Avvocato Massimo Baldi Pergami Belluzzi a Roma

Massimo Baldi Pergami Belluzzi

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LA RESPONSABILITÀ DEI CONSULENTI CONTABILI E DEL LAVORO PER I REATI TRIBUTARI COMMESSI DAI PROPRI CLIENTI

Scritto da: Massimo Baldi Pergami Belluzzi - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Con una recente sentenza, la n. 28158/2019, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla questione della configurabilità della responsabilità, a titolo di concorso, del professionista, in partticolare il consulente contabile (ragioniere o commercialista che sia o anche consulente del lavoro) per i reati tributari commessi dai propri clienti e, nella fattispecie, del commercialista per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti.

Ancorché tale sentenza non sia particolarmente innovativa, ripercorrendo piuttosto l’evoluzione giurisprudenziale sul punto e confermando gli approdi già raggiunti, la questione ivi affrontata merita oggi una rinnovata attenzione, considerato che il c.d. decreto “carcere agli evasori” (Decreto-legge n. 124 del 26 ottobre 2019, poi convertito in legge con Legge n. 157 del 19 dicembre 2019) ha inasprito le pene per chi si macchia di reati tributari e, dunque, anche per chi – potenzialmente anche il consulente del “contribuente disonesto” – vi concorra.

Ebbene, è noto che i reati tributari, di cui alla D. Lgs. 74/2000, sono in buona parte dei c.d. reati “propri” o a soggettività ristretta, ossia il cui autore ricopre una qualifica o un ruolo precisamente individuato dal legislatore (rappresentante legale, amministratore unico, amministratore delegato, sindaco, liquidatore ecc.); inoltre, le condotte che integrano tali delitti sono tipizzate in tutti i loro elementi.

Di conseguenza, non ricoprendo, di solito, il professionista alcuna di quelle determinate qualifiche e non mettendo egli stesso in atto – perlomeno materialmente – quelle condotte espressamente previste dalla legge, si potrebbe arrivare all'estrema- ed erronea- conclusione di ritenere che quest’ultimo sia sempre esente da responsabilità per le condotte di reato commesse dal proprio cliente.

Invero, le norme sul concorso di reato consentono di punire altresì soggetti terzi che commettano condotte atipiche poste in un rapporto di “efficacia causale” rispetto alla commissione del reato.

Conseguentemente, la Suprema Corte ha ribadito il principio, in realtà già consolidato, che ben può sussistere una siffatta responsabilità penale, a titolo di concorso, in capo al commercialista, rispetto al reato commesso dal proprio cliente, precisando che è a tal fine sufficiente il c.d. “dolo eventuale”, ossia la mera prospettazione ed accettazione – da parte del professionista – del rischio che l’attività svolta nell’interesse del cliente-contribuente possa essere finalizzata alla commissione del reato tributario.

Quanto detto fin ora non deve, comunque, portare all'eccesso opposto, ovvero quello di ritenere che il professionista, variamente inteso, abbia una posizione di garanzia rispetto ai delitti commessi dal proprio cliente, in virtù della quale possa essere chiamato a rispondere per non aver controllato o non aver dissuaso condotte illecite proprie del contribuente.

Invero, la giurisprudenza ha tentato di fissare dei criteri quanto più possibile obbiettivi per definire i labili confini fra l’attività professionale lecita e non penalmente rilevante, e quella che, invece, oltrepassi i limiti della legalità, mettendo in campo competenze tecniche a favore della commissione di reati.

La Suprema Corte, nell'esercizio della propria funzione nomofilattica, ha stabilito che il giudice di merito, chiamato a decidere in ordine alla partecipazione del professionista al reato del contribuente, dovrà affrontare principalmente due questioni: 1) quella del “contributo causale” apportato dalla condotta del professionista alla realizzazione del fatto tipico, valutando se, in assenza di quel contributo, il reato non si sarebbe verificato o comunque avrebbe avuto minor probabilità di riuscita; 2) quella della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo richiesto della norma, anche nella forma del c.d. dolo eventuale.

Il contributo penalmente rilevante, secondo i criteri individuati dalla giurisprudenza, è quello che agevoli il reato o rafforzi il proposito delittuoso. Esso può manifestarsi sotto forma sia di concorso morale (è il caso, ad esempio, di consulenze che sfocino nella istigazione, nell’agevolazione, nell’ideazione o nella programmazione del reato), sia di concorso materiale.

Anche in quest’ultima ipotesi – chiariscono i giudici di legittimità nella sentenza sopra menzionata – può essere penalmente rilevante anche una condotta diversa da quella tipica prevista nella fattispecie delittuosa, “fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata”.

Nella fattispecie oggetto della sentenza in questione, l’efficienza causale del contributo del professionista rispetto alla commissione del reato appariva piuttosto evidente, in quanto ricavabile da diverse circostanze obbiettive, tra cui: 1) la predisposizione da parte dello stesso della documentazione contraffatta destinata a supportare le fittizie appostazioni contabili nelle relative dichiarazioni fiscali; 2) la sua attiva partecipazione nelle vicende societarie; 3) la accessibilità da parte dello stesso al sistema informatico della società per ottenere report contabili; 4) il suo ruolo di consulente fiscale della Società contribuente e di tutte le società facenti capo alla stessa, alcune delle quali avevano anche sede presso il suo studio; 5) una serie di intercettazioni da cui emergeva la sua preoccupazione per alcuni controlli da parte della Guardia di Finanza, nonché la sua decisa volontà di prodigarsi per la “sistemazione documentale” di vistose irregolarità contabili.

