pagamento del corrispettivo, in questo particolare momento, potrebbe risultare particolarmente oneroso per il conduttore.

Secondo questa interpretazione, la norma attribuirebbe al giudice un potere di rivedere il contenuto del contratto in via equitativa, operando al di fuori dalle maglie strette degli artt. 1218 e 1223 c.c.

Anche questa ipotesi, così come il caso di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, presuppone un giudizio.

Tuttavia, in questo caso muta il soggetto che è costretto ad avviare il giudizio: non sarà il debitore a dover avviare il giudizio di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ma onerato sarà il creditore della prestazione, il quale dovrà offrire la prova del mancato rispetto delle misure anti-Covid da parte del debitore o dovrà provare che il rispetto delle misure non avrebbe impedito l'adempimento della prestazione.

Concludendo, la responsabilità può ritenersi esclusa non solo se la prestazione è diventata impossibile, ma anche se la prestazione, pur possibile, non sia stata effettuata o sia stata effettuata diversamente da quanto previsto dal contratto a causa del rispetto, da parte del debitore, delle misure di contenimento del Covid-19.


Avv. Marco Giliberti - Avvocato a Trapani

Lo Studio Legale & Tributario Giliberti, con l'Avv. Pasquale Giliberti, opera da oltre 25 anni nell'ambito del diritto civile, diritto del lavoro, diritto commerciale e nel recupero crediti. Da ultimo, l'Avv. Marco Giliberti ha acquisto la specializzazione in diritto tributario a seguito del master in diritto tributario tenuto presso la LUISS Business School.




Marco Giliberti

Esperienza


Diritto tributario

Conseguimento del Master in Diritto Tributario, Contabilità e Pianificazione Fiscale presso la LUISS Business School.


Diritto civile

Esperienza pluriventennale nell'ambito del diritto civile in generale.


Altre categorie:

Diritto di famiglia, Divorzio, Eredità e successioni, Unioni civili, Separazione, Matrimonio, Affidamento, Adozione, Tutela dei minori, Incapacità giuridica, Diritto commerciale e societario, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto bancario e finanziario, Usura, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto del lavoro, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Previdenza, Diritto sindacale, Diritto penale, Diritto amministrativo, Ricorso al TAR, Diritto immobiliare, Diritto condominiale, Locazioni, Diritto dei trasporti terrestri, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Diritto ambientale, Diritto e sicurezza alimentare, Diritto del turismo, Tutela degli anziani, Privacy e GDPR, Arbitrato, Mediazione, Negoziazione assistita, Cassazione, Domiciliazioni.


Referenze

Titolo professionale

Master di II livello conseguito presso Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali - Luiss School of Law

Luiss School of Law - 6/2018

Approfondimento in: Diritto Civile, Diritto Penale, Diritto Amministrativo, Diritto del Lavoro, Diritto Internazione, Diritto Commerciale, Diritto Tributario e Diritto dell'Unione Europea.

Esperienza di lavoro

Avvocato - Studio Legale & Tributario "La Commara & Partners"

Dal 6/2019 al 9/2019

Lo Studio si occupava specialmente di diritto tributario e di consulenza fiscale per imprese e persone fisiche.

Titolo professionale

Master di II livello in Diritto Tributario, Contabilità e Pianificazione Fiscale

LUISS Business School - 6/2019

Master annuale presso la LUISS Business School durante il quale si sono affrontate e approfondite tutte le tematiche relative al diritto tributario, con particolare riferimento a IRPEF, IRES, IVA, IRAP.

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