Avvocato Massimo Baldi Pergami Belluzzi a Roma

Massimo Baldi Pergami Belluzzi

Avvocato cassazionista a Roma

About     Contatti






IL DIRITTO DI MORIRE

Scritto da: Massimo Baldi Pergami Belluzzi - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Il 30 gennaio 2020 sono state depositate le motivazioni della sentenza con le quali la Corte d’Assise di Milano ha assolto con formula piena Marco Cappato.

Il noto esponente radicale era imputato per i reati di rafforzamento e aiuto al suicidio prestato a Fabiano Antoniani (per noi, da adesso in avanti, solo Dj Fabo).

Il reato in questione è previsto e sanzionato dall'art. 580 del codice penale il quale punisce con una pena da cinque a dodici anni di reclusione, se il suicidio si verifica, "Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione...".

Sostanzialmente, Marco Cappato rischiava una pena molto severa, sia in relazione all'istigazione al suicidio (l'istigazione consiste nell'induziuone di qualcuno a suicidarsi facendone sorgere o rafforzandone il convincimento), sia in relazione all'agevolazione dell'esecuzione (averlo accompagnato nella clinica svizzera dove Fabo ha posto fine alla sua esistenza).

Vedremo più avanti come la Corte di assise affronti entrambe i temi.

La vicenda è tristemente nota ma è il caso di ripercorrerla, non certo per morbosa riproposizione di una vicenda umanamente e emotivamente molto toccante perchè potenzialmente riguardante tutti noi, ma per comprendere le motivazioni con le quali la Corte Costituzionale prima, con la sentenza n. 242 del 2019 che possiamo definire senza tema di smentita, storica, e la Corte di assise poi, hanno affrontato e risolto la tematica del c.d. suicidio assistito.

Il 13 giugno 2014 Dj Fabo rimane vittima di un grave incidente stradale restando tetraplegico e cieco in modo permanente (cecità bilaterale corticale, per amor di precisione!)

Da allora, DJ FABO non è più autonomo nella respirazione, nè nell’alimentazione e nell’evacuazione. Potremmo già fermarci qui, ma purtroppo la vita, quando si accanisce, lo fa in maniera crudele e quindi Fabo è anche spesso soggetto a spasmi e contrazioni ma – e forse questa era il suo vero dramma- conserva, intatte le facoltà intellettive- pertanto capisce tutto ed è perfettamente lucido-.

A nulla servono ricoveri continui, trapianti di cellule e tutte le possibli terapie che la scienza medica era ed è tuttora in grado di mettere a disposizione di Fabo.

Ma Fabo non ci sta.

Quella per lui non è vita.

Quella per lui è morte travestita da vita.

E comunque, quella non è la vita che può accettare e tollerare di voler vivere.

Si potrebbe affermare, in termini giuridicamente più corretti, che sta esercitando il suo pieno, incoercibile ed incomprimibile diritto di autodeterminarsi e ed ha deciso di autodeterminarsi cosi.

È allora che si viene a sapere che in Svizzera esiste un luogo in cui il suicidio assistito viene pratichato, perchè gli svizzeri non sono avanti solo in fatto di orologeria e di banche, ma anche di diritti civili.

È solo in quel momento che contatta Marco Cappato, noto esponente radicale ed impegnato nella tutela dei diritti dei malati terminali con l'associazione LUCA COSCIONI.

Per farla breve, a fine febbraio 2017 Marco Cappato accompagna Fabo in Svizzera dove il 27 febbraio 2017, Fabo pone fine alla sua vita evadendo da quella prigione in cui si sentiva rinchiuso senza aver fatto nulla per meritarlo.

Lo fa- circostanza di non poco conto- azionando da solo, con la bocca, uno stantuffo, iniettandosi nelle vene il farmaco letale.

Di ritorno dal viaggio, Marco Cappato si va ad autodenunciare ai carabinieri.

In un mondo in cui ministri e parlamentari si trincerano dietro le autorizzazioni a procedere ed immunità parlamentare, lui si va ad autodenunciare e lo fa rischiando in prima persona, per sostenere un principio valido per tutti noi, ovvero che della nostra vita facciamo quel che ci pare.

