Pubblicazione legale:
Con la sentenza n. 7667 del 5 dicembre 209,
pubblicata il 3 aprile 2020, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha
affermato il principio per cui, in tema di adozione di maggiorenne e di
verifica delle condizioni di cui all’art. 291 c.c., occorra procedere ad una
interpretazione della norma costituzionalmente compatibile con l’art. 30 Cost.,
alla luce della lettura datane dalla giurisprudenza costituzionale e dell’art.
8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, per
consentire una ragionevole riduzione del divario di età minimo in ragione delle
situazioni familiari concrete consolidatesi nel tempo.
1.
Le
condizioni di cui all’art. 291 c.c.
Nel nostro ordinamento
l’adozione di persone maggiori di età è consentita alle persone che abbiano compiuto
i trentacinque anni e che superino di almeno diciotto anni le persone che
intendono adottare.
In casi particolari è
consentito al Giudice di autorizzare l’adozione da parte di soggetti che abbiano
compiuto i trenta anni, ferma restando la differenza di età minima richiesta.
La norma in parola è
stata posta alla attenzione della Corte Costituzionale in più occasioni, sia in
relazione alla potenziale disparità di trattamento tra la fattispecie di
adozione di maggiore di età, in cui è previsto il limite legale della
differenza di età, e quella della adozione di minori, sia in relazione alla
possibilità di adozione del maggiorenne anche per soggetti con figli.
Con la sentenza n. 557
del 11-19 maggio 1988, in particolare, la Consulta ha dichiarato la
illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non consente
l’adozione a persone che abbiano discendenti maggiorenni e consenzienti.
La Corte Costituzionale è
poi successivamente intervenuta con la pronuncia n. 245 del 2004, dichiarando
la illegittimità costituzionale dell’art. 291 c.c. nella parte in cui non
prevede il divieto di adozione di maggiorenne in presenza di figli naturali
riconosciuti dall’adottante minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti.
Tale ultima pronuncia
risulta invero superata dalla equiparazione, da parte del Legislatore del 2012,
tra figli “legittimi” e “naturali” e dalla conseguente soppressione di tale
distinzione semantica.
2. 2. La
fattispecie in esame
La pronuncia in commento tra origine dalla –
negata – richiesta di adozione di una donna maggiorenne da parte del convivente
della madre naturale della adottanda, in ragione della insussistenza del
divario minimo di età previsto dall’art. 291 c.c.
Tanto il Tribunale di Modena che la Corte
d’Appello di Bologna, nello specifico, respingevano la domanda dell’attore
ritenendo che non vi fossero speciali ragioni per giustificare la deroga al
requisito legale dell’intervallo minimo di età.
La parte proponeva ricorso per Cassazione,
denunciando, con il primo motivo, la illegittimità costituzionale dell’art. 291
c.c. nella parte in cui non consente al giudice di derogare in modo
discrezionale al limite del divario di età, ai sensi degli artt. 2, 3, 10 e 30
Cost.
La ricorrente spiegava in particolare come il
legame tra l’adottanda ed il compagno della di lei madre durasse da trentacinque
anni e fosse dunque ad ogni effetto equiparabile ad un rapporto di filiazione;
la differenza di età tra adottante ed adottanda era peraltro di diciassette
anni e quattro mesi.
Con gli altri tre motivi la parte denunciava la
violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per mancata
disapplicazione dell’art. 291 c.c. perché in contrasto con le citate norme
costituzionali; l’omesso esame di un punto decisivo per il giudizio, ovvero il
legame di unità familiare su cui l’adozione era fondata ed infine la
irragionevole disparità di trattamento tra adottandi maggiorenni e minorenni.
3. 3. La
decisione della Corte di Cassazione
La Prima Sezione ha accolto il ricorso,
analizzando, punto per punto, le doglianze sollevate dalla parte ed offrendo
una ampia panoramica della fattispecie in commento.
In relazione alla eccezione di legittimità
costituzionale sollevata, la Corte ha ritenuto di disattenderla, richiamando le
pronunce rese dalla Consulta in tema di disparità di disciplina tra l’adozione
di minore e di maggiorenne ed al limite della differenza di età che sussiste
sono nel secondo caso.
Ebbene la Corte Costituzionale, con la sentenza
n. 89 del 1993, ha ritenuto “razionalmente
giustificata” la diversità di disciplina delle tue tipologie di adozione,
sul presupposto per cui, nel caso di adozione di minore, ne vada tutelato lo
sviluppo e l’inserimento nel nucleo familiare ai fini della sua formazione “in
prospettiva”. Lo stesso interesse, secondo la Consulta, sarebbe attenuato – e
comunque di fatto non dovrebbe essere esaminato dal Giudice – nel caso di
adozione di maggiorenne, non presupponendo tale istituto l’instaurarsi o il
permanere della convivenza familiare né la soggezione alla potestà degli adottanti.
Analoghe considerazioni sono state svolte dalla
Corte Costituzionale con la pronuncia n. 500 del 2000, del pari richiamata
dalla Prima Sezione.
Nondimeno la Suprema Corte ha affermato il
principio per cui l’art. 291 c.c. sia suscettibile di interpretazione conforme
alle norme costituzionali ed al diritto vivente: la Prima Sezione, partendo dal
presupposto per cui il nucleo familiare interessato dalla adozione sia “consolidato e compatto da circa trenta anni”,
ha osservato come l’istituto della adozione di maggiorenni abbia nel tempo assunto
la diversa funzione di riconoscimento giuridico della relazione sociale ed
affettiva tra adottante ed adottato, in una ottica “solidaristica” ritenuta
meritevole di tutela.
In questa prospettiva il limite dei diciotto anni
previsto dall’art. 291 c.c. appare, a dire della Corte, “un’indebita ed anacronistica ingerenza dello Stato nell’assetto
familiare”, in contrasto con l’art. 8 CEDU, che pone agli Stati specifici
obblighi di rispetto della vita familiare.
La Prima Sezione ha poi richiamato il suo stesso
orientamento reso con la sentenza n. 354 del 1999, in cui veniva riconosciuto
ad un maggiorenne ed un minorenne, entrambi figli del coniuge dell’adottante,
il diritto alla adozione, al fine di garantire la unità del nucleo familiare di
cui faceva parte il comune genitore. Un simile principio, seppur reso su una
fattispecie diversa (nds presenza di
una adozione “mista”, di un figlio maggiore e di uno minore), viene dalla Corte
ritenuto applicabile per analogia al caso di specie, essendo fondato sulla
medesima ratio, ovvero la tutela
della unità familiare, garantita dall’art. 30 Cost. e dall’art. 8 CEDU.
Nell’ottica dunque di coerenza con l’intero
sistema normativo, come implicitamente confermato dal comma 2 dell’art. 12
delle preleggi, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice, nell’applicare
l’art. 291 c.c., possa - avuto riguardo alle circostanze specifiche del caso -
derogare al requisito legale di età richiesto e ridurre ragionevolmente tale
divario, al fine di tutelare situazioni familiari consolidate.
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