Per quanto attiene, invece, all’elemento soggettivo che, nella fattispecie, è quello del dolo specifico da individuarsi, ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. 74/2000, nel “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, pare vi sia, nel caso in esame, una certa sovrapposizione fra gli elementi da cui emerge il contributo fattuale e quelli da cui emerge la consapevolezza e l’accettazione da parte del professionista delle specifiche finalità criminali del contribuente.

Ciò, invero, è del tutto ragionevole, alla luce del significativo coinvolgimento del consulente fiscale nella preparazione materiale del reato, dal quale è agevole ricavare il dolo senza la necessità di una motivazione particolarmente rafforzata, come quella che, d’altro canto, si esigerebbe nel caso di concorso morale o comunque di un apporto minore sotto il profilo materiale.

È evidente, poi, che la configurabilità del reato anche in caso di dolo meramente eventuale, rende, da un lato, maggiormente possibile l’integrazione del delitto tributario a titolo di concorso, dall’altro, meno pregnante l’obbligo di motivazione da parte del giudice di merito sulla sussistenza dell’elemento soggettivo.

È, comunque, doveroso precisare che il caso qui affrontato pare connotato da una particolare evidenza della prova e, come si è detto, da una partecipazione attiva alla realizzazione del reato nella sua fase preparatoria.

Ma, certamente, l’assistenza tecnica dei professionisti ai propri clienti contribuenti non ha sempre tali caratteri di concretezza e materialità, risolvendosi spesso in mera attività di consulenza e pareristica.

In questi casi, in cui è profilabile in astratto un c.d. concorso morale, l’analisi dell’elemento soggettivo dovrà essere più rigorosa, dovendo il giudice valutare se il professionista abbia agito con neutralità o, diversamente, abbia avuto un ruolo di ideazione e programmazione, o, comunque, di istigazione o agevolazione del delitto.

Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi


Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi - Avvocato cassazionista a Roma

LO STUDIO BALDI PERGAMI BELLUZZI, fondato dall’Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi, ha sede a via Cicerone 28, nel centro storico di Roma, davanti alla Suprema Corte di Cassazione. L’Avv. Massimo Baldi Pergami Belluzzi, iscritto all’albo degli avvocati di Roma ed abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte Costituzionale assiste società e privati nel contenzioso nelle aree del diritto civile, commerciale, industriale, tributario, del lavoro, amministrativo, diritto penale-tributario,