Il tema che cercheremo di sviluppare in questo articolo è se Fabo aveva il diritto di decidere della sua vita o no, se aveva il diritto di finirla anzitempo; e se colui che lo stava aiutando nel suo intento, poteva farlo o no.

Rispetto al primo tema, la questione- diciamolo subito- ha poco a che fare con il diritto e molto con l'ideologia.

Esistono numerosi scritti di diritto, bioetica, teologia, financo medicina e certamente filosofia, che affrontano il tema della disponibilità (ovvero del diritto di disporre come ci pare e piace) del bene "vita".

Per quanto lo sforzo di definirne i confini sia titanico, la risposta è sempre la stessa e fa il paio con l'altro tema gigantesco, ovvero quello dell'esistenza di Dio.

Dipende sempre e solo dal punto di vista da cui si guardano le cose.

Per un laico, liberale o progressista, la vita è qui e ora, e quindi il bene vita è un bene dispobilile di cui poter fare quel che si vuole.

Per un cattolico, o più banalmente per chi pensa che la vita non finisca qui, il bene vita è un bene di cui noi siamo solo custodi, che deriva ed appartiene a Dio e di cui non possiamo disporre.

Tra questi due estremi, si collocano una serie di ipotesi intermedie ed ipocrisie varie (come quella di mantenere artificialmente in vita un soggetto che secondo lo scorrere naturale degli eventi- quindi in base al volere di Dio- morirebbe in pochi minuti).

Pertanto, il tema della disponibilità del bene "vita" non troverà mai una risposta certa, se non quella- parziale- che postula l'idea che in uno stato laico, anticlericale e non confessionale, l'approccio ideologico di ispirazione religiosa non può trovare ingresso come principio generale, ma solo all'interno delle coscienze dei singoli.

Chiarito – o rimandato- questo primo tema, (che comunque la Corte implicitamente affronta stabilendo che il bene vita, a determinate condizioni, è un bene disponibile) si pone il secondo problema, ovvero quello di chi agevola le scelte individuali o più banalmente le rende possibili.

La Corte Costituzionale, con una sentenza storica, che ricorderemo a lungo, ancor più rivoluzionaria perchè resa in Italia, alle porte del Vaticano, scontentando le gerarchie ecclesiastiche ed una pletora di bigotti che sanno giudicare sempre il comportamento altrui, con una lunga ed articolata motivazione che per motivi di spazio evitiamo di riportare ma che è facilmente rinvenibile su internet, ha dichiarato non punibile "chiunque agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".

Pertanto, la Corte Costituzionale, ha escluso la punibilità (o, rectius, la configurabilità stessa del reato) di chi agevola un soggetto, nel suo intento di porre fine alla propria esistenza, nel caso vi sia la compresenza di quatto circostanze riferibili al malato:

a) presenza di una patologia irreversibile;

b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che il malato reputa intollerabili;

c) mantenimento in vita del malato tramite sussidi medici;

d) capacità del malato di decidere autonomamente, liberamente e consapevolmente il da farsi.

La compresenza di queste circostanze dovrà essere stato attestata da un organo di natura medica, segnatamente una truttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

La Consulta, così decidendo, ha di fatto legalizzato il suicidio assistito di un malato terminale, decisosi liberamente a porre fine alle proprie sofferenze terrene.

Ecco allora che la Corte d’Assise di Milano, in ottemperanza ai suesposti principi, compie due valutazioni: ovverso se Cappato avesse istigato Fabo a suicidarsi, rafforzandone il convincimento, ovvero se lo avesse aiutato a farlo.

Sul primo aspetto, su cui la Corte Costituzionale non si era pronunciata, la Corte di assise esclude tale ipotesi basandosi sul fatto che Cappato avesse incontrato Fabo solo alla fine del suo percorso, quando Fabo aveva già deciso il da farsi.

Quindi Cappato non aveva in alcun modo inciso sulla capacità di DJ Fabo di decidere per sè.

