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La mancata pronuncia del Giudice Delegato in merito all’ammissione al passivo di una voce di credito costituisce rigetto implicito e va censurata con opposizione allo stato passivo

Scritto da: Mariangela La Pastina - Pubblicato su IUSTLAB




Pubblicazione legale:


1.                  Introduzione

Con l’ordinanza n. 7500 depositata il 15 marzo 2019, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui, nel caso di insinuazione al passivo di un credito comprensivo anche di interessi e rivalutazione monetaria, la mancata statuizione del Giudice Delegato in relazione a tali voci di credito costituisca un “rigetto implicito” e, come tale, debba essere oggetto di opposizione allo stato passivo da parte del creditore.

Non risulta pertanto ammissibile la domanda tardiva proposta dal creditore in relazione alle voci di credito già oggetto di precedente istanza.

 

2.                  La fattispecie

La pronuncia in commento trae origine dal contenzioso sorto tra uno studio legale e la curatela del Fallimento Gasnavi Srl, in relazione al credito – a titolo di interessi e rivalutazione monetaria – vantato dal primo.

Più in particolare lo studio legale in questione subentrava nei diritti di credito di un singolo professionista che ne aveva per l’appunto domandato, mediante istanza di ammissione al passivo tempestiva, il riconoscimento, indicando nella domanda la quota capitale, gli interessi e la rivalutazione monetaria.

Ebbene la curatela – ed il Giudice Delegato – riconoscevano al passivo la somma capitale e gli oneri accessori (iva e cap), ma nulla statuivano in relazione agli interessi ed alla rivalutazione.

Il professionista non proponeva opposizione avverso lo stato passivo così formato.

Successivamente lo studio legale presentava una domanda di insinuazione al passivo “tardiva” ai sensi dell’art. 101 l. fall., chiedendo il riconoscimento degli interessi e delle somme dovute a titolo di rivalutazione, da calcolarsi dalla data di apertura del fallimento al soddisfo e con il medesimo grado privilegiato della quota di credito già ammessa.

Il Tribunale di Palermo rigettava la domanda ed il creditore impugnava così la decisione.

La Corte territoriale confermava la posizione del Tribunale di Palermo, osservando come la mancata ammissione al passivo degli interessi e della rivalutazione richiesti avesse valore di rigetto e come, in assenza di una impugnazione ad hoc, sul punto si fosse formato un “giudicato”.

 

3.                  La decisione della Corte di Cassazione

Lo studio legale proponeva ricorso per Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la falsa applicazione e violazione di legge in relazione al principio di definitività dello stato passivo fallimentare ed alla sua efficacia di “giudicato interno” nonché la violazione e falsa applicazione del principio di irretroattività degli effetti della sentenza resa dalla Corte Costituzione il 23.5.2001, ritenuta non applicabile dalla Corte territoriale al caso in esame.

La Suprema Corte, nel rigettare l’impugnazione, si soffermava ampiamente sui singoli motivi di ricorso.

In particolare, in relazione al valore del “silenzio” serbato dal Giudice Delegato su alcune delle richieste avanzate dal creditore (nel caso che ci occupa il riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria sul credito vantato in linea capitale a titolo di prestazioni professionali), la Corte confermava il proprio orientamento (espresso, ex multis, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6060/2015) secondo cui, ove il creditore partecipi al procedimento di formazione dello stato passivo attraverso la formulazione di una istanza ex art. 93 l. fall., il Giudice Delegato debba provvedere sulla relativa domanda. La mancata pronuncia sulla stessa – o la parziale pronuncia – assume così valore di rigetto implicito, come tale censurabile con ricorso in opposizione allo stato passivo.

Ed invero, secondo la Suprema Corte, la domanda di insinuazione al passivo tardiva è ammissibile nella misura in cui si differenzia - per oggetto e titolo della domanda - da quella originaria, restando altrimenti “assorbita” dal precedente giudicato interno.

Diverso sarebbe stato il caso in cui la domanda di insinuazione tempestiva non avesse riguardato anche il riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria: in tale ipotesi, infatti, trattandosi di questione “nuova”, la relativa istanza di ammissione tardiva sarebbe risultata ammissibile.

In relazione invece alla mancata applicazione da parte della Corte territoriale del principio statuito con la pronuncia di illegittimità costituzionale resa nel 2001 (nds in cui la Consulta dichiarava incostituzionale l’art. 54 della Legge Fallimentare nella parte in cui non estendeva il diritto di prelazione agli interessi domandati in sede concorsuale come previsto dall’art. 2749 cc), la Suprema Corte precisa come tale pronuncia non fosse applicabile al caso concreto proprio in ragione del giudicato interno maturato e dunque del carattere “consolidato” della posizione giuridica sottostante.

 

 

 



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Mariangela La Pastina

Esperta in diritto civile e contenzioso