Massimo Baldi Pergami Belluzzi

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Pubblicazione legale

Le operazioni inesistenti. Aspetti problematici

Pubblicato su IUSTLAB

Con la sentenza n. 13747 del 2018 la Corte di Cassazione Sez. ha avuto modo di affermare che " “ ..... il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, punito dall'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia in quella di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nel caso di sovrafatturazione "qualitativa", in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. ” (Di recente in senso analogo si rinviene la sentenza della Suprema Corte n. 24105 del 23 marzo 2018. In senso analogo vedi anche Cass. pen. Sez. III, n. 2835, 2013). Alla luce di questo arresto giurisprudenziale, nonchè del successivo avutosi con la Sentenza n. 21996 del 02/03/2018 molti commentatori si sono affrettati a sostenere come la S.C. abbia voluto affermare il principio secondo cui in tema di dichiarazione fraudolenta a mezzo fatture per operazione inesistenti (art. 2 Dlgs 74/2000), il concetto di "inesistenza" ricomprenda accanto all’ipotesi di inesistenza oggettiva o soggettiva, anche l'ipotesi di inesistenza giuridica . Sempre secondo la dottrina espressasi anteriormente al 2015 e la citata giurisprudenza, la categoria delle operazioni oggettivamente inesistenti comprendrebbe le operazioni non realmente effettuate da un punto di vista fattuale . Tale inesistenza oggettiva si confiurerebbe, pertanto, quando l'operazione non esiste in rerum natura ( ad esempio, viene emessa la fattura per l'acquisto di un computer ma il computer non è stato mai venduto, ma l'iva e l'imponibile della fattura vengono posti in detrazione dal falso acquirente ) Tuttavia, sia la giurisprudenza, nella citata sentenza, sia parte della dottrina, ritenevano anche " oggettivamente " inesistenti, il negozio simulato, ovvero un'operazione nella quale le parti davano alla prestazione una qualificazione "giuridica"diversa al fine di creare un vantaggio fiscale alla controparte . (un caso tipico, sarebbe quello del contratto di mutuo "rivestito" da contratto di leasing, al fine di permettere all'utilizzatore del bene di ottenere un vantaggio fiscale.) Questa tipologia di inesistenza oggettiva, qualificata come " inesistenza giuridica ", consisterebbe quindi in una difforme vestizione giuridica del negozio, che in modo simulato viene qualificato in modo difforme con evidenti vantaggi fiscali di una delle parti. Parte della dottrina, tuttavia, si opponeva a tale approccio, che avrebbe reso "censurabile" qualsiasi tipo di operazione- anche se lecita ed esistente- ed avrebbe esposto il contribuente all'arbitrio dell'Amministrazione, la quale avrebbe potuto sempre contestare ogni negozio giuridico, laddove ritenuto simulato, anche in considerazione del fatto che, quasi sempre la presunta illiceità di una operazione viene desunta a posteriori tramite presunzioni, gravi precise concordanti e non ex ante sulla base di elementi concreti di prova certa. A tutto voler concedere, comunque, tale categoria di inesistenza per simulazione e giuridica tout court , avrebbe dovuto trovare albergo nell'art. 3 della normativa che, in quel momento, puniva il contribuente che con " altri artifici " riduceva il suo imponibile soggetto ad imposta. Ricordiamo però come la norma di cui all'art. 3, prevedeva- e prevede tuttora- delle soglie di puniblità, così di fatto limitando i poteri delle Procure nella contestazione dei reati,. Ecco perchè, nella pratica, le Procure procedevano quasi sempre alla contestazione dell'art. 2, che non prevedeva alcuna soglia di punibilità. Da ultimo, la c.d. Inesistenza soggettiva , si verifica quando i soggetti indicati nel documento fiscale non sono i reali soggetti fra i quali è intercorsa l’operazione. (es. Un appalto viene eseguito dalla ditta "ALFA" a favore del committente "BETA" ma la fattura la emette, in luogo di ALFA, la società "GAMMA" - che magari ha crediti di imposta e quindi può avere corrispettivi senza poi versare le imposte all'erario- a favore della società " DELTA", che così si pone in detrazione il costo). Tale operazione è indubitabilmente riconducibile all'inesistenza soggettiva sanzionata con l'articolo 2 Dlgs 74/2000. Una particolare forma di inesistenza soggettiva è rinvenibile nella c.d. interposizione fittizia e interposizione reale di persona. L’interposizione fittizia si ha quando nel documento figuri una determinata parte quando in realtà gli effetti del negozio si producono nei confronti dell’interponente. Un’operazione del genere richiede la presenza di tutti e tre i soggetti, mentre nell’interposizione reale, detta anche fiduciaria, l’interposto, d’accordo con l’interponente, contratta con il terzo senza che quest’ultimo ne sia a conoscenza. L’interposto contratta con il terzo, ma la sua contrattazione è viziata dall’accordo di trasferire gli effetti del negozio al reale contraente. Secondo l'opinione prevalente- nonostante arresti giurisprudenziali difformi- l'interposizione reale- quindi ignota al terzo- è un'operazione lecita, in quanto il terzo non è al corrente delle reali intenzioni delle altre due parti, e comunque esistente, quindi non penalmente rilevante. La questione dell'inesistenza giuridica testè affrontata è stata parzialmente modificata e risolta nel 2015, quando il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha modificato la normativa, ed in particolare ha modificato l'art. 3, che quindi ha assunto il seguente tenore: " 1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2, e' punito con la reclusione tre a otto anni (1) chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente : a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, e' superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, e' superiore al cinque per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali." Alla luce della modifica di questa norma, una parte degli studiosi ha ritenuto nuovamente che l’inesistenza giuridica dovesse essere qualificata come inesistenza oggettiva e pertanto, potesse essere contestato l'art. 2- privo di soglie di punibilità-. Una seconda tesi dottrinaria, ritiene invece che l'inesistenza giuridica dovesse rientrare esclusivamente nel concetto di operazioni simulate oggettivamente di cui all’art. 3 d.lgs 74/2000, così come delineato dal novellato art.1, lettera g-bis)27, in quanto operazioni che i contraenti “in parte” non intendono realizzare. La stessa dottrina ritiene sempre, come già evidenziato nel vigore della disciplina previgente, che la definizione di operazioni inesistenti di cui all’art. 1 lettera a) si riferisca alle operazioni non “realmente” effettuate, comprendendo soltanto le operazioni materialmente inesistenti. La tesi preferibile appare quella secondo cui si considerino inesistenti solo le operazioni mai poste in essere in natura o poste in essere da soggetti diversi, mentre se viene contestata la natura giuridica dell'operazione o lo strumento utilizzato, si applicherà l'art. 3 che prevede soglie di punibilità e che prevede l'assolvimento di un onere probatorio maggiore al fine di accertare la reale volontà fraudolenta delle parti a porre in essere un'operazione simulata oggettivamente.

Caso legale seguito

Ricorso tributario

Accertamenti guardia di finanza

Ricorso tributario patrocinato dal l’avv. Massimo Baldi, conseguente ad una indagine di natura penale effettuata dalla Guardia di finanza, da cui sarebbero emerse operazione di riciclaggio di denaro. Annullamento del conseguente avviso di accertamento emesso dall’agenzia delle Entrate, in quanto illegittimo

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