Per arrivare a dimostrare questa circostanza, la Corte evidenzia come Fabo avesse maturato talmente tanto tale decisione, in modo autonomo, da essersi spinto in passato a rifiutare il cibo per molti giorni pur di dimostrare la propria determinazione, confermata anche dala persona che affiancava la madre e la fidanzata nel provvedere alle sue cure.

Cappato, pertanto, aveva solo preso atto di questa ferma volontà, senza contribuire in alcun modo alla decisione, già assunta, da Fabo.

Ma rimane il secondo tema. Quello dell'aiuto al suicidio.

E sul punto, la Corte applica in modo rigido le indicazioni della Consulta.

Ed accerta come Fabo fosse indubitabilmente affetto da una patologia- in quel momento ed allo stato dell'arte della scienza medica- incurabile (purtroppo lo è tuttora!).

Che era afflitto da indicibili sofferenze, come riferito dall'Anestesista-rianimatrice che ha evidenziato che tali sofferenze non potevano essere lenite completamente neppure con l'uso di forti antidolorifici.

Che era mantenuto in vita da macchine, non potendo nè respirare, nè alimentarsi nè evaquare autonomamente (cento anni fa il problema non si sarebbe neppure posto. La natura avrebbe fatto il suo corso. Con buona pace di tutti. Ma oggi il problema esiste e va affrontato).

E che, come evidenziato in precedenza, si era determinato autonomamente a compiere quel gesto.

E quindi Marco Cappato, o qualunque medico o familiare si trovasse nelle medesime condizioni, non poteva- e non potrà - essere imputato di aiuto al suicidio.

Il resto è storia giudiziaria.

È la scelta della Corte di assolvere Cappato perchè il fatto non sussiste in luogo dell'assoluzione perchè il fatto non costituisce reato. Il tema probabilmente appassionerebbe più i processualpenalisti che i lettori (anche se Franco Cordero, il maestro della procedura penale di chi oggi vi scrive avrebbe approvato la decisione dei giudici).

È la storia di pianti.

Di ricordi.

Del coraggio di scegliere.

Del coraggio di accettare la scelta altrui anche se non la condividiamo.

Del coraggio di crescere.

Del coraggio di andare avanti, senza dimenticarci di chi ci ha aiutato a farlo, anche a costo della vita.

Giustizia è fatta.

Massimo Baldi Pergami Belluzzi






Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi - Avvocato cassazionista a Roma

LO STUDIO BALDI PERGAMI BELLUZZI, fondato dall’Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi, ha sede a via Cicerone 28, nel centro storico di Roma, davanti alla Suprema Corte di Cassazione. L’Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi, iscritto all’albo degli avvocati di Roma ed abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte Costituzionale assiste società e privati nel contenzioso nelle aree del diritto civile, commerciale, industriale, tributario, del lavoro, amministrativo, diritto penale-tributario,




Massimo Baldi Pergami Belluzzi

Esperienza


Diritto tributario

Esperienza consolidata di oltre 15 anni in materia di diritto tributario e di diritto penale tributario


Diritto penale

Esperienza consolidata di oltre 15 anni in ambito penale, in particolar modo per reati da "colletti bianchi" societari, tributari.


Marchi

Specializzazione in materia di marchi, sia in ambito civile, sia penale


Altre categorie:

Diritto condominiale, Cassazione, Diritto civile, Diritto di famiglia, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Affidamento, Adozione, Diritto commerciale e societario, Fusioni e acquisizioni, Fallimento e proc. concorsuali, Proprietà intellettuale, Brevetti, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto del lavoro, Mobbing, Licenziamento, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Ricorso al TAR, Aste giudiziarie, Locazioni, Sfratto, Incidenti stradali, Tutela del consumatore, Arbitrato, Gratuito patrocinio.


