Pubblicazione legale:
Il
testamento olografo rappresenta la forma più semplice di espressione
delle ultime volontà, ma la sua validità è spesso oggetto di
analisi complesse, specialmente nell'ambito della grafologia forense.
Una questione di particolare rilievo, affrontata dalla Corte di
Cassazione con la sentenza n. 26791/2016, riguarda la possibilità di
riconoscere una lettera autografa, indirizzata a uno o più eredi,
come un testamento legittimo ai sensi dell’articolo 602 del codice
civile. Secondo i giudici di legittimità, la forma della missiva non
preclude la validità dell'atto, purché sussistano i requisiti
essenziali previsti dall'ordinamento.
Il primo
di questi requisiti è l’autografia: il testo deve essere
interamente scritto di pugno dal testatore, senza l’ausilio di
mezzi meccanici o informatici. La giurisprudenza ha chiarito che non
importa il materiale utilizzato — che può essere carta, stoffa o
legno — né lo stile del carattere, essendo ammesso anche lo
stampatello, come confermato dalla sentenza n. 31457/2018. Qualora la
grafia appaia forzata o innaturale, il ricorso alla perizia
grafologica diventa lo strumento necessario per accertare la
spontaneità del gesto grafico e la riconducibilità dell'atto al suo
autore.
Un
secondo elemento cruciale è la data, che deve contenere giorno, mese
e anno. Essa può essere apposta all'inizio o alla fine delle
disposizioni e la sua mancanza o incompletezza comporta
l’annullabilità del testamento. È importante sottolineare che la
data presente sulla busta non può integrare una data mancante nel
testo interno. La precisione cronologica è fondamentale non solo per
stabilire quale sia l'ultimo testamento efficace tra più schede, ma
anche per verificare la capacità di intendere e di volere del
testatore al momento della redazione.
Infine,
la sottoscrizione deve essere apposta di pugno al termine delle
disposizioni. Sebbene sia valida una firma con pseudonimo o
vezzeggiativo, purché identifichi con certezza il testatore, la sua
totale assenza rende il testamento nullo. La sentenza n. 10065/2020
ha ribadito che un testamento privo di firma non può essere sanato
neppure dall'esecuzione volontaria degli eredi, poiché manca la
prova stessa della volontà del defunto. In conclusione, una lettera
può a tutti gli effetti disporre di un'eredità, a patto che dal
testo emergano in modo inequivocabile l'autografia e l'intenzione
seria di disporre dei propri beni per il tempo in cui si avrà
cessato di vivere.