Pubblicazione legale:
1.
Introduzione
Con l’ordinanza n. 7500
depositata il 15 marzo 2019, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha
affermato il principio per cui, nel caso di insinuazione al passivo di un
credito comprensivo anche di interessi e rivalutazione monetaria, la mancata
statuizione del Giudice Delegato in relazione a tali voci di credito
costituisca un “rigetto implicito” e, come tale, debba essere oggetto di
opposizione allo stato passivo da parte del creditore.
Non risulta pertanto ammissibile
la domanda tardiva proposta dal creditore in relazione alle voci di credito già
oggetto di precedente istanza.
2.
La
fattispecie
La
pronuncia in commento trae origine dal contenzioso sorto tra uno studio legale
e la curatela del Fallimento Gasnavi Srl, in relazione al credito – a titolo di
interessi e rivalutazione monetaria – vantato dal primo.
Più in
particolare lo studio legale in questione subentrava nei diritti di credito di
un singolo professionista che ne aveva per l’appunto domandato, mediante
istanza di ammissione al passivo tempestiva, il riconoscimento, indicando nella
domanda la quota capitale, gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Ebbene
la curatela – ed il Giudice Delegato – riconoscevano al passivo la somma
capitale e gli oneri accessori (iva e cap), ma nulla statuivano in relazione
agli interessi ed alla rivalutazione.
Il
professionista non proponeva opposizione avverso lo stato passivo così formato.
Successivamente
lo studio legale presentava una domanda di insinuazione al passivo “tardiva” ai
sensi dell’art. 101 l. fall., chiedendo il riconoscimento degli interessi e
delle somme dovute a titolo di rivalutazione, da calcolarsi dalla data di
apertura del fallimento al soddisfo e con il medesimo grado privilegiato della
quota di credito già ammessa.
Il
Tribunale di Palermo rigettava la domanda ed il creditore impugnava così la
decisione.
La Corte
territoriale confermava la posizione del Tribunale di Palermo, osservando come
la mancata ammissione al passivo degli interessi e della rivalutazione
richiesti avesse valore di rigetto e come, in assenza di una impugnazione ad hoc, sul punto si fosse formato un
“giudicato”.
3.
La
decisione della Corte di Cassazione
Lo studio legale proponeva
ricorso per Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la falsa applicazione e
violazione di legge in relazione al principio di definitività dello stato
passivo fallimentare ed alla sua efficacia di “giudicato interno” nonché la
violazione e falsa applicazione del principio di irretroattività degli effetti della
sentenza resa dalla Corte Costituzione il 23.5.2001, ritenuta non applicabile
dalla Corte territoriale al caso in esame.
La Suprema Corte, nel rigettare
l’impugnazione, si soffermava ampiamente sui singoli motivi di ricorso.
In particolare, in relazione al
valore del “silenzio” serbato dal Giudice Delegato su alcune delle richieste
avanzate dal creditore (nel caso che ci occupa il riconoscimento degli
interessi e della rivalutazione monetaria sul credito vantato in linea capitale
a titolo di prestazioni professionali), la Corte confermava il proprio
orientamento (espresso, ex multis,
dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6060/2015) secondo cui, ove il creditore
partecipi al procedimento di formazione dello stato passivo attraverso la
formulazione di una istanza ex art. 93 l. fall., il Giudice Delegato debba
provvedere sulla relativa domanda. La mancata pronuncia sulla stessa – o la
parziale pronuncia – assume così valore di rigetto implicito, come tale
censurabile con ricorso in opposizione allo stato passivo.
Ed invero, secondo la Suprema
Corte, la domanda di insinuazione al passivo tardiva è ammissibile nella misura
in cui si differenzia - per oggetto e titolo della domanda - da quella
originaria, restando altrimenti “assorbita” dal precedente giudicato interno.
Diverso sarebbe stato il caso in
cui la domanda di insinuazione tempestiva non avesse riguardato anche il
riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria: in tale
ipotesi, infatti, trattandosi di questione “nuova”, la relativa istanza di
ammissione tardiva sarebbe risultata ammissibile.
In relazione invece alla mancata
applicazione da parte della Corte territoriale del principio statuito con la
pronuncia di illegittimità costituzionale resa nel 2001 (nds in cui la Consulta dichiarava incostituzionale l’art. 54 della
Legge Fallimentare nella parte in cui non estendeva il diritto di prelazione
agli interessi domandati in sede concorsuale come previsto dall’art. 2749 cc), la
Suprema Corte precisa come tale pronuncia non fosse applicabile al caso
concreto proprio in ragione del giudicato interno maturato e dunque del
carattere “consolidato” della posizione giuridica sottostante.
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