Referenze

Esperienza di lavoro

Managing Partner (socio Gerente) - Studio legale Baldi Pergami Belluzzi

Dal 1/2005 - lavoro attualmente qui

Studio boutique specializzato in tutte le branche del diritto grazie al lavoro di numerosi collaboratori e assistenti Riferimenti nel sito www.baldipb.com

Pubblicazione legale

Le operazioni inesistenti. Aspetti problematici

Pubblicato su IUSTLAB

Con la sentenza n. 13747 del 2018 la Corte di Cassazione Sez. ha avuto modo di affermare che " “ ..... il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, punito dall'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia in quella di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nel caso di sovrafatturazione "qualitativa", in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. ” (Di recente in senso analogo si rinviene la sentenza della Suprema Corte n. 24105 del 23 marzo 2018. In senso analogo vedi anche Cass. pen. Sez. III, n. 2835, 2013). Alla luce di questo arresto giurisprudenziale, nonchè del successivo avutosi con la Sentenza n. 21996 del 02/03/2018 molti commentatori si sono affrettati a sostenere come la S.C. abbia voluto affermare il principio secondo cui in tema di dichiarazione fraudolenta a mezzo fatture per operazione inesistenti (art. 2 Dlgs 74/2000), il concetto di "inesistenza" ricomprenda accanto all’ipotesi di inesistenza oggettiva o soggettiva, anche l'ipotesi di inesistenza giuridica . Sempre secondo la dottrina espressasi anteriormente al 2015 e la citata giurisprudenza, la categoria delle operazioni oggettivamente inesistenti comprendrebbe le operazioni non realmente effettuate da un punto di vista fattuale . Tale inesistenza oggettiva si confiurerebbe, pertanto, quando l'operazione non esiste in rerum natura ( ad esempio, viene emessa la fattura per l'acquisto di un computer ma il computer non è stato mai venduto, ma l'iva e l'imponibile della fattura vengono posti in detrazione dal falso acquirente ) Tuttavia, sia la giurisprudenza, nella citata sentenza, sia parte della dottrina, ritenevano anche " oggettivamente " inesistenti, il negozio simulato, ovvero un'operazione nella quale le parti davano alla prestazione una qualificazione "giuridica"diversa al fine di creare un vantaggio fiscale alla controparte . (un caso tipico, sarebbe quello del contratto di mutuo "rivestito" da contratto di leasing, al fine di permettere all'utilizzatore del bene di ottenere un vantaggio fiscale.) Questa tipologia di inesistenza oggettiva, qualificata come " inesistenza giuridica ", consisterebbe quindi in una difforme vestizione giuridica del negozio, che in modo simulato viene qualificato in modo difforme con evidenti vantaggi fiscali di una delle parti. Parte della dottrina, tuttavia, si opponeva a tale approccio, che avrebbe reso "censurabile" qualsiasi tipo di operazione- anche se lecita ed esistente- ed avrebbe esposto il contribuente all'arbitrio dell'Amministrazione, la quale avrebbe potuto sempre contestare ogni negozio giuridico, laddove ritenuto simulato, anche in considerazione del fatto che, quasi sempre la presunta illiceità di una operazione viene desunta a posteriori tramite presunzioni, gravi precise concordanti e non ex ante sulla base di elementi concreti di prova certa. A tutto voler concedere, comunque, tale categoria di inesistenza per simulazione e giuridica tout court , avrebbe dovuto trovare albergo nell'art. 3 della normativa che, in quel momento, puniva il contribuente che con " altri artifici " riduceva il suo imponibile soggetto ad imposta. Ricordiamo però come la norma di cui all'art. 3, prevedeva- e prevede tuttora- delle soglie di puniblità, così di fatto limitando i poteri delle Procure nella contestazione dei reati,. Ecco perchè, nella pratica, le Procure procedevano quasi sempre alla contestazione dell'art. 2, che non prevedeva alcuna soglia di punibilità. Da ultimo, la c.d. Inesistenza soggettiva , si verifica quando i soggetti indicati nel documento fiscale non sono i reali soggetti fra i quali è intercorsa l’operazione. (es. Un appalto viene eseguito dalla ditta "ALFA" a favore del committente "BETA" ma la fattura la emette, in luogo di ALFA, la società "GAMMA" - che magari ha crediti di imposta e quindi può avere corrispettivi senza poi versare le imposte all'erario- a favore della società " DELTA", che così si pone in detrazione il costo). Tale operazione è indubitabilmente riconducibile all'inesistenza soggettiva sanzionata con l'articolo 2 Dlgs 74/2000. Una particolare forma di inesistenza soggettiva è rinvenibile nella c.d. interposizione fittizia e interposizione reale di persona. L’interposizione fittizia si ha quando nel documento figuri una determinata parte quando in realtà gli effetti del negozio si producono nei confronti dell’interponente. Un’operazione del genere richiede la presenza di tutti e tre i soggetti, mentre nell’interposizione reale, detta anche fiduciaria, l’interposto, d’accordo con l’interponente, contratta con il terzo senza che quest’ultimo ne sia a conoscenza. L’interposto contratta con il terzo, ma la sua contrattazione è viziata dall’accordo di trasferire gli effetti del negozio al reale contraente. Secondo l'opinione prevalente- nonostante arresti giurisprudenziali difformi- l'interposizione reale- quindi ignota al terzo- è un'operazione lecita, in quanto il terzo non è al corrente delle reali intenzioni delle altre due parti, e comunque esistente, quindi non penalmente rilevante. La questione dell'inesistenza giuridica testè affrontata è stata parzialmente modificata e risolta nel 2015, quando il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha modificato la normativa, ed in particolare ha modificato l'art. 3, che quindi ha assunto il seguente tenore: " 1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, e' punito con la reclusione tre a otto anni (1) chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente : a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, e' superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali." Alla luce della modifica di questa norma, una parte degli studiosi ha ritenuto nuovamente che l’inesistenza giuridica dovesse essere qualificata come inesistenza oggettiva e pertanto, potesse essere contestato l'art. 2- privo di soglie di punibilità-. Una seconda tesi dottrinaria, ritiene invece che l'inesistenza giuridica dovesse rientrare esclusivamente nel concetto di operazioni simulate oggettivamente di cui all’art. 3 d.lgs 74/2000, così come delineato dal novellato art.1, lettera g-bis)27, in quanto operazioni che i contraenti “in parte” non intendono realizzare. La stessa dottrina ritiene sempre, come già evidenziato nel vigore della disciplina previgente, che la definizione di operazioni inesistenti di cui all’art. 1 lettera a) si riferisca alle operazioni non “realmente” effettuate, comprendendo soltanto le operazioni materialmente inesistenti. La tesi preferibile appare quella secondo cui si considerino inesistenti solo le operazioni mai poste in essere in natura o poste in essere da soggetti diversi, mentre se viene contestata la natura giuridica dell'operazione o lo strumento utilizzato, si applicherà l'art. 3 che prevede soglie di punibilità e che prevede l'assolvimento di un onere probatorio maggiore al fine di accertare la reale volontà fraudolenta delle parti a porre in essere un'operazione simulata oggettivamente.

Pubblicazione legale

INVALIDITA' DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO PER OMESSA SOTTOSCRIZIONE DA PARTE DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO DI ISCRIZIONE A RUOLO DEL CREDITO TRIBUTARIO

Pubblicato su IUSTLAB

Una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione ( Civile Sent. Sez. 5 Num. 26895 Anno 2019 Presidente: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI ), ha affrontato un tema molto rilevante in materia di validità delle cartelle di pagamento (comunemente note come CARTELLE ESATTORIALI) in assenza di sottoscrizione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo del credito tributario. Tale sentenza permette approfondire il tema giuridico dei ruoli esattoriali e quello della loro validità ed efficacia. A) Il concetto di " iscrizione a ruolo esattoriale" si riferisce all’attività che la pubblica amministrazione (c.d. Amministrazione finanziaria ) creditrice di somme verso il privato (c.d. Contribuente ) in base ad atti quali avvisI di accertamento, di liquidazione o di irrogazione di sanzione (anche, a titolo esemplificativo, del codice della strata, irrogate da enti previdenziali ed assistenziali), omesso versamento di imposte e tributi, ecc. (il novero è alquanto vasto e variegato) comunica tale posizione creditoria al soggetto (c.d. Agente della Riscossione ) che si occuperà di tentare di recuperare quanto dovuto all'Amministrazione. In sostanza, con l'iscrizione a ruolo, si passa dalla fase di accertamento alla fase di esecuzione e il dossier della pratica viene trasferito, per competenza, all'agente della riscossione (attualmente Agenzia delle Entrate Riscossione, già Equitalia). Il documento che viene inviato dall’amministrazione finanziaria, viene definito "ruolo". B) Il ruolo, ai sensi dell’art. 10 DPR 602/73, è l’elenco nominativo dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’Ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario, di solito Agenzia delle Entrate riscossione. Il ruolo contiene l’indicazione: dei dati anagrafici del contribuente; del suo codice fiscale; della natura del ruolo e del credito per il quale si chiede di procedere all'esecuzione forzata; della data in cui il ruolo diviene esecutivo; del riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, della motivazione, anche sintetica, della pretesa tributaria; del periodo di imposta, delle somme dovute con separata indicazione e descrizione di ogni componente il credito erariale, del totale iscritto a ruolo, del numero di rate in cui il ruolo deve essere riscosso, importo e cadenza di ciascuna di esse. C) Cosa diversa dal ruolo è il c.d.“ estratto di ruolo ” è invece l’elenco delle somme dovute da ogni singolo debitore. D) La Pubblica Amministrazione creditrice delle somme contenute nel Ruolo, sulla base di quanto disposto dell’art. 24 DPR 602/73 coordinato con il D.M. 3/9/1999 n. 321, consegna via telematica il ruolo al concessionario per la riscossione il quale, a sua volta, notifica la cartella di pagamento al debitore. La cartella deve contenere, a pena doi invalidità, ai sensi dell’art. 25 DPR 602/1973, l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. La cartella, in base a quanto stabilito da decreto del Ministero delle Finanze, deve contenere interessi e sanzioni distinti per codice e descrizione. E) La cartella di pagamento può essere impugnata entro 60 giorni dalla notifica della stessa. Si sostiene che quando il ruolo deriva da un precedente avviso di accertamento, di liquidazione o di irrogazione di sanzione - che deve già essere stato oggetto di precedente comunicazione al debitore - la cartella può essere opposta soltanto per vizi propri, quali, ad es., la mancata indicazione degli elementi essenziali della cartella previsti dalla legge, la notifica irregolare, ecc.. Diversamente il contribuente può contestare anche i profili attinenti il merito della pretesa tributaria qualora – come nel caso di controlli automatici ex art. 36-bis DPR 600/73 o formali ex art. 36-ter DPR 600/73 - la cartella rappresenta il primo atto impositivo notificato al contribuente. F) Tra i possibili profili, di invalidità della cartella di pagamento, va individuata anche l'omessa indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Infatti, ai sensi dell'art. 36, comma 4-ter, del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248, la cartella di pagamento di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, deve contenere a pena di nullità, l'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. La mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento consegnati all'agente della riscossione a far data dal 1° giugno 2008, comporta l'invalidità della certella di pagamento impugnata. Con tale decisione, la Corte di Cassazione ( Sent. Sez. 5 Civile Num. 26895 Anno 2019, ha annullato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto detto profilo assolutamente superabile e, comunque, non comportante l'invalidità della cartella di pagamento mpugnata.

Leggi altre referenze (8)

Lo studio

Studio Legale Baldi Pergami Belluzzi
Via Cicerone 28
Roma (RM)

Contatti:

Telefono WhatsApp Email

Per informazioni e richieste

Contatta l'Avv. Baldi Pergami Belluzzi:

Contatta l'Avv. Baldi Pergami Belluzzi per sottoporre il tuo caso:

Nome e cognome:
Città:
Email:
Telefono:
Descrivi la tua richiesta:
Telefono WhatsApp Email

Accetto l’informativa sulla privacy ed il trattamento dati

Telefono Email Chat
IUSTLAB

Il portale giuridico al servizio del cittadino ed in linea con il codice deontologico forense.
© Copyright IUSTLAB - Tutti i diritti riservati
Privacy e cookie policy